Ordinanza n. 127 del 2004

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ORDINANZA N.127

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA                 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO             

LA CORTE COSTITUZIONALE

    composta dai signori Giudici:

    -         Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

    -         Valerio ONIDA

    -         Carlo MEZZANOTTE

    -         Fernanda CONTRI

    -         Guido NEPPI MODONA

    -         Piero Alberto CAPOTOSTI

    -         Annibale MARINI

    -         Franco BILE

    -         Giovanni Maria FLICK

    -      Francesco AMIRANTE          

    -         Ugo DE SIERVO

    -     Romano VACCARELLA

    -         Paolo MADDALENA

-  Alfonso  QUARANTA

    ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 269, secondo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 23 giugno 2003 dal Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento civile vertente tra Nicolò Francesco e la Crisauto s.r.l. ed altra, iscritta al n. 710 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2003.

  Visto  l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 10 marzo 2004 il Giudice relatore Fernanda Contri.

    Ritenuto che il Tribunale di Reggio Calabria, con ordinanza emessa il 23 giugno 2003, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 269, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine perentorio entro il quale il convenuto deve notificare la citazione al terzo chiamato in causa;

    che, come espone il rimettente, la parte convenuta, costituitasi regolarmente, ha chiesto ed ottenuto lo spostamento della prima udienza per chiamare terzi in causa, senza tuttavia provvedere alla notifica della citazione al terzo e, in ragione di ciò, la parte attrice ha eccepito la decadenza della convenuta dal potere di chiamare terzi in causa;  

    che, ad avviso del giudice a quo, la predetta omissione non potrebbe provocare la decadenza dal potere di chiamare terzi, in assenza di una espressa previsione legislativa;

    che l'art. 269, secondo comma, cod. proc. civ. darebbe luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento tra le parti in relazione alla chiamata in causa, poiché, pur in presenza di un atto con identica funzione processuale, soltanto l'attore è tenuto, a pena di decadenza, al rispetto di un termine perentorio fissato dal giudice, mentre il convenuto potrebbe reiterare la richiesta di differimento dell'udienza;

    che, inoltre, la norma, consentendo la reiterazione della istanza di fissazione di una nuova udienza per la chiamata del terzo, renderebbe il convenuto arbitro dei tempi e della dinamica del processo, in violazione del principio di ragionevole durata del giudizio e del diritto di difesa dell'attore; 

    che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile;

    che la difesa erariale osserva come analoga questione sia stata già dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza n. 117 del 2003 e come nel presente giudizio sussista lo stesso difetto di rilevanza allora evidenziato, poiché anche in questo caso il convenuto, dopo la scadenza del termine, ha chiesto il differimento dell'udienza per la citazione del terzo ed il medesimo deve perciò ritenersi decaduto dal relativo potere.

    Considerato che il Tribunale di Reggio Calabria lamenta la mancata previsione nell'art. 269, secondo comma, del codice di procedura civile, della fissazione di un termine perentorio per la chiamata in causa del terzo ad opera del convenuto;

    che la questione sollevata risulta manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza;

    che, come questa Corte aveva già osservato nell'ordinanza n. 117 del 2003, relativa a questione del tutto analoga, l'art. 269, secondo comma, cod. proc. civ., pur non prevedendo la fissazione di un termine giudiziale per la notifica della citazione al terzo, impone tuttavia l'osservanza del termine a comparire, ai sensi dell'art. 163-bis cod. proc. civ., onde la notifica della citazione al terzo deve essere eseguita entro il sessantunesimo giorno anteriore all'udienza di comparizione a tal fine fissata;          

    che la richiesta di proroga dei termini ordinatori, come quello in esame, può utilmente formularsi solo prima della loro scadenza, ai sensi dell'art. 154 cod. proc. civ. nella interpretazione tuttora prevalente della Corte di cassazione;

    che, invece, come riferisce il giudice rimettente, la richiesta di concessione di un nuovo termine per la citazione del terzo è stata formulata dal convenuto alla prima udienza, quando era già decorso il termine, ormai non più prorogabile, che avrebbe consentito la citazione nel rispetto dell'art. 163-bis cod. proc. civ.;

    che la intervenuta decadenza del convenuto dal potere di chiamare in causa terzi determina quindi il difetto di rilevanza della questione nel giudizio a quo.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 PER QUESTI MOTIVI

    LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 269, secondo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Calabria, con l'ordinanza in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2004.

    Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

    Fernanda CONTRI, Redattore

    Depositata in Cancelleria il 20 aprile 2004.