Ordinanza n. 101 del 2004

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ORDINANZA N. 101

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

-   Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni  Maria FLICK

-   Francesco AMIRANTE

-   Ugo DE SIERVO

-   Romano VACCARELLA

-   Paolo MADDALENA

-   Alfonso QUARANTA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 51 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 9 aprile 2003 dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, nel procedimento civile vertente tra AMBIENT 2000 di Marzetti e C. s.n.c. e Lorena Beccaceci ed altro, iscritta al n. 442 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2003.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2004 il Giudice relatore Franco Bile.  

 Ritenuto che il Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, in composizione monocratica, nel corso della fase di merito di un giudizio possessorio - seguita al rigetto nella fase sommaria del provvedimento interdittale da parte del medesimo giudice, con decisione peraltro riformata in sede di reclamo dal collegio, che ha concesso la reintegrazione nel possesso, e dopo il rigetto da parte del Presidente del Tribunale della richiesta di astensione proposta dallo stesso magistrato - ha sollevato, con ordinanza emessa il 9 aprile 2003, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 del codice di procedura civile, «limitatamente alla mancata previsione dell’incompatibilità del giudice, il quale abbia concesso o negato i primi provvedimenti possessori, con provvedimento interinale riformato dal giudice del reclamo ex art. 669-terdecies cod. proc. civ., a decidere nella fase del merito possessorio sulla base dell’identico materiale probatorio già disponibile nella fase sommaria»;

 che osserva il rimettente come la questione di legittimità costituzionale non sia preclusa dall’ordinanza di questa Corte n. 220 del 2000, secondo la quale, da un lato, gli atti di istruzione esperiti nel rito sommario assumono una «valenza tutta propria, intesa a consentire valutazioni meramente sommarie, indispensabili (e sufficienti) in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento (provvisorio) richiesto (art. 669-sexies cod. proc. civ.), ma normalmente inidonei di per sé a consentire la decisione definitiva della causa», e, dall’altro lato, il materiale istruttorio del giudizio a cognizione ordinaria è «niente affatto necessariamente identico a quello acquisito senza formalità nella precedente fase»;

che infatti secondo il giudice a quo - essendo costantemente affermata dalla giurisprudenza la possibilità di utilizzare nel giudizio di merito, con valore di testimonianza, le prove assunte nella fase sommaria con le formalità proprie del giudizio di cognizione ordinaria - a «coloro i quali dubitano quantomeno dell’utilità pratica di separare le fasi del giudizio possessorio nella maggioranza dei casi concreti» si pone, tra l’altro, l’opzione (seguita nella specie dallo stesso rimettente) di esperire nella fase sommaria un’istruttoria avente caratteri di completezza anche dal punto di vista formale, al fine di limitare un’eventuale appendice istruttoria nel giudizio sul «merito possessorio» alle sole domande connesse (ad esempio, di risarcimento dei danni), con la conseguenza che la decisione del giudizio di merito sulla base dello stesso materiale probatorio già acquisito formalmente e già valutato nella fase sommaria non costituisce una mera eventualità, bensì una realtà processuale;

che, pertanto, la norma impugnata si pone in contrasto: a) con il principio di ragionevolezza, poiché viene svuotata di qualsiasi effettiva tutela la funzione che dovrebbe avere la fase di merito, essendo incongruo aspettarsi, nella materia possessoria, che il giudice, dopo avere concesso o negato i primi provvedimenti, e senza che il materiale probatorio al suo esame muti, smentisca se stesso decidendo in senso contrario rispetto al suo primo provvedimento; b) con il diritto di difesa, sotto il profilo della vanificazione dell’ottenuta riforma, in sede di reclamo, del provvedimento emesso dal giudice monocratico a seguito della fase sommaria, poiché l’esito del reclamo verrebbe sovvertito dalla decisione di merito dello stesso giudice monocratico, verosimilmente confermativa del proprio precedente provvedimento; c) sempre con il diritto di difesa, dal momento che lo svolgimento del giudizio a cognizione ordinaria innanzi ad un giudice che si è già pronunciato nella fase sommaria obiettivamente turberebbe l’atmosfera di imparzialità che in ogni giudizio deve non solo esistere, ma anche apparire all’esterno, non costituendo a tal fine rimedio idoneo il ricorso a dichiarazioni di astensione;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità e, comunque, di infondatezza della sollevata questione.

Considerato che questa Corte (con ordinanza n. 220 del 2000, cui il medesimo rimettente fa espresso richiamo, seppure al fine di ritenerla non preclusiva per la riproposizione dell’odierno incidente di costituzionalità) ha dichiarato la manifesta infondatezza di altra questione sostanzialmente coincidente con la presente, a suo tempo sollevata - in riferimento agli stessi parametri - dai Pretori di Vibo Valentia e di Palmi, con analoghe motivazioni riguardanti l’asserita «identità, in entrambe le fasi in cui il giudizio possessorio necessariamente si articola, sia della res iudicanda, sia della valenza della relativa istruzione probatoria»;

che, in quella sede, è stato sottolineato come sia del tutto privo di consistenza il dubbio circa la configurabilità di una situazione di incompatibilità del giudice del merito possessorio a conoscere in via ordinaria dopo essersi già pronunciato nella precedente fase, essendo parimenti da escludere che al giudice stesso possano derivare vincoli dall’esito del reclamo avverso il provvedimento da lui già reso in sede interdittale; e come, in particolare, sia palesemente erroneo attribuire alla fase di merito - caratterizzata dalla compiuta esplicazione della dialettica processuale delle parti e dalla cognizione piena su un materiale istruttorio niente affatto necessariamente identico a quello acquisito senza formalità nella precedente fase - un contenuto formale e sostanziale di mera pedissequa duplicazione di giudizio vertente su una medesima res iudicanda;

che l’esclusione di una necessaria identità del materiale probatorio acquisito nelle due fasi (in termini di inevitabile conseguenza processuale imposta dalla norma) comporta che quella «identica dignità e valenza probatoria ricollegata all’esperimento di tutte le formalità richieste per il giudizio di cognizione ordinaria già nella fase sommaria» - che il rimettente presenta come “realtà processuale”, idonea a superare la precedente pronuncia di manifesta infondatezza - si configura invece come mera eventualità fattuale, derivante da una scelta operata dal giudicante circa le forme e le modalità dell’assunzione delle persone ascoltate nella fase sommaria;

che evidentemente una tale prassi non può precludere l’acquisizione nella fase di merito di ulteriori prove (in ordine alla domanda principale o ad altre domande connesse), richieste dalle parti anche alla luce di quanto emerso dall’eventuale esperimento del reclamo avverso il provvedimento interdittale;

che deve, dunque, ribadirsi l’impossibilità di descrivere il giudizio di merito come valutazione operata sulla stessa res iudicanda, per la diversità del thema decidendum della fase sommaria - comprensiva del reclamo - rispetto a quella successiva (ordinanza n. 126 del 1998), completata non solo dal nuovo apporto probatorio, ma anche dalle ulteriori considerazioni svolte dalle parti, quantomeno in sede di comparsa conclusionale, memorie di replica e discussione orale (ordinanza n. 168 del 2000);

che la sollevata questione è, pertanto, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Jesi, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2004.