Ordinanza n. 87 del 2004

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.87

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA          

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, commi 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Tribunale di sorveglianza di Torino con ordinanza del 28 maggio 2002, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 gennaio 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con ordinanza del 28 maggio 2002 (pervenuta alla Corte costituzionale il 24 febbraio 2003) il Tribunale di sorveglianza di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, commi 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui introduce un generale divieto di ammissione a determinati benefici penitenziari per i condannati nei cui confronti è stata disposta la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale, della detenzione domiciliare e della semilibertà, prima che siano decorsi tre anni dal momento in cui è stato emesso il provvedimento di revoca;

che il rimettente premette:

- di essere investito della richiesta di detenzione domiciliare formulata ai sensi dell’art. 47-ter, comma 1-bis, dell’ordinamento penitenziario da un detenuto condannato per tentata estorsione commessa nel 1997 e nei cui confronti è stata disposta nel dicembre del 2001 la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale per inosservanza delle prescrizioni imposte;

- che nel corso della detenzione in carcere ripristinata a seguito della revoca il condannato "ha tenuto un comportamento irreprensibile, ha frequentato un programma per il controllo della spinta verso sostanze stupefacenti, ha lavorato" e che la richiesta di detenzione domiciliare è giustificata dalla necessità "di accudire l’anziana madre con problemi ortopedici e d’udito";

che il rimettente rileva che - alla stregua dell’interpretazione del comma 2 dell’art. 58-quater dell’ordinamento penitenziario seguita dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il divieto triennale di concessione dei benefici va riferito alla generalità dei condannati e non solo a quelli che hanno riportato condanna per uno dei delitti previsti nel comma 1 dell’articolo 4-bis (categoria alla quale il comma 1 dell’art. 58-quater limita la previsione del divieto di concessione di benefici in caso di evasione) - la domanda del condannato, sebbene nel merito probabilmente "fondata", dovrebbe essere dichiarata inammissibile essendo trascorsi solo sei mesi dalla revoca della precedente misura;

che la Corte costituzionale, nel valutare sotto altri profili la legittimità della norma censurata, avrebbe "dato per scontata la generale applicabilità dell’art. 58-quater [comma 2] ad ogni caso di revoca relativo a qualunque esecuzione" (sentenze n. 436 del 1999 e n. 181 del 1996);

che ad avviso del giudice a quo la norma impugnata si porrebbe in contrasto con il principio di proporzionalità della pena (artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.) e con il principio della personalità della pena (art. 27, primo comma, Cost.);

che sotto il primo profilo il rimettente sottolinea che il principio di proporzionalità della pena discende direttamente dall’art. 3 Cost., "poiché a parità di disvalore della condotta e di gravità della colpevolezza deve corrispondere un pari trattamento penale", ma si ricava anche dall’art. 27, terzo comma, Cost., posto che "una pena rigida, non proporzionale, non costituisce un trattamento rieducativo sia nei casi in cui risulti (per difetto di proporzionalità) troppo lieve, sia nel caso risulti troppo gravosa";

che tale principio è stato più volte affermato dalla Corte costituzionale e ritenuto operante anche riguardo alle modalità di esecuzione della pena e che, in particolare, è stato ribadito nella sentenza n. 343 del 1987, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, decimo comma (trasfuso nel comma 11 per effetto della legge 10 ottobre 1986, n. 663), dell’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non consente che in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova il tribunale di sorveglianza determini la pena residua da espiare, tenendo conto della natura e della durata delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il periodo trascorso in affidamento;

che, ad avviso del rimettente, la preclusione triennale di accesso ai benefici in caso di revoca si pone in netta antitesi con il principio di proporzionalità, secondo cui la pena deve essere "adeguata" e perciò anche "ragionevolmente flessibile", così "da potersi adattare alle differenti situazioni concrete senza creare disparità di trattamento abnormi", a causa degli "elementi di irrazionalità, automaticità, casualità ed "imprevedibilità quanto ad effetti"" che la connotano e che danno luogo a "ingiustificate e gravi discriminazioni";

che la norma censurata, infatti, da un lato introduce un eguale trattamento per situazioni del tutto differenti, in quanto "a condotte diverse (generatrici della revoca) segue una reazione che sul piano della preclusione di ordine processuale a nuove concessioni […] è del tutto identica", dall’altro detta una disciplina diversa per situazioni identiche, sol che si consideri che la preclusione incide in misura differente a seconda della pena originariamente inflitta ai condannati anche se le condotte contrarie alle prescrizioni sono le medesime;

che il rimettente rileva inoltre che la revoca non sempre è imputabile soltanto al condannato, potendosi configurare anche ipotesi di "grave provocazione di terzo", "legittima difesa" o "concorso con altri nella violazione con un ruolo marginale", con la conseguenza che risulterebbe violato anche il principio della personalità della pena;

che, quanto alle soluzioni idonee a superare i denunciati vizi di legittimità costituzionale, il rimettente vorrebbe vedere attribuito al giudice il potere di valutare in concreto, caso per caso, la sussistenza e la durata degli effetti preclusivi della revoca;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

che, in particolare, l’Avvocatura evidenzia che, come affermato dalla Corte costituzionale, il terzo comma dell’art. 27 Cost. va visto nel quadro di una "concezione polifunzionale della pena", per cui accanto alla finalità rieducativa, che si pone come finalità ultima ma non unica della pena stessa, vengono perseguite altre finalità, "quali la dissuasione, la prevenzione, la difesa sociale".

Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, commi 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui introduce un generale divieto di ammissione a determinati benefici penitenziari per i condannati nei cui confronti è stata disposta la revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale, della detenzione domiciliare e della semilibertà, prima che siano decorsi tre anni dal momento in cui è stato emesso il provvedimento di revoca;

che ad avviso del rimettente la disciplina censurata si pone in contrasto con i principi di proporzionalità e personalità della pena, perché la preclusione triennale alla concessione dei benefici è conseguenza automatica della revoca di una delle misure alternative prese in considerazione, quale che sia la gravità delle violazioni che hanno dato origine alla revoca stessa, e in quanto la revoca della misura alternativa non sempre è imputabile soltanto al condannato;

che, nell’esporre le ragioni a sostegno del contrasto della disciplina censurata con il principio di proporzionalità della pena, il giudice a quo richiama la sentenza di questa Corte n. 343 del 1987, che, movendo dal presupposto che i principi di proporzionalità e di individualizzazione della pena operano non solo nella fase di cognizione, ma anche in quella esecutiva, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47, decimo comma (trasfuso nel comma 11 per effetto della legge 10 ottobre 1986, n. 663), dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova, non consente al tribunale di sorveglianza di determinare la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto delle limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante l’affidamento in prova;

che il richiamo alla sentenza n. 343 del 1987 non appare pertinente, posto che con tale decisione la Corte ha affermato la diversa esigenza di determinare la durata della residua pena detentiva in caso di revoca dell’affidamento in prova, in quanto la disciplina allora sottoposta a scrutinio di costituzionalità non consentiva di tenere in alcun conto la restrizione della libertà personale sofferta durante il periodo trascorso in affidamento, sì che ne derivava, in caso di revoca della misura alternativa, "l’irrogazione di un supplemento di pena conseguente all’integrale ripristino di quella originaria";

che, nel censurare la rigidità della durata del divieto scaturente dalla revoca, il giudice a quo omette di considerare che la preclusione triennale in esame consegue ad una revoca delle misure alternative che non è "automatica", bensì basata su di una valutazione in concreto e caso per caso delle situazioni in cui il comportamento del condannato, contrario alla legge o alle prescrizioni, risulti incompatibile con la prosecuzione dell’affidamento in prova (art. 47, comma 11, dell’ordinamento penitenziario) o della detenzione domiciliare (art. 47-ter, comma 6, dell’ordinamento penitenziario), ovvero delle situazioni in cui il soggetto non si palesi idoneo al trattamento in semilibertà (art. 51, comma 1, dell’ordinamento penitenziario);

che il giudice a quo pone quindi erroneamente sullo stesso piano i profili relativi ai presupposti per la revoca della misura alternativa e quelli concernenti gli effetti di tale revoca, come è dimostrato anche dalla censura concernente la violazione del principio della personalità della pena: l’eventuale concorso di terzi nel fatto che ha dato luogo alla revoca della misura attiene infatti esclusivamente alla valutazione del comportamento del condannato che deve compiere il tribunale di sorveglianza chiamato a decidere in relazione alla revoca della misura alternativa precedentemente concessa;

che la questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, commi 2 e 3, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Torino, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2004.