Ordinanza n. 82 del 2004

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ORDINANZA N.82

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo                      ZAGREBELSKY             Presidente

- Valerio                        ONIDA                                Giudice

- Carlo                           MEZZANOTTE                         "

- Fernanda                     CONTRI                                     "

- Guido                         NEPPI MODONA                     "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                              "

- Annibale                     MARINI                                     "

- Franco                         BILE                                           "

- Giovanni Maria           FLICK                                        "

- Ugo                             DE SIERVO                              "

- Romano                      VACCARELLA                        "

- Paolo                           MADDALENA                         "

- Alfio                           FINOCCHIARO                       "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 497, comma 2, del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, con ordinanza del 12 dicembre 2002, iscritta al n. 45 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 gennaio 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 497, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede il divieto di esaminare come testimone la persona offesa dal reato costituita parte civile, con la conseguenza di sottoporla, nonostante sia interessata all’esito del giudizio, all’obbligo di dire la verità e di prestare “giuramento”, così consentendo, «di fatto, che la prova della colpevolezza dell’imputato si basi esclusivamente o quasi esclusivamente sulle sue dichiarazioni»;

che il Tribunale – premesso che la questione è stata prospettata dalla difesa degli imputati – ritiene che la disciplina censurata determini una situazione processuale di squilibrio tra le parti, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost.;

che in particolare il rimettente rileva, in relazione al valore da attribuire alla deposizione della persona offesa, che la giurisprudenza di legittimità per un verso ha affermato che tale testimonianza deve essere valutata «con ogni opportuna cautela» e che può «essere assunta, come fonte di prova, unicamente se venga sottoposta a [un] riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva», «sorretto da adeguata e coerente giustificazione»; dall’altro, seguendo un indirizzo «meno rigoroso», ha ritenuto che «può attribuirsi piena efficacia probatoria alla testimonianza della persona offesa dal reato qualora ne sia accertata l’intrinseca coerenza logica, anche quando essa costituisca l’unica prova e manchino elementi esterni di riscontro»;

che, «nella pratica», la «stragrande maggioranza» dei procedimenti penali che hanno origine da una denuncia-querela presentata dalla parte lesa si fonderebbero soltanto «sulla prova fornita dalla deposizione del querelante-persona offesa, quasi sempre costituitosi parte civile, ovvero sulle deposizioni di prossimi congiunti di questi, per i quali, specularmente, […] non è previsto il divieto di testimoniare o la facoltà di astensione dalla deposizione come per i prossimi congiunti dell’imputato»;

che perciò, ove il giudice applicasse i principi sulla valutazione della testimonianza della persona offesa dapprima menzionati, il processo penale quasi sempre «si dovrebbe concludere con l’assoluzione dell’imputato»; di contro, se il giudice basasse la sua motivazione di condanna esclusivamente sugli elementi di prova forniti dalla persona offesa, «ne verrebbe (e di fatto ne viene) fortemente inficiato il principio di uguaglianza fra le parti»;

che, in definitiva, il rimettente, pur dando atto che analoga questione, sollevata in relazione all’art. 197, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., è stata dichiarata manifestamente infondata da questa Corte con ordinanza n. 115 del 1992, vorrebbe che la deposizione della persona offesa fosse assunta con modalità che consentano di attribuirle lo stesso valore delle dichiarazioni dell’imputato;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, osservando nel merito che la questione è nella sostanza uguale alle altre già più volte esaminate e dichiarate infondate dalla Corte;

che, d’altra parte, dalla stessa ordinanza di rimessione emerge come non vi sia affatto bisogno di introdurre nell’ordinamento una preclusione alla testimonianza della parte civile, dal momento che la giurisprudenza ha oramai individuato canoni e criteri per scongiurare l’evenienza di un’acritica acquisizione al processo di dichiarazioni la cui obiettività non sia accertata.

Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 497, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non pone il divieto di esaminare come testimone la persona offesa dal reato costituita parte civile e consente così che la prova della colpevolezza dell’imputato si fondi esclusivamente su tale deposizione, determinando una situazione processuale di squilibrio tra le parti, in violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione;

che questioni analoghe, sollevate, in riferimento ai medesimi parametri, in relazione all’art. 197, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. - ove l’incompatibilità con l’ufficio di testimone è prevista solo per il responsabile civile e per la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria - e agli artt. 197 e 208 cod. proc. pen. - in quanto prevedono forme diverse per l’esame della persona offesa e dell’imputato -, nonché in relazione alla disciplina del codice di procedura penale del 1930 - ove era espressamente previsto l’obbligo della persona offesa di testimoniare, anche se costituita parte civile -, sono state rispettivamente dichiarate manifestamente infondate con le ordinanze n. 115 del 1992 e n. 374 del 1994, e infondate con le sentenze n. 2 del 1973 e n. 190 del 1971;

che, in particolare, nell’ordinanza n. 115 del 1992 questa Corte, richiamandosi alle argomentazioni svolte nelle precedenti sentenze, ha ribadito la ragionevolezza di una scelta legislativa fondata sul presupposto che «la rinuncia al contributo probatorio della parte civile costituisse un sacrificio troppo grande nella ricerca della verità processuale» rilevando inoltre che, alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale, la deposizione della persona offesa costituita parte civile «deve essere valutata dal giudice con prudente apprezzamento e spirito critico, non potendosi essa equiparare puramente e semplicemente a quella del testimone, immune dal sospetto di interesse all’esito della causa»;

che, d’altro canto, lo stesso rimettente dà atto dell’orientamento della Cassazione secondo cui la deposizione testimoniale della persona offesa costituita parte civile deve essere sottoposta ad un riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva, e il convincimento del giudice su tale fonte di prova deve essere sorretto da adeguata e coerente motivazione, così dimostrando di essere al corrente dell’indirizzo giurisprudenziale che dovrebbe fugare qualsiasi dubbio circa il rischio che la testimonianza della persona offesa venga acriticamente assunta come prova della responsabilità dell’imputato;

che, malgrado il rimettente formalmente censuri l’art. 497, comma 2, cod. proc. pen., la questione è posta negli stessi termini di quelle che hanno avuto ad oggetto gli artt. 197 e 208 cod. proc. pen., ovvero l’analoga disciplina del codice del 1930;

che, non avendo questa Corte motivo di discostarsi dalle ragioni poste a base delle pronunce sopra menzionate, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 497, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 2 marzo 2004.