Ordinanza n. 23 del 2004

 

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ORDINANZA N.23

 

ANNO 2004

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

 

- Gustavo ZAGREBELSKY

 

- Valerio ONIDA

 

- Carlo MEZZANOTTE

 

- Fernanda CONTRI

 

- Guido NEPPI MODONA

 

- Piero Alberto CAPOTOSTI

 

- Annibale MARINI

 

- Franco BILE

 

- Giovanni Maria FLICK

 

- Francesco AMIRANTE

 

- Ugo DE SIERVO

 

- Romano VACCARELLA

 

- Paolo MADDALENA

 

- Alfio FINOCCHIARO     

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 110, comma quinto, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), promosso con ordinanza del 30 giugno 2003 dal Tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Silvio Berlusconi, iscritta al n. 633 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2003.

 

Visti gli atti di costituzione di Silvio Berlusconi e della CIR – Compagnie Industriali Riunite S.p.A., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell’udienza pubblica del 9 dicembre 2003 il Giudice relatore Annibale Marini;

 

uditi gli avvocati Gaetano Pecorella e Niccolò Ghedini per Silvio Berlusconi, Giuliano Pisapia, Alessandro Pace e Roberto Mastroianni per la CIR S.p.A. e l’Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 30 giugno 2003, il Tribunale di Milano – nel corso di un procedimento penale a carico dell’on. Silvio Berlusconi – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), nonché, in riferimento agli artt. 97 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 110, comma quinto, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nella parte in cui non prevede «la sospensione o comunque la proroga della applicazione nel caso in cui la medesima attenga ad un dibattimento sospeso ex lege e per la durata della sospensione medesima»;

 

che, riguardo a tale seconda questione, premette il giudice rimettente, in punto di rilevanza, che uno dei componenti del collegio, il dott. Brambilla, trasferito al Tribunale di sorveglianza di Milano dopo l’inizio del dibattimento, con decreto del Presidente della Corte di appello di Milano in data 10 gennaio 2002 è stato applicato a tempo pieno alla prima sezione penale del Tribunale ordinario per la necessità imprescindibile di continuare a far parte del suddetto collegio, proprio in quanto titolare del processo in corso a carico dell’on. Berlusconi ed altri, e che l’applicazione in questione, disposta ai sensi dell’art. 110 del regio decreto n. 12 del 1941 per il periodo di un anno, è stata successivamente prorogata per un altro anno – termine massimo di durata previsto dal citato art. 110, quinto comma – ed è perciò destinata a scadere improrogabilmente il 9 gennaio 2004;

 

che la necessaria sospensione del processo, conseguente alla proposizione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 140 del 2003, verrebbe tuttavia ad incidere considerevolmente – ad avviso del rimettente – sulla durata dell’applicazione, con il rischio di rendere sostanzialmente priva di effetti, nel giudizio a quo, l’eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale della norma suddetta, stante la necessità di rinnovazione dell’attività dibattimentale che conseguirebbe alla scadenza dell’applicazione prima della pronuncia della sentenza e la concreta possibilità che in tal modo intervenga la prescrizione del reato;

 

che la norma denunciata, non prevedendo la sospensione o la proroga dell’applicazione in caso di sospensione ex lege del dibattimento, non assicurerebbe dunque il buon andamento dell’ufficio e – trattandosi di norma di amministrazione – si porrebbe per tale motivo in contrasto con l’art. 97 della Costituzione;

 

che determinando, inoltre, una irragionevole durata del dibattimento – per la necessità della rinnovazione degli atti – la norma stessa sarebbe lesiva anche del principio di ragionevole durata del processo, sancito dall’art. 111 della Costituzione;

 

che l’on. Silvio Berlusconi, costituitosi in giudizio, ha concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza della questione;

 

che, ad avviso della parte, la questione sarebbe innanzitutto priva di attuale rilevanza, in quanto fondata sulla mera previsione che i tempi di decisione della questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 1 della legge n. 140 del 2003 siano tali da non consentire al dott. Brambilla di condurre a termine il processo;

 

che, nel merito, la stessa parte osserva che i problemi legati alla composizione del collegio erano noti sin dal 30 settembre 2001 – data di pubblicazione del Bollettino ufficiale recante il trasferimento del dott. Brambilla al Tribunale di sorveglianza – e che ad essi si sarebbe potuto facilmente ovviare procedendo all’immediata sostituzione del giudice ed alla rinnovazione dei pochi atti di istruzione dibattimentale sino a quel momento compiuti;

 

che non sussisterebbe, in ogni caso, il paventato rischio di prescrizione dei reati contestati, non maturandosi il relativo termine prima della fine del 2006, né l’attività sin qui compiuta, in caso di mutamento del collegio, sarebbe posta nel nulla, in quanto i relativi verbali entrerebbero comunque a far parte del fascicolo del dibattimento;

 

che, in definitiva, il giudice rimettente – ad avviso della medesima parte – vorrebbe in sostanza «la creazione di una norma ad hoc cui consegua la conservazione di un collegio anch’esso ad hoc in violazione delle norme di ordinamento giudiziario nonché dei criteri tabellari»;

 

che una simile pronuncia, oltre ad invadere un campo riservato alla discrezionalità legislativa, si porrebbe in contrasto tanto con il principio di precostituzione del giudice quanto con quello del giusto processo;

 

che, in ogni caso, inconferente sarebbe il riferimento al parametro di cui all’art. 97 della Costituzione, essendo, quella denunciata, norma attinente – secondo la parte – alla giurisdizione e non all’amministrazione;

 

che si è altresì costituita la CIR – Compagnie Industriali Riunite S.p.A., parte civile nel giudizio a quo, concludendo per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale dell’art. 110 del regio decreto n. 12 del 1941;

 

che, ad avviso della parte suddetta, la sostituzione del dott. Brambilla a seguito della scadenza dell’applicazione comporterebbe una duplicazione del lavoro in capo ad appartenenti all’ordine giudiziario, in evidente contrasto «con la razionale distribuzione degli incarichi» e dunque con il principio di buon andamento dei pubblici uffici;

 

che l’allungamento dei tempi del processo, conseguente alla celebrazione di un nuovo dibattimento, si risolverebbe, sotto altro aspetto, in una palese violazione del diritto di difesa nonché del principio, «posto a tutela dell’imputato, della persona offesa e, più in generale, della Giustizia, della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.»;

 

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza della questione;

 

che, ad avviso dell’Avvocatura, la questione sarebbe, «allo stato degli atti», priva di rilevanza in quanto fondata sulla mera ipotesi che la sospensione del processo si protragga fino alla scadenza del periodo di applicazione del dott. Brambilla e che il tempo necessario alla rinnovazione del dibattimento determini la prescrizione dei reati contestati;

 

che, in ogni caso, l’eventuale decorso del termine prescrizionale non sarebbe direttamente ascrivibile alla norma impugnata, in quanto «l’eventuale, ipotetico decorso del termine prescrizionale è conseguenza del tempo trascorso dall’epoca dei fatti e la prescrizione è un istituto che sancisce il disinteresse dell’ordinamento giuridico all’applicazione della pena dopo un lasso di tempo proporzionato all’entità del fatto»;

 

che l’istituto dell’applicazione avrebbe d’altro canto natura eccezionale e non potrebbe perciò che avere carattere temporaneo, pena la violazione del principio del giudice naturale, sancito dall’art. 25 della Costituzione;

 

che sarebbe infine inconferente – secondo l’Avvocatura – il riferimento all’art. 97 della Costituzione, in quanto il principio di buon andamento dell’amministrazione imporrebbe piuttosto che il giudice di cui si tratta vada ad occupare il posto assegnatogli presso il Tribunale di sorveglianza di Milano;

 

che, nell’imminenza dell’udienza pubblica, la CIR S.p.A ha depositato una memoria illustrativa, insistendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 110, quinto comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, nella parte in cui non consente ulteriori proroghe per l’applicazione di magistrati ad altri uffici, ancorché tuttora sussista la necessità dell’ufficio di destinazione, o, in via subordinata, nella parte in cui, relativamente ai processi previsti e disciplinati dall’art. 1, comma 2, della legge n. 140 del 2003, non prevede la sospensione della decorrenza del termine di durata dell’applicazione per i medesimi fini presi in considerazione dall’art. 1, comma 3, della stessa legge, con riferimento al termine di prescrizione del reato.

 

Considerato che il giudice rimettente si duole del fatto che la norma impugnata non preveda la proroga o la sospensione del termine di durata dell’applicazione, pur quando le esigenze di servizio dell’ufficio di destinazione siano rappresentate dalla necessità di ultimare un determinato processo e questo sia sospeso ex lege;

 

che il potere del giudice di sollevare questione incidentale di legittimità costituzionale è limitato a quelle norme delle quali il giudice stesso deve fare applicazione nel giudizio a quo;

 

che, nella specie, il Tribunale rimettente non è chiamato ad assumere alcuna decisione che comporti applicazione (sia pure indiretta) della norma impugnata;

 

che, pertanto, non venendo tale norma in considerazione, alla stregua dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), nel momento in cui la questione è stata sollevata, questa risulta priva della necessaria rilevanza e va perciò dichiarata manifestamente inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riservata a separata decisione la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), sollevata dal Tribunale di Milano, con l’ordinanza in epigrafe;

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 110, comma quinto, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), sollevata, in riferimento agli artt. 97 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con la stessa ordinanza.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2004.

 

Riccardo CHIEPPA, Presidente

 

Annibale MARINI, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2004.