Ordinanza n. 355/2003

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ORDINANZA N. 355

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo   MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 64, comma 3-bis, del codice di procedura penale e 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), promosso con ordinanza del 3 ottobre 2002 dal Tribunale di Bari nel procedimento penale a carico di B.V. ed altri, iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Udito nella camera di consiglio del 29 ottobre 2003 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che il Tribunale di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 102 e 111, quinto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 64, comma 3-bis, del codice di procedura penale e 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), "nella parte in cui, nella fase del giudizio di merito, in mancanza dell’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), cod. proc. pen., non è consentita la utilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni rese su fatti che concernono la responsabilità di altri nel corso delle indagini preliminari da chi non si sia mai volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore e che, alla data di entrata in vigore della legge n. 63 del 2001, non siano già state acquisite al fascicolo per il dibattimento, allorquando la relativa prova orale non possa espletarsi in dibattimento per cause obiettive sopravvenute ed imprevedibili nonché della estensione transitoria di una tale normativa ai procedimenti penali in corso";

che il giudice rimettente premette, in punto di fatto, che, nel corso del dibattimento, non si era potuto procedere all’esame ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen. di persona imputata in un procedimento connesso ex art. 12, comma 1, lettera a), del medesimo codice, in quanto l’esame di tale persona – che aveva reso dichiarazioni accusatorie nel corso delle indagini preliminari – era divenuto impossibile per sopravvenuta incapacità fisica e mentale di tale soggetto;

che alla richiesta – formulata dal pubblico ministero - di acquisizione delle dichiarazioni precedentemente rese da quella persona si erano peraltro opposti i difensori, facendo leva sulla specifica disciplina al riguardo dettata dall’art. 26 della legge n. 63 del 2001. Trattandosi, infatti, di dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da un concorrente nel reato; e considerato che ad esse non era stato fatto precedere l’avvertimento prescritto dal terzo comma dell’art. 64, lettera c), del novellato art. 64 del codice di rito, ne derivava la inutilizzabilità erga alios di esse, alla luce del disposto del comma 3-bis della richiamata disposizione: disposizione che, a sua volta, in base all’art. 26 della legge n. 63 del 2001, trovava immediata applicazione nei processi in corso, posto che le deroghe a tale principio stabilite nella anzidetta norma non risultavano pertinenti al caso di specie, trattandosi di dichiarazioni non ancora acquisite al fascicolo per il dibattimento;

che, alla stregua di tali premesse, risulterebbe compromesso il canone della ragionevolezza, in quanto l’art. 26 della citata legge n. 63 del 2001 – nel sancire "una regola di esclusione probatoria, quale è quella della inutilizzabilità relativa di cui all’art. 64, comma 3, cod. proc. pen. anche nei processi in corso ed in relazione ad atti legittimamente assunti nel rispetto delle regole processuali all’epoca vigenti" – non prevederebbe alcun rimedio processuale nell’ipotesi di accertata impossibilità oggettiva di ripetizione dell’atto nel dibattimento di primo grado;

che la disciplina censurata risulterebbe in contrasto anche con l’art. 111, quinto comma, della Costituzione, in quanto il legislatore ordinario, nel dettare – in attuazione dell’art. 2 della legge costituzionale n. 2 del 1999 - la normativa transitoria prevista dall’art. 26 della legge n. 63 del 2001, avrebbe omesso di prevedere l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni rese erga alios nel corso delle indagini, allorquando "la prova orale sia divenuta oggettivamente irripetibile in dibattimento per cause sopravvenute, senza che il dichiarante si sia mai sottratto all’interrogatorio dell’imputato o del suo difensore";

che l’art. 26 della più volte menzionata legge n. 63 del 2001 violerebbe anche gli artt. 3 e 102 della Costituzione, considerata la irragionevole disparità di trattamento derivante dal diverso regime previsto dal comma 5 per il giudizio davanti alla Corte di cassazione, ed il conseguente "pregiudizio derivante all’esercizio della funzione giurisdizionale, tesa all’accertamento della verità";

che sussisterebbe – sottolinea ancora il giudice rimettente – un ulteriore profilo di irragionevole disparità di trattamento delle dichiarazioni rese in dibattimento dai soggetti di cui all’art. 210 cod. proc. pen., che risultano "pienamente utilizzabili nei confronti dei concorrenti senza il limite di alcun avvertimento", rispetto alla ipotesi in esame , nella quale la mancanza di avvertimento determina la inutilizzabilità di quelle medesime dichiarazioni, "allorché l’esame ex art. 210 cod. proc. pen. non si possa svolgere, non già per libera scelta del dichiarante, bensì per la sua sopravvenuta morte o, come nel caso di specie, inabilità";

che le disposizioni oggetto di impugnativa si porrebbero in contrasto, ad avviso del giudice rimettente, anche con gli artt. 111 e 24 della Carta fondamentale, sul rilievo che il meccanismo della inutilizzabilità previsto dall’art. 64, comma 3-bis, cod. proc. pen., esteso alla fase dibattimentale anche in caso di irripetibilità dell’atto, violerebbe il principio del "giusto processo", non soltanto nei confronti dell’imputato - "che ingiustificatamente avrebbe vantaggio dalla condizione fisica impeditiva del dichiarante" - ma anche con riguardo alla situazione delle persone offese dal reato; queste ultime, infatti, vedrebbero irragionevolmente compromessa "la tutela giurisdizionale delle proprie posizioni soggettive" in dipendenza di un fatto imprevisto ed imprevedibile , con correlativa lesione diritto di difesa;

che sussisterebbe, infine, irragionevole disparità di trattamento tra le dichiarazioni rese dal concorrente nel medesimo reato imputato in un procedimento connesso e quelle rese dal coimputato in un procedimento connesso che sia divenuto collaboratore di giustizia, "atteso che il comma 9 dell’art. 16-quater [del d.l. 15 gennaio 1991, n. 8] come introdotto dalla legge 16 febbraio 2001, n. 45, consente la valutazione ai fini di prova dei fatti in essi affermati delle dichiarazioni rese al P.M. o alla polizia giudiziaria indipendentemente dal rispetto del dato formale in tutti i casi di "irripetibilità", quale è evidentemente la morte o la inabilità del dichiarante".

Considerato che l’impugnativa concerne, in particolare, il regime intertemporale dettato dall’art. 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63, attuativa – come è noto – della riforma costituzionale sul "giusto processo", nella parte in cui, in mancanza dell’avvertimento previsto dall’art. 64, comma 3, lettera c), del codice di rito (introdotto dalla stessa legge) non consentirebbe la utilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, rese nel corso delle indagini preliminari, da parte di chi non si sia mai volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore e che, alla data di entrata in vigore della medesima legge n. 63 del 2001, non siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento. Epilogo, quello testé delineato, che si realizzerebbe – dando così causa alla doglianza del giudice a quo – anche nella ipotesi in cui la prova orale non possa essere espletata in dibattimento per cause obiettive sopravvenute ed imprevedibili, nella specie rappresentate dalla sopravvenuta inidoneità fisica e mentale del dichiarante;

che, nella sostanza, la premessa interpretativa da cui muove il giudice rimettente, si fonda sul rilievo per il quale il regime "transitorio" innanzi citato consentirebbe l’utilizzazione delle precedenti dichiarazioni, raccolte nel corso della fase investigativa, soltanto nella ipotesi in cui tali dichiarazioni fossero state già acquisite al fascicolo per il dibattimento alla data di entrata in vigore della legge attuativa del "giusto processo": limite, questo, che opererebbe in ogni caso, ivi compreso quello, pur autonomamente disciplinato dall’art. 512 cod. proc. pen., che riguarda, appunto, la possibilità di dare lettura delle dichiarazioni precedentemente rese, in ipotesi di sopravvenuta ed imprevedibile impossibilità di ripetizione;

che, pertanto, secondo il giudice rimettente, dalla immediata applicabilità, anche ai processi in corso – fatta salva la specifica deroga per quelli pendenti nella fase delle indagini preliminari, ove è prevista la rinnovazione dell’esame dei dichiaranti, a norma dell’art. 26, comma 2, della legge n. 63 del 2001 – della nuova e profondamente innovativa disciplina degli avvertimenti da rivolgere in sede di interrogatorio e del relativo regime "sanzionatorio" di inutilizzabilità processuale, discenderebbe la preclusione ad utilizzare le dichiarazioni a suo tempo acquisite – ma non ancora versate nel fascicolo per il dibattimento – sul presupposto che la "inutilizzabilità" ex ante, derivante dalla omissione degli avvisi, travolgerebbe la utilizzazione ex post stabilita in via generale dall’art. 512 cod. proc. pen.;

che, peraltro, una siffatta prospettiva interpretativa, oltre che non sostenuta da effettivi argomenti testuali (va notato, infatti, che la disciplina dettata dall’art. 512 cod. proc. pen. non è stata affatto incisa dalla novella), risulterebbe addirittura paradossale negli effetti, giacché – attraverso essa – si verrebbe a delineare non già una disciplina intertemporale, ma un singolare meccanismo del tutto innovativo che divergerebbe tanto dal precedente sistema, quanto da quello "a regime", creando a ben guardare un sistema spurio anche rispetto alla stessa norma transitoria. E’ del tutto evidente, infatti, che, ove fosse fondata la tesi del giudice a quo, non potrebbe operare neppure lo specifico ed eccezionale rimedio previsto dal comma 2 del citato art. 26: ciò perché, essendo il dichiarante divenuto processualmente incapace, anche se il procedimento si fosse trovato a quel momento nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero non avrebbe potuto rinnovare l’esame con l’avvertimento, posto che le condizioni del soggetto non lo avrebbero comunque permesso; sicché, neppure la logica che ha ispirato tale peculiare norma transitoria – dettata dall’intendimento di "recuperare", fin dove possibile, il regime garantista degli avvertimenti - avrebbe potuto trovare applicazione nella specifica ipotesi evocata dal rimettente;

che, dunque, è senz’altro possibile affermare che l’operatività dell’art. 512 cod. proc. pen. non può ritenersi in alcun modo compromessa – militando in tal senso rilievi di ordine logico e sistematico – ove sia divenuta impossibile la ripetizione dell’atto dichiarativo e le originarie dichiarazioni siano state rese prima dell’entrata in vigore della legge n. 63 del 2001, che ha introdotto il sistema degli avvisi ed il relativo regime di oneri e sanzioni processuali (generando per di più – e il dato assume, ai fini che qui interessano, non poco risalto – nuove figure di soggetti dichiaranti);

che, d’altra parte, è lo stesso giudice a quo a censurare, perché in contrasto con i principi sanciti dall’art. 111 della Costituzione, una determinata interpretazione della norma impugnata: senza però farsi carico di perscrutare una – peraltro agevole – lettura adeguatrice del sistema; e trascurando di rilevare che – essendo l’intera cadenza della disciplina intertemporale, tracciata dall’art. 26 della legge n. 63 del 2001, volta a preservare al meglio il valore del contraddittorio – ben si spiega il "silenzio" serbato a proposito della particolare ipotesi rappresentata dalla impossibilità di ripetizione dell’atto, poiché è proprio questa una delle figure paradigmatiche in cui il contraddittorio viene ad essere legittimamente derogato, al lume della stessa norma costituzionale;

che in tale cornice, infine, non sembra neppure superfluo sottolineare come il regime della irripetibilità sopravvenuta dell’atto, con riferimento alle dichiarazioni precedentemente rese dall’imputato, rinvenga un referente normativo anche all’interno dell’art. 513 cod. proc. pen.; infatti il secondo periodo del comma 2 di tale articolo espressamente prevede che – ove non sia possibile ottenere la presenza del dichiarante, ovvero procedere all’esame in uno dei modi stabiliti nella stessa norma – "si applica la disposizione dell’articolo 512 qualora la impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento della dichiarazione": con ciò rendendo evidente la "centralità" del modello offerto dal richiamato art. 512 del codice di rito, agli effetti del recupero di dichiarazioni non riproponibili nel contraddittorio dibattimentale "per accertata impossibilità di natura oggettiva", come appunto prevede l’art. 111, quinto comma, della Costituzione;

che, di conseguenza, risultando senz’altro possibile una diversa interpretazione del quadro normativo attinto dal dubbio di costituzionalità, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative peri giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 64, comma 3-bis, del codice di procedura penale e 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 102 e 111, quinto comma, della Costituzione, dal Tribunale di Bari con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2003.