Ordinanza n. 354/2003

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ORDINANZA N 354

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Valerio ONIDA

- Carlo   MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

- Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), in relazione all’articolo 5, secondo comma, della stessa legge promosso con ordinanza del 31 luglio 2002 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palmi nel procedimento penale a carico di T.R., iscritta al n. 15 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 1° ottobre 2003 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palmi ha sollevato, in riferimento all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), in relazione all’art. 5, secondo comma, della medesima legge, nella parte in cui "sanziona la condotta di chi abbia violato la prescrizione della misura di prevenzione di "non dare ragione di sospetti"";

che il rimettente premette di essere stato investito da una richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, in riferimento ad una ipotesi di violazione delle prescrizioni inerenti la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 1423 del 1956: richiesta formulata nei confronti di un soggetto visto colloquiare – in unica occasione e per una decina di minuti – con pregiudicati;

che lo stesso giudice a quo, pur condividendo la richiesta del pubblico ministero – attesa la inidoneità del colloquio occasionale ad integrare una violazione alla prescrizione di non associarsi abitualmente a persone che hanno subito condanne – evidenzia tuttavia la possibile violazione delle prescrizioni inerenti la misura sotto altro profilo, vale a dire nella parte in cui viene prescritto al prevenuto di "non dare ragione di sospetti": prescrizione, questa, contemplata dall’art. 5, secondo comma, della medesima legge n. 1423 del 1956, ed alla quale, secondo il giudice remittente, potrebbe ritenersi riconducibile – come condotta violatrice - anche la frequentazione meramente occasionale di persone pregiudicate;

che tale profilo – in forza del quale la richiesta di archiviazione non potrebbe essere accolta e che, perciò, rende la questione concretamente rilevante nel procedimento a quo – pone la normativa coinvolta in contrasto con l’art. 25, secondo comma, della Costituzione, considerato che il principio di determinatezza e tassatività in materia penale risulterebbe violato "da una indicazione comportamentale tanto vaga e priva di connotazioni fattuali precise": indicazione delineata non già attraverso elementi materiali riconducibili all’agente, ma attraverso i possibili effetti "meramente psicologici ("sospetti")" generati dalla condotta di esso "in soggetto (l’osservatore) estraneo al destinatario del precetto penale";

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque manifestamente infondata.

Considerato che il giudice a quo - pur in presenza di una richiesta di archiviazione – prospetta la astratta riconducibilità della condotta, serbata da una persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, sotto lo schema della violazione della prescrizione di "non dare ragione di sospetti", imposta "in ogni caso" a qualsiasi prevenuto; e desume da ciò il corollario della automatica applicabilità delle sanzioni previste dall’art. 9 della legge n. 1423 del 1956 nei confronti di chi, appunto, contravvenga "gli obblighi" inerenti alla sorveglianza speciale: donde la censura di evidente indeterminatezza della ipotizzata "fattispecie" penale;

che, peraltro, è agevole osservare come la rassegna delle "prescrizioni" che il tribunale determina nei confronti del prevenuto a norma dell’art. 5 della legge n. 1423 del 1956, preveda - accanto a specifiche e qualificate condotte che configurano altrettanti e ben precisi "obblighi", tutti puntualmente circoscritti nominatim dalla previsione di legge, la quale evidentemente assume, in parte qua, valore precettivo - alcune prescrizioni di "genere"; queste ultime, riconducibili al paradigma dell’honeste vivere, sono anch’esse funzionali alla ratio essendi della sorveglianza speciale, ma non sono certo qualificabili alla stregua di specifici "obblighi" penalmente sanzionati: paradigma, quello accennato, al quale è certamente possibile ricondurre anche la prescrizione di "non dare ragione di sospetti", rappresentando essa null’altro che la proiezione esteriore del comportamento di chi osservi, appunto, il più generale precetto, costituzionalmente imposto a chiunque, di "vivere onestamente";

che, di conseguenza, non risultando il profilo evocato pertinente al caso di specie, la questione sollevata finisce per essere priva di rilevanza agli effetti delle determinazioni che il giudice a quo è chiamato ad adottare, altra essendo la "prescrizione" della cui applicazione in concreto si tratta (quella, appunto, dell’essersi o meno il prevenuto associato abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza);

che la questione proposta deve essere pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), in relazione all’art. 5, secondo comma, della medesima legge, sollevata, in riferimento all’art. 25, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palmi con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2003.