Ordinanza n. 349 del 2003

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ORDINANZA N.349

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO            

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 300 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 28 agosto 2001 dal Tribunale di Catania nel procedimento civile vertente tra Nicotra Carmelo e la IDIM spa, iscritta al n. 165 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 29 ottobre 2003 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Tribunale di Catania, con ordinanza emessa il 28 agosto 2001, ha sollevato, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 300 del codice di procedura civile, nella parte in cui subordina l’interruzione del processo, in caso di fallimento della parte, alla dichiarazione del procuratore di quest’ultima;

che, ad avviso del rimettente, la decisione di provocare o meno l’interruzione del processo, mediante la dichiarazione dell’intervenuto fallimento, non dovrebbe essere rimessa al “libero arbitrio” del procuratore della parte, che potrebbe assumere anche decisioni opposte nei diversi giudizi, ma dovrebbe essere affidata al giudice delegato, sentito il curatore e il comitato dei creditori;

che, secondo la prospettazione del rimettente, nel giudizio a quo si sarebbe verificata una lesione del diritto di difesa dell’attore, controparte della società dichiarata fallita, essendo stato interrotto soltanto il processo nel quale il predetto attore rivestiva la qualità di creditore e non il processo nel quale lo stesso è chiamato a pagare;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

che la difesa erariale sottolinea come la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità, nel respingere analoghe censure di illegittimità costituzionale, abbiano reputato idonei gli strumenti processuali posti a tutela degli interessi dei contraddittori del fallito; e che, inoltre, qualora il procuratore non renda la dichiarazione, la controparte può comunque chiamare in causa coloro ai quali spetta proseguire il giudizio, per rendere opponibile loro la sentenza.     

Considerato che il Tribunale di Catania lamenta la violazione del diritto di difesa del contraddittore del fallito, essendo rimessa, in caso di fallimento della parte, al “libero arbitrio” del procuratore di questa la decisione di provocare l’interruzione del processo, anziché essere affidata al giudice delegato, sentito il curatore e il comitato dei creditori; con la conseguenza che i processi in cui è parte il fallito potrebbero avere esiti diversi in relazione alla decisione assunta dal procuratore di quest’ultimo;

che la disciplina dell’interruzione del processo è finalizzata esclusivamente alla tutela della parte colpita dall’evento, la quale, anche se costituita, potrebbe essere pregiudicata nel suo diritto di azione o di difesa dalla prosecuzione del processo;

che la valutazione dell’effettivo verificarsi di un danno in caso di prosecuzione del processo può essere utilmente compiuta solo dal procuratore di detta parte, cui perciò è logicamente rimesso il potere di decidere se provocare o meno l’interruzione, e non potrebbe invece essere attribuita ad altri, né tantomeno al giudice, che altrimenti si sostituirebbe alla parte nell’esercizio di un diritto potestativo processuale;

che comunque la disciplina in esame garantisce anche la legittima aspettativa delle controparti di ottenere il risultato finale cui il processo è preordinato, mediante la possibilità loro concessa di citare in giudizio i soggetti legittimati alla prosecuzione;

che, diversamente da quanto sembra ritenere il rimettente, è del tutto estranea alla norma impugnata la finalità di tutelare le controparti dal “pregiudizio” della mancata interruzione del processo, la quale finalità sarebbe anzi in contrasto con la funzione stessa del processo e con il principio costituzionale che impone sia assicurata la sua ragionevole durata;

che quindi la mancata interruzione del processo in cui il contraddittore del fallito riveste la qualità di debitore non costituisce una lesione del diritto di difesa di questo, ma eventualmente solo un inconveniente di mero fatto, privo, come tale, di rilievo nel giudizio di legittimità costituzionale;

che, pertanto, la questione è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 300 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dal Tribunale di Catania con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 novembre 2003.

 

Riccardo CHIEPPA, Presidente

 

Fernanda CONTRI, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2003.