Ordinanza n. 347 del 2003

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ORDINANZA N.347

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

-          Riccardo CHIEPPA, Presidente

-          Valerio ONIDA

-          Carlo MEZZANOTTE

-          Fernanda CONTRI

-          Guido NEPPI MODONA

-          Piero Alberto CAPOTOSTI

-          Annibale MARINI

-          Franco BILE

-          Giovanni Maria FLICK

-          Francesco AMIRANTE

-          Ugo DE SIERVO

-          Romano VACCARELLA

-          Paolo MADDALENA

-          Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 3, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), come modificato dall’articolo 11 della legge 21 dicembre 1999, n. 526 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 1999) promosso con ordinanza del 29 ottobre 2002 dal Tribunale di Vercelli nel procedimento penale a carico di R.G., iscritta al n. 16 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2003.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Udito nella camera di consiglio del 1 ottobre 2003 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.   

 

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Vercelli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), come modificato dall’art. 11 della legge 21 dicembre 1999, n. 526 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 1999), nella parte in cui definisce come armi comuni da sparo le armi ad aria compressa i cui proiettili erogano un’energia cinetica superiore a 7,5 joule senza indicare i parametri di umidità, temperatura e massa dei proiettili cui riferire il predetto valore di energia cinetica;

 

che il giudice a quo riferisce di essere investito del processo penale nei confronti di persona imputata del delitto di cui agli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), per aver illegalmente detenuto nella propria abitazione una carabina ad aria compressa: processo che l’imputato aveva chiesto di definire nelle forme del giudizio abbreviato, subordinando la richiesta all’effettuazione di una perizia sull’arma, intesa a stabilire l’energia cinetica da essa erogata;

 

che dalla perizia e dal successivo confronto in aula tra il perito ed il consulente tecnico della difesa era peraltro emerso che condizioni variabili di temperatura, umidità e massa dei pallini determinavano una differente energia cinetica alla bocca di volata dell’arma;

 

che, ciò premesso, il rimettente lamenta che l’art. 2, terzo comma, della legge n. 110 del 1975, come modificato dall’art. 11 della legge n. 526 del 1999, nel qualificare come armi comuni da sparo le armi ad aria compressa i cui proiettili erogano un’energia cinetica superiore a 7,5 joule, non specifichi i parametri di temperatura, umidità e massa dei proiettili da adottare nella relativa verifica;

 

che l’omissione denunciata comporterebbe che la sussistenza del reato contestato nel giudizio a quo «venga accertata o meno» a seconda di elementi — quali appunto la temperatura, l’umidità e la massa dei pallini — casualmente incidenti sulle prove di rilevazione della potenza dell’arma;

 

che la norma impugnata violerebbe, quindi, gli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, primo comma, Cost., in quanto, da un lato, non garantirebbe la parità di trattamento degli imputati del medesimo reato, e, dall’altro lato, lederebbe il diritto di difesa dell’imputato per l’indeterminatezza della fattispecie;

 

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

 

Considerato che l’art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, nella sua originaria formulazione, qualificava in via generale le armi ad aria compressa, sia lunghe che corte, come armi comuni da sparo, fatta eccezione (oltre che per quelle destinate alla pesca) per quelle per le quali la commissione consultiva centrale per il controllo delle armi, di cui all’art. 6 della medesima legge, escluda, in relazione alle caratteristiche loro proprie, l’attitudine a recare offesa alla persona;

 

che la disposizione è stata modificata dall’art. 11 della legge 21 dicembre 1999, n. 526, nel senso di limitare la qualificazione come armi comuni da sparo alle sole armi ad aria compressa (nonché a gas compressi) i cui proiettili erogano un’energia cinetica superiore a 7,5 joule, con la perdurante esclusione, peraltro, delle armi che la commissione consultiva ritenga comunque non idonee all’offesa, per le loro caratteristiche;

 

che il limite introdotto dal legislatore del 1999 — sancendo, in sostanza, per le armi ad aria compressa a bassa potenza, una presunzione assoluta di inidoneità all’offesa — mira, in effetti, precipuamente a circoscrivere il potere discrezionale della commissione consultiva in tema di sottrazione delle armi in questione al regime delle armi comuni da sparo: potere che questa Corte aveva peraltro ritenuto, già nell’originaria configurazione (priva di puntuali delimitazioni normative), non incompatibile con i principi di uguaglianza, inviolabilità del diritto di difesa e riserva di legge in materia penale, di cui agli artt. 3, 24, secondo comma, e 25, secondo comma, Cost., rimarcando come, fin quando la commissione non si fosse pronunciata, spettasse al giudice accertare, caso per caso ed autonomamente, la concreta attitudine offensiva dell’arma (cfr. sentenze n. 132 del 1986 e n. 108 del 1982);

 

che, ciò posto, appare privo di fondamento l’assunto del rimettente, secondo cui, nell’introdurre il limite in parola, il legislatore avrebbe dovuto specificare — onde evitare la violazione degli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, primo comma, Cost. — anche le modalità di rilevazione della potenza dell’arma, con riguardo ad una serie di parametri suscettivi in assunto di influenzarla (quali, in specie, la temperatura, l’umidità e la massa dei proiettili);

 

che, infatti, il principio di determinatezza dell’illecito penale — che il giudice  a quo, pur senza evocare l’art. 25, secondo comma, Cost., pone sostanzialmente a fondamento delle proprie censure — non può essere spinto fino al punto di imporre al legislatore una analitica definizione, in termini numerici, di tutte le componenti astrattamente suscettive di incidere sulla valutazione del fatto (definizione che rischierebbe di risultare comunque non esaustiva): e ciò tanto più quando si discuta, come nella specie, di un limite normativo oltre il quale resta comunque salva la valutazione di concreta idoneità dello strumento, oggetto della condotta incriminata, all’offesa;

 

che, al di là di ciò, il giudice rimettente  — nell’affermare che, in difetto delle specificazioni normative richieste, la responsabilità dell’imputato per il delitto di illegale detenzione di arma comune da sparo finirebbe per dipendere dalle condizioni casuali di svolgimento della verifica della potenza dell’arma — mostra di confondere i due piani dell’interpretazione della norma e dell’accertamento in concreto della sua violazione;

 

che, infatti, stando alla ricostruzione operata in fatto dall’ordinanza di rimessione, il problema che si pone al giudice a quo è di stabilire se un’arma ad aria compressa i cui proiettili erogano un’energia cinetica inferiore o superiore a 7,5 joule, a seconda delle condizioni ambientali e del tipo di proiettili utilizzati, rientri o meno fra quelle «considerate» (salvo che la commissione consultiva ne escluda l’attitudine all’offesa) armi comuni da sparo in base alla norma impugnata;

 

che si tratta, peraltro, di un profilo attinente all’ordinaria verifica circa la rispondenza del fatto al modello legale tipico, che spetta al giudice risolvere con gli strumenti ermeneutici a sua disposizione: tenendo conto  segnatamente del fatto che, da un lato, i reati in materia di armi si caratterizzano come reati di pericolo, in rapporto alla funzione preventiva delle lesioni alla vita ed all’integrità fisica delle persone, suscettibili di derivare dal loro utilizzo; e che, dall’altro lato, il valore di energia cinetica legalmente tipizzato esprime una caratteristica dell’arma in sé, e non già della sua detenzione, posto che nella detenzione è insita la possibilità di utilizzare l’arma in differenti condizioni ambientali (potendo l’arma essere impiegata sia in ambienti esterni, sia in ambienti interni artificialmente riscaldati, raffreddati o deumidificati) e con i diversi tipi di proiettili che ad essa si adattano;

 

che, una volta risolto il problema interpretativo ora indicato, le condizioni di espletamento della verifica delle potenzialità dell’arma vengono in rilevo solo sul diverso piano dell’accertamento in concreto della fattispecie criminosa: accertamento che dovrà ovviamente rispecchiare — ed in modo uguale per tutti gli imputati — la soluzione data al predetto problema;

 

che le considerazioni che precedono rendono quindi evidente l’insussistenza della denunciata lesione degli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost.;

 

che la violazione dell’art. 27, primo comma, Cost. è dedotta altresì dal rimettente senza alcuna motivazione;

 

che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), come modificato dall’art. 11 della legge 21 dicembre 1999, n. 526 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 1999), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Vercelli con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 novembre 2003.

 

Riccardo CHIEPPA, Presidente

 

Giovanni Maria FLICK, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2003.