Ordinanza n. 321 del 2003

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ORDINANZA N.321

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Riccardo CHIEPPA, Presidente

-          Gustavo ZAGREBELSKY

-          Valerio ONIDA

-          Carlo MEZZANOTTE

-          Fernanda CONTRI

-          Guido NEPPI MODONA

-          Piero Alberto CAPOTOSTI

-          Annibale MARINI

-          Franco BILE

-          Giovanni Maria FLICK

-          Francesco  AMIRANTE

-      Ugo DE SIERVO

-      Romano VACCARELLA

-          Paolo MADDALENA

-          Alfio FINOCCHIARO           

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 235, 236, 237, 238, 239 e 299 (quest’ultimo nella parte in cui abroga l’art. 660 cod. proc. pen.) del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), come riprodotti nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), e dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998), promossi con ordinanze del 14 novembre 2002 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona nel procedimento di conversione della pena pecuniaria nei confronti di Negro Flavio e del 31 dicembre 2002 dal Tribunale di Genova, limitatamente agli artt. 237, 238 e 299 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel procedimento di esecuzione nei confronti di Comperatore Michele, iscritte ai nn. 14 e 168 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 5 e 14, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 settembre 2003 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona, in qualità di giudice dell’esecuzione, con ordinanza depositata il 14 novembre 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale «degli artt. da 235 a 239 e 299 (quest’ultimo nella parte in cui abroga l’art. 660 cod. proc. pen.)» del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia), come riprodotti nel decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), con riferimento agli artt. 76, 97, primo comma, e 111 della  Costituzione, nonché, in via subordinata, dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998), con riferimento all’art. 76 della Costituzione;

che, ad avviso del rimettente, le suddette norme del decreto legislativo n. 113 del 2002, con le quali è stata attribuita al giudice dell’esecuzione la competenza, precedentemente spettante al magistrato di sorveglianza, in tema di rateizzazione e conversione di pene pecuniarie, si porrebbero in contrasto con l’art. 76 Cost. per la mancanza di una valida delega a disciplinare la materia delle sanzioni pecuniarie e, in ogni caso, quella relativa alle regole processuali e alla competenza;

che, diversamente opinando, dovrebbe allora ritenersi illegittima, per violazione dell’art. 76 Cost., la stessa norma di delega di cui all’art. 7 della legge n. 50 del 1999, per la genericità e la mancata indicazione, in materia, di idonei principi e criteri direttivi;

che le richiamate norme del decreto legislativo n. 113 del 2002, attribuendo all’organo della cognizione incombenze ulteriori e marginali rispetto a quelle proprie della giurisdizione penale, determinerebbero inoltre una inevitabile perdita di efficienza del sistema giudiziario, tale da violare il principio di buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97, primo comma, Cost., e quello di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 della Costituzione;

che il Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Genova, nel corso di un procedimento di conversione di pene pecuniarie, con ordinanza depositata il 31 dicembre 2002 ha sollevato, in riferimento all’art. 76 Cost., analoga questione di legittimità costituzionale degli artt. 237, 238 e 299 (nella parte in cui abroga l’art. 660 cod. proc. pen.) del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sul rilievo della mancanza di una delega espressa riguardo alla disciplina della competenza in materia di conversione delle pene pecuniarie;

che, nel primo giudizio, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di manifesta inammissibilità o, comunque, di infondatezza della questione;

che l’art. 239 del d.P.R. n. 115 del 2002 sarebbe – secondo l’Avvocatura – norma di rango non legislativo, perciò sottratta al sindacato di legittimità costituzionale, derivando dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 114 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia);

che la questione riguardante gli artt. 235, 236 e 237 del decreto legislativo n. 113 del 2002 sarebbe priva di rilevanza, trattandosi di norme delle quali il giudice a quo non deve fare applicazione;

che, nel merito, l’intervenuta modifica in tema di competenza sarebbe frutto di una scelta non arbitraria né irragionevole del legislatore, in quanto volta a soddisfare un’esigenza di coerenza ed uniformità del sistema con riferimento a principi già esistenti nell’ordinamento, quali quelli espressi nell’art. 42 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), che attribuisce appunto al giudice di pace competente per l’esecuzione l’adozione dei provvedimenti in ordine alla rateizzazione e alla conversione della pena pecuniaria;

che non sussisterebbe il prospettato eccesso di delega in quanto – secondo la giurisprudenza della Corte - il silenzio della legge di delegazione non osterebbe all’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e completamento della scelta espressa dal legislatore delegante e delle ragioni ad essa sottese;

che il parametro di cui all’art. 97 Cost. sarebbe inconferente, in quanto riferibile esclusivamente all’attività legislativa e non anche a quella giurisdizionale;

che il riferimento al parametro di cui all’art. 111 Cost. sarebbe infine – secondo l’Avvocatura - «contraddittorio ed inammissibile per manifesta non rilevanza».

Considerato che i due giudizi, avendo ad oggetto norme parzialmente coincidenti, vanno riuniti per essere decisi con unico provvedimento;

che questa Corte, con sentenza n. 212 del 2003, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 237, 238 e 299 – quest’ultimo nella parte in cui abroga l’art. 660 cod. proc. pen. - del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia);

 che vanno pertanto restituiti gli atti ai giudici rimettenti per un nuovo esame della rilevanza della questione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona ed al Tribunale di Genova.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 ottobre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 ottobre 2003.