Ordinanza n. 295 del 2003

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ORDINANZA N.295

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria  FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo  MADDALENA

- Alfio FINOCCHIARO 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 2-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza del 7 giugno 2002 dal Tribunale di Vercelli sul ricorso proposto da Mila Iliada contro il Comitato per i minori stranieri, iscritta al n. 544 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 2002.

            Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 2 luglio 2003 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

            Ritenuto che, a seguito di ricorso ai sensi dell'art. 30, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), proposto da una minore di nazionalità albanese, rappresentata dal suo tutore (nominato nella persona dell'assessore pro tempore alle politiche sociali del Comune di Vercelli), contro il provvedimento in data 21 marzo 2002, con il quale il Comitato per i minori stranieri ha disposto, a norma dell'art. 33, comma 2-bis, del medesimo d.lgs. n. 286 del 1998, il rimpatrio assistito della ricorrente presso i suoi genitori residenti in Albania, il giudice monocratico dell'adito Tribunale di Vercelli, con ordinanza del 7 giugno 2002, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, del citato art. 33, comma 2-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui non prevede la competenza del tribunale per i minorenni in ordine ai ricorsi contro i provvedimenti del Comitato per i minori stranieri ivi contemplati;

            che - osserva il giudice rimettente - l'art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 prevede il ricorso al tribunale ordinario in composizione monocratica contro i provvedimenti amministrativi «in materia di diritto all'unità familiare», ma fra questi provvedimenti non possono comprendersi quelli di cui agli artt. 31 e seguenti del medesimo d.lgs. n. 286 del 1998, in particolare quelli emessi dal Comitato per i minori stranieri ex art. 33, comma 2-bis, i quali riguardano la diversa materia della «tutela dei minori»;

            che l'estraneità dei provvedimenti testé menzionati all'ambito applicativo del rimedio giurisdizionale innanzi richiamato troverebbe conferma sia in argomenti letterali (l'art. 30, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 parla solo di «diritto all'unità familiare», mentre il titolo IV del medesimo decreto, titolo nel quale tale articolo è collocato, è intestato alla «tutela dell'unità familiare» e alla «tutela dei minori»); sia in argomenti "topografici" (la disposizione che prevede il rimedio de quo è ubicata non già alla fine del titolo, ma a chiusura delle sole norme disciplinanti l'unità familiare); sia in argomenti logici (diversamente opinando, il ricorso previsto a tutela del diritto all'unità familiare potrebbe essere proposto contro provvedimenti diretti a provocare il ricongiungimento del minore alla sua famiglia, e, così, potrebbe essere, assurdamente, utilizzato per perseguire una finalità antitetica a quella che ne costituisce la ratio);

            che, poiché l'art. 33, comma 2-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, nel prevedere il provvedimento di rimpatrio assistito del minore straniero non accompagnato, non somministra uno specifico strumento di tutela giurisdizionale contro tale provvedimento, questo, in quanto proveniente da un'autorità amministrativa (quale senza dubbio è il Comitato per i minori stranieri), sarebbe soggetto alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, con la conseguenza che il giudice a quo dovrebbe dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 37 del codice di procedura civile;

            che, quanto alla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, il giudice rimettente osserva che, ove essa fosse accolta, egli dovrebbe dichiarare non già il difetto di giurisdizione, ma la propria incompetenza per materia ex art. 38, primo comma, cod. proc. civ., e indicare quale giudice competente il tribunale per i minorenni, davanti al quale il procedimento potrebbe essere riassunto a norma dell'art. 50, primo comma, cod. proc. civ.;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo osserva che, alla stregua del principio di razionalità e di intrinseca coerenza dell'ordinamento ex art. 3 Cost., dovrebbe essere affermata la competenza del tribunale per i minorenni in subiecta materia, giacché i provvedimenti del Comitato per i minori stranieri devono essere finalizzati alla tutela dei diritti di tali minori (come si evince dallo stesso art. 33, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998) e, quindi, pure il sindacato giurisdizionale di detti provvedimenti deve essere svolto tenendo in prioritaria considerazione l'interesse del minore straniero, interesse che ha giustificato la competenza del tribunale per i minorenni in ordine agli altri provvedimenti - riguardanti i medesimi soggetti - previsti dallo stesso decreto legislativo (autorizzazione all'ingresso o alla permanenza del familiare del minore straniero: art. 31, comma 3; espulsione del minore straniero: art. 31, comma 4);

            che, in particolare, poiché tanto l'espulsione quanto il rimpatrio del minore straniero si risolvono entrambi in un "allontanamento coatto" del minore dal territorio nazionale, sarebbe manifestamente irragionevole prevedere l'intervento del tribunale per i minorenni solo per il primo provvedimento e non anche per il secondo;

            che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha dedotto l'irrilevanza e l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale;

            che, con successiva memoria, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito l'eccezione d'inammissibilità della questione per la carenza di giurisdizione del giudice rimettente, da lui stesso riconosciuta, e, comunque, l'infondatezza della questione, avendo questa Corte già ritenuto non irragionevole il riparto di giurisdizione operato dal t.u. n. 286 del 1998 tra giudice ordinario e giudice amministrativo (ordinanza n. 414 del 2001) e rientrando in ogni caso nella discrezionalità del legislatore «il conferimento al giudice ordinario o al giudice amministrativo ovvero al giudice per i minori del potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti» (sentenza n. 275 del 2001); senza dire, ancora, che il rimpatrio previsto dall'art. 33, comma 2, non è assimilabile al provvedimento di cui all'art. 31 di competenza del tribunale per i minorenni.

            Considerato che il Tribunale di Vercelli dubita, in riferimento all'art. 3 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 2-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui non prevede, in luogo della giurisdizione del giudice amministrativo, la competenza del tribunale per i minorenni a giudicare dei ricorsi avverso i provvedimenti di rimpatrio del minore straniero non accompagnati (cosiddetto "rimpatrio assistito") emessi dal Comitato per i minori stranieri istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi del medesimo art. 33, comma 1;

            che la questione di costituzionalità è manifestamente inammissibile in quanto la sua rilevanza nel giudizio a quo è stata oggetto di disamina del tutto inadeguata;

            che, infatti, il giudice a quo esclude radicalmente di poter emettere nel giudizio davanti a lui pendente un provvedimento di merito in ogni caso – e cioè, sia nell'ipotesi che la questione di legittimità costituzionale sia ritenuta infondata da questa Corte (nel qual caso la potestas iudicandi spetterebbe, a suo dire, al tribunale amministrativo regionale) sia nell'opposta ipotesi di fondatezza (nel qual caso spetterebbe al tribunale per i minorenni) – sicché la pronuncia di questa Corte varrebbe esclusivamente a definire il tipo (se declinatoria della giurisdizione ovvero della competenza) della pronuncia di rito che il giudice  a quo  ritiene, in ogni caso, di dover emettere;

            che – anche a voler prescindere dal rilievo per cui solo il giudice (che sarebbe) competente può pronunciarsi sul (preteso) difetto di giurisdizione e, conseguentemente, sulla costituzionalità di tale (pretesa) attribuzione della giurisdizione – è evidente che la pronuncia richiesta a questa Corte esigerebbe una adeguata motivazione sul presupposto interpretativo da cui muove il rimettente, dal momento che questa Corte dovrebbe, nell'ipotesi di accoglimento, ad un tempo, dichiarare costituzionalmente doverosa l'attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario e, nell'ambito di questa, della competenza al tribunale per i minorenni, ovvero, in caso di rigetto, "confermare", quasi "regolandola", la giurisdizione del TAR;

            che tale adeguata motivazione non è dato rinvenire nell'ordinanza di rimessione, attesa tanto l'inconsistenza del cosiddetto argomento "topografico" quanto l'evidente tautologia che si annida negli argomenti letterale e logico;

            che, superfluo ogni indugio sul primo argomento, è sufficiente, quanto agli altri due, considerare che la denominazione del titolo IV del d.lgs. n. 286 del 1998 («diritto all'unità familiare e tutela dei minori») non allude certamente a due distinte – e, nella prospettazione del rimettente, non comunicanti – materie, come testualmente (a tacer d'altro) chiarisce l'art. 28 (rubricato «diritto all'unità familiare»), quando, al comma 3, prescrive che «in tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all'unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo»;

            che, costituendo il «diritto all'unità familiare e la tutela dei minori» una endiadi, è ben concepibile un ricorso avverso un provvedimento che miri, ma ledendo "il superiore interesse" del minore, a ricongiungerlo alla famiglia, senza che possa parlarsi di «finalità antitetica rispetto a quella che rappresenta la ratio» del rimedio stesso;

            che, peraltro, l'unitarietà della materia disciplinata dal titolo IV del d.lgs. n. 286 del 1998 – il diritto all'unità familiare nel rispetto del superiore interesse del minore – è presupposta dal d.P.C.m. 9 dicembre 1999, n. 535 (Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri), la cui disciplina rispecchia l'intreccio tra unità familiare e tutela del minore (art. 1, comma 4; art. 2, commi 1 e 2), ed è stata espressamente riconosciuta da questa Corte, che ha ritenuto legittima la scelta legislativa di «affidare la tutela relativa al diritto all'unità familiare (comprensiva della protezione dei minori)» al giudice ordinario (ordinanza n. 140 del 2001);

            che, ancora, trattandosi certamente di diritti soggettivi, una deroga al normale riparto di giurisdizione avrebbe richiesto – come, peraltro, ritenuto dalla dominante giurisprudenza dei TAR, declinatoria della giurisdizione - una espressa (o, quanto meno, non equivoca) previsione legislativa, certamente non desumibile dalla collocazione della norma che attribuisce al tribunale i ricorsi «contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare»;

            che, infine, non è ravvisabile alcuna omogeneità tra l'ipotesi di cosiddetto "rimpatrio assistito" di cui all'art. 33 e quella di espulsione del minore di cui all'art. 31, comma 4, e ciò non soltanto per la diversità dei presupposti, ma anche perché nella seconda ipotesi il tribunale per i minorenni è chiamato ad emettere quel medesimo "provvedimento di espulsione" del minore che, nel caso del maggiorenne, è di competenza del prefetto (art. 13, comma 2) e contro il quale è dato ricorso al tribunale ordinario (art. 13, comma 8);

            che, conclusivamente, è del tutto inadeguata la motivazione dell'ordinanza di rimessione, volta ad escludere la giurisdizione del giudice ordinario per poi postulare come costituzionalmente necessitata – in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, che riconosce in proposito ampia discrezionalità al legislatore (sentenze n. 135 del 1980, n. 429 del 1991, n. 451 del 1997 e, implicitamente, la citata ordinanza n. 140 del 2001) – la competenza del tribunale per i minorenni in luogo di quella del tribunale che ha sollevato la questione di costituzionalità.

            Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

            dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 2-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale di Vercelli con l'ordinanza in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2003.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 agosto 2003.