Ordinanza n. 293 del 2003

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ORDINANZA N.293

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Paolo MADDALENA

- Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, lettera b), legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza) promosso con ordinanza del 7 ottobre 2002 dal Tribunale di Savona sul ricorso presentato da, iscritta al n. 550 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 27 dicembre 2002, prima serie speciale, edizione straordinaria.

    Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

    udito nella camera di consiglio del 4 giugno 2003 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

    Ritenuto che il Tribunale di Savona – adito con ricorso presentato da Margarita Coppo Zaimaj per ottenere dalla competente Questura il rinnovo del passaporto – con ordinanza del 7 ottobre 2002 (R.O. n. 550 del 2002), ha sollevato, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, questione di costituzionalità dell'art. 9, comma 1, lettera b), della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), nella parte in cui non prevede che divenga immediatamente cittadino italiano lo straniero maggiorenne che, a seguito della adozione da parte di cittadino italiano, perda la cittadinanza del paese di origine;

    che il giudice a quo premette che la ricorrente, nata in Albania, è stata adottata con decreto in data 4 dicembre 2000 e che, da quella data, non è più cittadina albanese per effetto della cancellazione dall'ufficio dello stato civile del suo paese a seguito della comunicazione del decreto di adozione e aggiunge che non può ancora acquistare la cittadinanza italiana, non essendo decorso il termine previsto dall'art. 9 della legge n. 91 del 1992, con la conseguenza che non può munirsi di documento valido per l'espatrio;

    che, secondo il giudice rimettente, l'art. 9 cit. - non prevedendo la “immediata concessione” della cittadinanza allo straniero maggiorenne adottato, proveniente da uno Stato la cui legislazione stabilisca la perdita della cittadinanza al momento dell'adozione da parte di uno straniero – violerebbe, in primo luogo, l'art. 2 della Costituzione, comprimendo il diritto inviolabile di ciascuno ad avere una propria cittadinanza e ad ottenere i documenti che gli consentano di soggiornare regolarmente nel proprio paese e di spostarsi da un paese all'altro, e contrasterebbe con l'art. 3 della Costituzione, perché introducendo una disparità di trattamento non giustificata rispetto al minore straniero adottato da cittadino italiano per il quale (secondo la previsione dell'art. 3 della stessa legge) il legislatore ha voluto evitare che l'adottato, anche se nel frattempo divenuto maggiorenne, rimanga privo di cittadinanza;

    che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata, per la ragionevolezza della diversa disciplina tra adottato maggiorenne e minorenne, nel contesto di adeguate garanzie per entrambe le fattispecie;

    che, secondo la difesa erariale, la previsione di un procedimento di naturalizzazione attivato da una manifestazione di volontà per l'adottato maggiorenne, in luogo dell'acquisto ope legis della cittadinanza dei genitori per gli adottati minorenni, trova ragionevole fondamento nella necessità di salvaguardare la volontà degli adottati, in linea con uno dei principi fondamentali della riforma del 1992;

    che, inoltre, la previsione – innovativa rispetto alla precedente disciplina, che non conteneva alcun beneficio per l'adottato maggiorenne – del termine quinquennale, invece di quello decennale stabilito per le altre fattispecie di naturalizzazione, costituisce una ragionevole e giustificata cautela del legislatore per evitare l'insorgenza di adozioni fittizie, con la conseguenza che la possibilità – per effetto delle disposizioni della legge nazionale d'origine – che alcuni adottati si trovino temporaneamente senza alcuna cittadinanza, appare giustificata in relazione agli interessi da comparare, tanto più che il riconoscimento amministrativo o giudiziale medio tempore dello stato di apolide (art. 17, d.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572, Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza) attribuisce agli interessati la possibilità di ottenere un titolo di viaggio per l'estero e di essere iscritti nel registro dell'anagrafe del Comune di residenza e di essere titolari di tutti gli altri diritti connessi allo stato di apolide, in Italia sostanzialmente equiparato al cittadino.

    Considerato che il giudice rimettente afferma in modo del tutto apodittico ed immotivato la rilevanza della questione nel giudizio a quo;

    che, d'altra parte, non è possibile desumere tale rilevanza dalla descrizione della fattispecie dedotta in giudizio, dal momento che, nell'ordinanza, ci si limita ad enunciare che il ricorso è stato proposto al fine di ottenere dalla competente Questura il rinnovo del passaporto a suo tempo rilasciato;

    che non risulta con chiarezza quale azione sia stata esercitata nel giudizio a quo, né quali sarebbero gli effetti sullo stesso di un eventuale accoglimento della eccezione di costituzionalità proposta, anche in considerazione del fatto che sulle questioni relative al passaporto, nonché su quelle relative all'acquisto della cittadinanza, per naturalizzazione, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo;

    che, pertanto, risulta la manifesta inammissibilità della questione sollevata.

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

    Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 1, lettera b) della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, dal Tribunale di Savona, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2003.

    Riccardo CHIEPPA, Presidente

    Alfio FINOCCHIARO, Redattore

    Depositata in Cancelleria il 4 agosto 2003.