Ordinanza n. 271/2003

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ORDINANZA N.271

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA                

– Paolo MADDALENA         

– Alfio FINOCCHIARO       

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 18 giugno 2002 dalla Corte d’appello di Potenza nel procedimento penale a carico di V. S., iscritta al n. 487 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2003 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che nel corso di un procedimento di ricusazione la Corte d’appello di Potenza, con ordinanza del 18 giugno 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudice dell’udienza preliminare per il giudice che, nell’ambito dello stesso procedimento e all’esito di una precedente udienza preliminare, abbia pronunciato sentenza di non luogo a procedere, poi annullata, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto;

che – premette il giudice a quo – il procedimento ha ad oggetto la dichiarazione di ricusazione proposta da un imputato nei confronti del giudice dell’udienza preliminare chiamato, per la seconda volta nel corso dello stesso procedimento, a celebrare l’udienza preliminare avente ad oggetto l’originaria richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero, dopo che, all’esito della prima udienza preliminare, il medesimo magistrato aveva disposto il rinvio a giudizio dell’imputato per due delle originarie imputazioni e aveva emesso sentenza di non luogo a procedere, a norma dell’art. 425 cod. proc. pen., in riferimento al terzo dei reati contestati;

che, secondo la Corte rimettente, la regressione del procedimento alla fase dell’udienza preliminare sarebbe stata operante in riferimento a tutti e tre i reati originariamente contestati, per effetto dell’intervenuto annullamento, da parte del giudice dibattimentale, di atti della prima udienza preliminare, ciò che – precisa il giudice a quo – avrebbe "travolto" anche la sentenza di non luogo a procedere;

che la Corte d’appello precisa i termini della questione sottolineando come "la prima delle denunciate (dal ricusante) incompatibilità del giudice dell’udienza preliminare (e cioè per avere quegli già emesso nei confronti dello stesso imputato ed in relazione allo stesso fatto sentenza ex art. 425 cod. proc. pen.) implica [...] rimessione degli atti alla Corte costituzionale", alla stregua della più recente giurisprudenza costituzionale in materia di incompatibilità – in particolare, della sentenza n. 224 del 2001 – e altresì alla luce delle profonde trasformazioni che hanno inciso sulla struttura e sulla natura dell’udienza preliminare a opera della legge 16 dicembre 1999, n. 479;

che, ad avviso del giudice a quo, le innovazioni normative, operando sia sul piano degli elementi valutativi che possono trovare ingresso nell’udienza preliminare, sia su quello dei poteri correlativamente attribuiti al giudice, sia, infine, sulla gamma di decisioni adottabili all’esito dell’udienza, fanno sì – come sottolineato dalla Corte nella citata pronuncia – che l’"alternativa decisoria che si offre al giudice quale epilogo dell’udienza preliminare riposi, dunque, su una valutazione del merito dell’accusa ormai non più distinguibile – quanto ad intensità e completezza del panorama delibativo – da quella propria di altri momenti processuali già ritenuti non solo "pregiudicanti" ma anche "pregiudicabili" ai fini della sussistenza dell’incompatibilità";

che le più penetranti valutazioni circa il merito dell’accusa che connoterebbero ora la sentenza di non luogo a procedere, come tra l’altro dimostrato dalla possibilità offerta al giudice di non disporre il rinvio a giudizio anche in caso di insufficienza, contraddittorietà o comunque inidoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio (art. 425, comma 3, cod. proc. pen.), deporrebbero per il superamento delle ragioni che, prima della citata riforma introdotta dalla legge n. 479 del 1999, avevano indotto la Corte costituzionale ad affermare, in riferimento all’udienza preliminare celebrata nel processo ordinario, che in tale sede il giudice non era chiamato ad esprimere valutazioni sul merito dell’accusa, ma solo a verificare, in una delibazione di carattere processuale, la legittimità della domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero;

che, conclude la rimettente, anche se talune recenti decisioni della Corte costituzionale – e segnatamente le ordinanze n. 39 del 2002 e n. 185 del 2001 – lasciano trasparire l’intenzione di tenere ferma la precedente giurisprudenza relativa alla natura processuale dell’udienza preliminare, la citata pronuncia n. 224 del 2001 lascerebbe intatta "la perdurante problematicità della questione", imponendo di sollevare la questione di costituzionalità dell’art. 34, comma 1, cod. proc. pen., nei termini sopra considerati, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione;

che nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che la Corte d’appello di Potenza dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla funzione di giudice dell’udienza preliminare per il giudice che, nell’ambito dello stesso procedimento e all’esito di una precedente udienza preliminare, abbia pronunciato sentenza di non luogo a procedere, poi annullata, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto;

che, indipendentemente dalla esattezza dell’assunto del giudice a quo circa l’annullamento della sentenza di non luogo a procedere quale effetto necessario di un provvedimento emesso dal giudice dibattimentale in relazione ad atti dell’udienza preliminare, ai fini della decisione della questione è sufficiente osservare che questa Corte ha recentemente dichiarato l’infondatezza di analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 cod. proc. pen., sollevata in quanto tale disposizione non considerava quale ipotesi di incompatibilità quella della ripetizione della trattazione dell’udienza preliminare da parte dello stesso magistrato in caso di regressione del procedimento (sentenza n. 335 del 2002);

che, in particolare, avendo rilevato che le innovazioni legislative ricordate dal rimettente (legge n. 479 del 1999) hanno profondamente inciso sulla struttura dell’udienza preliminare, questa Corte ha affermato che tale udienza è divenuta, agli effetti della disciplina dell’incompatibilità del giudice, un momento di "giudizio" e che pertanto, ove ne sussistano gli ulteriori presupposti, essa rientra nelle previsioni dell’art. 34 cod. proc. pen. che dispongono l’incompatibilità del giudice che abbia già giudicato sulla medesima res iudicanda (v., oltre alla pronuncia sopra citata, altresì la sentenza n. 224 del 2001 e le ordinanze n. 367 e n. 490 del 2002);

che, pertanto, essendo tale conclusione idonea a ricomprendere nel raggio di azione dell’istituto dell’incompatibilità la funzione di trattazione dell’udienza preliminare, indipendentemente dalla specifica causa che di volta in volta abbia determinato la reiterazione di detta funzione in capo allo stesso giudice-persona fisica, nell’ambito dello stesso procedimento e in relazione alla medesima res iudicanda, spetta al giudice trarre le conseguenze di tale principio in rapporto alla singola situazione processuale che è chiamato a definire;

che dunque la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Potenza con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2003.