Ordinanza n. 235 del 2003

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.235

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Riccardo                          CHIEPPA                              Presidente

-      Gustavo                           ZAGREBELSKY                    Giudice

-      Valerio                             ONIDA                                         "

-      Carlo                                MEZZANOTTE                           "

-      Fernanda                         CONTRI                                       "

-      Guido                              NEPPI MODONA                       "

-      Piero Alberto                   CAPOTOSTI                                "

-      Annibale                          MARINI                                       "

-      Franco                             BILE                                             "

-      Giovanni Maria               FLICK                                          "

-      Francesco                        AMIRANTE                                 "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Romano                           VACCARELLA                           "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 5 marzo 1990, n. 45 (Norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per i liberi professionisti), promosso con ordinanza del 20 aprile 2002 dal Tribunale di Torino nel procedimento civile vertente tra Vanda Graziosi contro Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti, iscritta al n. 339 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti gli atti di costituzione di Vanda Graziosi e della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2003 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi gli avvocati Marcello Troiani per Vanda Graziosi, Michele Iacoviello Jr. per la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti nonché l’avvocato dello Stato Massimo Mari per il Presidente del Consiglio di ministri.

Ritenuto che nel corso di un procedimento civile instaurato dalla signora Vanda Graziosi nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti al fine di ottenerne la condanna alla restituzione di quanto complessivamente versato dal fratello defunto a titolo sia di contributi relativi al periodo 1° gennaio 1970-27 giugno 2000 di iscrizione alla Cassa convenuta, sia di onere per la ricongiunzione di sei anni di anzianità contributiva maturati presso l’INPS (nel periodo 1° gennaio 1963-31 gennaio 1969), chiesta ed ottenuta dal de cuius il 19 aprile 1994, il Tribunale di Torino ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 5 marzo 1990, n. 45 (Norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per i liberi professionisti), nella parte in cui dispone che nei confronti dei soggetti che si siano avvalsi della facoltà di ricongiunzione non si applica l’art. 21 della legge 29 gennaio 1986, n. 21, il quale consente a coloro che cessano dall’iscrizione alla Cassa convenuta senza aver maturato i requisiti per il diritto a pensione – ed, eventualmente, agli eredi di questi che, come la ricorrente, non abbiano diritto alla pensione indiretta – di richiedere la restituzione dei contributi versati alla Cassa stessa;

che il remittente, dopo aver precisato che la domanda di rimborso formulata dalla signora Graziosi è inaccoglibile in quanto fondata sul menzionato art. 21 rispetto alla cui applicazione l’art. 8 impugnato rappresenta «un limite insormontabile», osserva che, pur contrastando con la ratio del contratto di tipo aleatorio la previsione della restituzione dei contributi nell’ipotesi in cui non vengano raggiunti i requisiti per il diritto a pensione, tuttavia l’impugnata disposizione appare lesiva del principio di razionalità poiché, senza alcuna valida giustificazione, porta a trattare in modo diverso situazioni uguali;

che al riguardo il giudice a quo precisa che, in casi come quello in esame, pur dovendo escludersi la rimborsabilità dei contributi trasferiti dall’INPS alla Cassa in quanto essi comunque dovrebbero tornare all’ente di provenienza avendo avuto a suo tempo una precisa funzione assicurativa, tuttavia, «almeno fino a quando si considera valido, costituzionale e finanziariamente corretto l’art. 21», non vi è alcuna giustificazione per negare, in funzione del solo esercizio della facoltà di ricongiunzione, la restituzione sia dei contributi versati direttamente alla Cassa (sulla cui entità e destinazione la ricongiunzione non incide affatto) sia di quanto ad essa corrisposto come onere per la ricongiunzione (il cui trattenimento da parte della Cassa, in un sistema in cui è ammessa la possibilità del rimborso dei contributi non utilizzati da parte dell’assicurato, viene a costituire una sorta di arricchimento senza causa);

che, infatti, l’equilibrio finanziario della prestazione gravante sulla Cassa non subisce alcuna modifica per effetto della ricongiunzione perché l’ente, per dare attuazione alla relativa istanza dell’assicurato, non si limita a chiedere ed ottenere i contributi versati a suo tempo nella gestione di provenienza, ma ottiene dall’assicurato cospicue integrazioni di tale somma, sulla base del calcolo della riserva matematica, corrispondente al capitale destinato ad alimentare l’incremento di pensione derivante dalla ricongiunzione che dovrà essere erogato all’iscritto non appena avrà maturato i requisiti per accedere alla prestazione;

che nel caso di specie, infatti, il periodo contributivo presso l’INPS, pari al valore nominale di lire 4.379.000 (comprensivo di interessi), è stato significativamente integrato con il versamento da parte dell’assicurato della somma di lire 44.802.000, onde raggiungere la riserva matematica calcolata in lire 49.181.000:

che nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti e la signora Vanda Graziosi;

che la Cassa chiede una dichiarazione di infondatezza della questione rilevando che un eventuale diritto alla restituzione dei contributi non utilizzati dall’interessato può sussistere solo se specificamente attribuito da apposite norme derogatorie – una delle quali è l’art. 21 della legge n. 21 del 1986 – che, come tali, sono di stretta interpretazione;

che, nel caso di specie, i requisiti di cui all’art. 21 ora menzionato non sussistono in quanto l’art. 8 della legge n. 45 del 1990 esclude espressamente il diritto al suddetto rimborso nei confronti dei soggetti che si siano avvalsi della facoltà di ricongiunzione prevista dalla stessa legge;

che la signora Graziosi chiede, invece, che la questione sia dichiarata fondata ribadendo, sostanzialmente, le argomentazioni del giudice remittente e soggiungendo che la auspicata rimborsabilità dovrebbe essere estesa anche ai contributi trasferiti dall’INPS alla Cassa convenuta;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata, sul principale rilievo della non condivisibilità della premessa logica da cui muove il remittente, rappresentata dalla asserita identità della situazione del professionista che versa esclusivamente i contributi alla rispettiva Cassa previdenziale e di quella del professionista che si avvalga della facoltà, prevista dalla legge n. 45 del 1990, di chiedere la ricongiunzione di tutti i periodi di contribuzione ovunque versati;

che la difesa erariale sottolinea, inoltre, la specificità dell’istituto della ricongiunzione, la quale giustifica il diverso trattamento anche con riferimento alla ripetizione dei contributi versati;

che, in altri termini, la contestata esclusione del diritto al rimborso è perfettamente corrispondente alla logica che ispira tutta la normativa dettata dalla legge n. 45 del 1990 nella quale va attribuito un ruolo centrale alla disposizione di cui all’art. 4, comma 3, che prevede l’irrevocabilità della domanda di ricongiunzione in caso di accettazione – anche implicita – da parte dell’interessato della proposta della gestione previdenziale circa le modalità di versamento e l’entità del relativo onere.

Considerato che il Tribunale di Torino dubita, in relazione all’articolo 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 8 della legge 5 marzo 1990, n. 45, nella parte in cui dispone che nei confronti dei soggetti che si siano avvalsi della facoltà di ricongiunzione dei contributi previdenziali non si applica l’articolo 21 della legge 29 gennaio 1986, n. 2l;

che tale disposizione consente a coloro che cessano dall’iscrizione alla Cassa di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti e ai loro eredi non aventi diritto alla pensione indiretta di chiedere la restituzione dei contributi versati purché, nell’un caso e nell’altro, l’iscritto non abbia maturato i requisiti per il diritto a pensione;

che il giudice remittente, mentre espone che l’iscritto aveva versato per oltre trent’anni contributi alla Cassa ed aveva fruito per oltre sei anni di una posizione previdenziale presso l’INPS riguardo alla quale si era avvalso della facoltà di ricongiunzione, non descrive compiutamente la fattispecie, omettendo anche di indicare l’età del professionista;

che l’ordinanza di rimessione non fornisce alcuna motivazione sull’accertamento del mancato conseguimento da parte del medesimo dei requisiti del diritto a pensione e quindi sull’esistenza del diritto alla restituzione dei contributi, ma si limita sul punto a far propria implicitamente la tesi della ricorrente;

che le suindicate omissioni, impedendo alla Corte di svolgere la necessaria verifica circa l’incidenza della richiesta pronuncia sulla situazione soggettiva fatta valere in giudizio, si risolvono in una carenza di motivazione sulla rilevanza della questione prospettata nel giudizio a quo;

che, pertanto, la questione stessa è manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 5 marzo 1990, n. 45 (Norme per la ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per i liberi professionisti), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria l'11  luglio 2003.