Ordinanza n. 204 del 2003

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ORDINANZA N.204

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Riccardo                       CHIEPPA                                  Presidente

-      Gustavo                        ZAGREBELSKY                        Giudice

-      Valerio                          ONIDA                                              "

-      Carlo                             MEZZANOTTE                                "

-      Fernanda                       CONTRI                                            "

-      Guido                            NEPPI MODONA                            "

-      Piero Alberto                CAPOTOSTI                                     "

-      Franco                           BILE                                                  "

-      Giovanni Maria             FLICK                                               "

-      Ugo                               DE SIERVO                                      "    

-      Romano                        VACCARELLA                               "

-      Alfio                             FINOCCHIARO                               "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), promosso con ordinanza del 9 aprile 2002 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra De Simone Annarita e Cirimbilla Giovanni ed altro, iscritta al n. 525 del registro ordinanze 2002  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 marzo 2003 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 9 aprile 2002, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), nella parte in cui non prevede che, in caso di cessazione della convivenza more uxorio, al conduttore di un immobile ad uso abitativo succeda nel contratto di locazione il convivente rimasto nella detenzione dell’immobile, anche in mancanza di prole comune;

che il rimettente, che ha già sollevato nel medesimo giudizio la stessa questione di legittimità costituzionale, dichiarata manifestamente inammissibile con ordinanza n. 61 del 2002, per carente descrizione della concreta fattispecie, provvede ad integrare la motivazione, indicando compiutamente gli elementi in fatto;

che il giudice a quo, dopo aver richiamato le ragioni già esposte nella precedente ordinanza a sostegno della pretesa illegittimità costituzionale, osserva come nella coscienza sociale la posizione del convivente possa ormai essere equiparata a quella del coniuge, pur in mancanza di figli comuni, soprattutto quando la convivenza si sia protratta per molti anni e sottolinea l’esigenza di consentire la successione nel contratto nel caso di cessazione della convivenza senza prole comune come particolarmente avvertita anche in relazione alla fondamentale importanza assunta dal bene-abitazione; 

che pertanto, ad avviso del rimettente, sarebbe necessario riconoscere il diritto di abitazione al convivente rimasto nella casa comune, poiché altrimenti la norma sembra ledere il principio di eguaglianza sia con riguardo alla posizione del coniuge che a quella del convivente con prole comune;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata;

che, in particolare, ad avviso della difesa erariale, le sentenze della Corte costituzionale n. 404 del 1988 e n. 559 del 1989, che pure hanno configurato il diritto all’abitazione quale diritto fondamentale degno di adeguata tutela, non potrebbero invocarsi nella fattispecie, nella quale non ricorre l’esigenza di tutela di un nucleo familiare, per mancanza di prole comune.

Considerato che il Tribunale di Roma sollecita una pronuncia additiva con la quale si affermi il diritto del convivente more uxorio a succedere nel contratto di locazione, allorché sia cessata la convivenza e non vi sia prole comune;

che il giudice a quo considera la norma impugnata lesiva del principio di eguaglianza, sia con riguardo alla posizione del coniuge sia con riguardo a quella del già convivente con prole comune;

che, come questa Corte ha più volte affermato, la convivenza more uxorio, basata sull’affectio quotidiana, liberamente ed in ogni istante revocabile, presenta caratteristiche così profondamente diverse dal rapporto coniugale da impedire l’automatica assimilazione delle due situazioni al fine di desumerne l’esigenza costituzionale di una parificazione di trattamento (tra le tante, ordinanza n. 491 del 2000; sentenza n. 352 del 2000; ordinanza n. 313 del 2000);

che le stesse considerazioni valgono in relazione alla comparazione tra la cessazione della convivenza con prole e la cessazione di quella senza prole, trattandosi, pure in questo caso, di situazioni del tutto disomogenee, rispetto alle quali non sono invocabili né il principio di eguaglianza, né le argomentazioni contenute nella sentenza n. 404 del 1988, la cui ratio decidendi per la conservazione dell’abitazione alla residua comunità familiare si fondò appunto sull’esistenza di prole naturale e quindi sull’esigenza di tutelare un nucleo familiare;

che pertanto la prospettata questione deve dichiararsi manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria l'11  giugno 2003.