Sentenza n. 198/2003

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SENTENZA N.198

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Riccardo                                 CHIEPPA                  Presidente

- Gustavo                                  ZAGREBELSKY      Giudice

- Valerio                                   ONIDA                                  "

- Carlo                                      MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                                CONTRI                                "

- Guido                                     NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto                          CAPOTOSTI                         "

- Annibale                                 MARINI                                "

- Franco                                    BILE                                      "

- Giovanni Maria                      FLICK                                   "

- Ugo                                        DE SIERVO                          "

- Romano                                  VACCARELLA                   "

- Paolo                                      MADDALENA                                "

- Alfio                                       FINOCCHIARO                   "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 32, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza del 23 maggio 2002 dal TAR per l’Emilia-Romagna, sul ricorso proposto da Gallani Jani contro il Questore di Bologna ed altro, iscritta al n. 397 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il Giudice relatore Ugo De Siervo,

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 23 maggio 2002 la prima sezione del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non prevede che, al compimento della maggiore età, il permesso di soggiorno possa essere rilasciato anche nei confronti dei minori stranieri "sottoposti a tutela, ai sensi degli artt. 343 e seguenti del Codice civile".

2. – Premette il remittente di essere chiamato a giudicare su un ricorso proposto avverso un provvedimento con il quale è stata rigettata l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno e contestuale conversione da "minore età" a "lavoro". Il ricorrente, cittadino straniero, aveva ottenuto un permesso di soggiorno "per affidamento" in seguito alla nomina del cognato quale tutore; raggiunta successivamente la maggiore età, aveva presentato istanza per ottenere il rinnovo del permesso, con conversione del motivo a "lavoro", disponendo di una regolare attività lavorativa. L’amministrazione competente ha ritenuto di rigettare tale istanza, in quanto la "trasformazione in lavoro" sarebbe consentita "solo qualora il permesso di soggiorno per affidamento sia stato disposto ai sensi della legge n. 184 del 1983".

3. – Il remittente evidenzia come il diniego opposto dall’amministrazione si fondi sul disposto di cui all’art. 32 del d.lgs n. 286 del 1998, che non comprende fra coloro a cui può essere convertito il permesso di soggiorno i minori stranieri sottoposti a tutela, ai sensi degli artt. 343 e seguenti del Codice civile.

Nell’ordinanza si mostra di essere a conoscenza di come questa disposizione sia stata interpretata da alcuni organi giurisdizionali in senso estensivo, in modo da ricomprendere non solo il caso ivi espressamente previsto – ossia quello dei vari tipi di affidamento contemplati dall’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore a una famiglia)- ma anche la tutela prevista dagli artt. 343 e segg. del Codice civile.

Malgrado che il remittente reputi una simile lettura della norma l’unica conforme alle prescrizioni costituzionali, tuttavia non ritiene possibile il percorso interpretativo utilizzato dalla giurisprudenza sopra citata, in quanto non conforme "al tenore letterale della disposizione de qua, e dunque nemmeno al fondamentale canone ermeneutico posto dal comma 1 dell’art. 12 delle c.d. preleggi". Il legislatore avrebbe infatti fatto riferimento a tutti i tipi di "affidamento" previsti dalla legge 184, ma non ad istituti diversi.

Tale conclusione interpretativa sarebbe avvalorata anche da considerazioni di ordine sistematico.

4. – L’ordinanza afferma tuttavia l’esistenza di "seri dubbi in ordine all’intrinseca conformità a Costituzione" dell’art. 32, secondo l’interpretazione che ritiene di dover accogliere.

I parametri di questa possibile illegittimità costituzionale sono indicati nel canone di uguaglianza ed in quello di ragionevolezza, entrambi riferibili all’art. 3 della Costituzione.

A tal fine, l’ordinanza di rimessione compie una ricostruzione degli istituti della tutela e dell’affidamento: si evidenzia, innanzi tutto, come al tutore spetterebbe una potestà "comprensiva di poteri che attengono così al patrimonio come alla persona del minore"; in secondo luogo si sottolinea che i presupposti in presenza dei quali è possibile dare apertura alla tutela "attengono a situazioni di definitività (quale la morte di entrambi i genitori) ovvero comunque provviste assai più dei caratteri di una certa permanenza piuttosto che della provvisorietà".

Viceversa, l’istituto dell’affidamento si fonderebbe "sul presupposto che il minore sia ‘temporaneamente’ privo di un ambiente familiare idoneo", avendo lo scopo di provvedere ai bisogni del minore senza far venir meno il legame di costui con la famiglia d’origine.

Sia la tutela che l’affido, dunque, sarebbero istituti caratterizzati da fondamentali funzioni di cura, educazione ed istruzione del minore: da questo punto di vista, sarebbero ampiamente assimilabili. Viceversa, la differenza maggiore che separerebbe la tutela dall’affido sarebbe individuabile nel carattere "dichiaratamente temporaneo" e reversibile dell’affido, a fronte della tendenziale stabilità della tutela. Ciò nonostante – nota il remittente – è invece il primo ad essere "valorizzato dal legislatore ai fini del rilascio del permesso di soggiorno al raggiungimento della maggiore età".

La sostanziale assimilabilità dei due istituti, in relazione agli aspetti maggiormente rilevanti nel caso in questione, dovrebbe, invece, portare ad una equiparazione degli stessi in relazione alla disciplina oggetto del giudizio.

5. - L’Avvocatura generale dello Stato, nel suo atto di intervento, conclude nel senso dell’infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

In via preliminare, si rileva che l’ordinanza di rimessione non avrebbe tenuto adeguatamente conto dell’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in questione che pure la giurisprudenza, in varie occasioni, ha mostrato di accogliere.

Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato ricostruisce i caratteri dell’affidamento e della tutela in modo decisamente differente rispetto alla prospettazione del remittente. Infatti ad essere "provvisorio" e "strettamente temporaneo" sarebbe l’istituto della tutela, mentre l’affidamento determinerebbe un "nuovo legame personale e di stabilità nei riguardi del territorio nazionale". Tali argomentazioni, conseguentemente, dovrebbero portare a ritenere non irragionevole la scelta legislativa.

Considerato in diritto

1. – La prima sezione del TAR per l’Emilia-Romagna dubita della legittimità costituzionale dell’art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) "nella parte in cui non prevede che, al compimento della maggiore età, il permesso di soggiorno possa essere rilasciato anche nei confronti dei minori stranieri sottoposti a tutela, ai sensi degli articoli 343 e seguenti del Codice civile".

L’illegittimità deriverebbe dall’irragionevole disparità di trattamento rispetto ai minori stranieri che siano stati dati in affidamento, a cui appunto si riferisce l’art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (rectius: art. 32, comma 1, essendo stato questo articolo, originariamente composto da un unico comma, integrato, successivamente all’ordinanza di rimessione, da altri tre commi ad opera dell’art. 25 della legge 30 luglio 2002, n. 189, relativa a "Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo").

2. - La questione è infondata, nei termini di seguito precisati.

Il comma 1 dell’art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, prevede che possa "essere rilasciato un permesso di

soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie e di cura" ai soggetti stranieri che compiano la maggiore età e che siano in condizione di affidamento ai sensi dello "articolo 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della legge del 4 maggio 1983, n. 184" (Diritto del minore a una famiglia).

Questa disposizione viene pacificamente interpretata, secondo quanto riconosce anche l’organo remittente, come relativa ad ogni tipo di affidamento previsto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, e cioè sia all’affidamento "amministrativo" di cui al primo comma dell’art. 4, che all’affidamento "giudiziario" di cui al secondo comma dello stesso articolo 4, sia anche all’affidamento di fatto, di cui all’art. 9 della medesima legge.

L’organo remittente conosce, ma non condivide, l’ulteriore orientamento interpretativo presente nella giurisprudenza ordinaria e amministrativa che ha esteso la disciplina di cui all’art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, anche ai minori stranieri sottoposti a tutela ai sensi degli articoli 343 e seguenti del Codice civile; malgrado il riconoscimento che in tal modo si può giungere "ad un’interpretazione della norma conforme a Costituzione", l’argomentato dissenso della prima sezione del TAR dell’Emilia-Romagna muove dall’asserita impossibilità di adottare nel caso di specie tecniche interpretative di tipo estensivo.

La disposizione di cui all’art. 32, comma 1, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, indubbiamente lacunosa nel mancato riferimento ai minori soggetti a tutela, può essere – se non interpretata estensivamente – comunque integrata in via analogica, sulla base della comparazione fra i presupposti e le caratteristiche del rapporto di tutela del minore e del rapporto di affidamento.

I due istituti infatti, pur avendo presupposti diversi (la tutela si apre con la morte o l’assenza di entrambi i genitori o l’impossibilità di questi di esercitare la potestà, l’affidamento può essere disposto allorché la famiglia di origine sia temporaneamente inidonea ad offrire al minore un adeguato ambiente familiare), sono entrambi finalizzati ad assicurare la cura del minore.

Infatti l’affidamento disciplinato dalla legge n. 184 del 1983 ha il fine di favorire il reingresso del minore nella famiglia di origine, ma compito dell’affidatario è quello di provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione ed istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori (art. 5, della legge n. 184 del 1983).

Allo stesso modo, il tutore, oltre ad amministrare il patrimonio, deve prendersi cura dei bisogni del pupillo e della sua istruzione ed educazione, sotto il controllo del giudice tutelare (artt. 357 e 371 del Codice civile).

3. - I profili che invece differenziano la tutela dall’affidamento ineriscono, come già detto, ai differenti presupposti in presenza dei quali si può fare ricorso ai due istituti, nonché alla tendenziale definitività della prima a fronte della temporaneità del secondo. Ciò, peraltro, conformemente alla funzione – di sostituzione dei genitori – che l’ordinamento assegna al tutore.

La sussistenza di profili di analogia, rilevanti ai fini della presente decisione, tra il tutore e i genitori è del resto mostrata proprio dalla legge n. 184 del 1983, che nel suo art. 4 stabilisce che l’affidamento familiare è disposto "previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore".

Proprio il ruolo analogo a quello dei genitori che ha il tutore nella legislazione sull’affidamento familiare mette bene in evidenza una ulteriore incongruenza che deriverebbe da una interpretazione meramente letterale dell’ art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286: rientrerebbero nella previsione di questo articolo sia il minore straniero iscritto nel permesso di soggiorno o nella carta di soggiorno del genitore, sia il minore straniero comunque affidato, mentre ne sarebbe escluso il solo minore straniero sottoposto a tutela, e cioè ad un istituto giuridico assimilato dalla stessa legislazione in parola al vincolo familiare e spesso originato da situazioni di bisogno anche più gravi di quelle che originano l’affidamento familiare.

Se le analogie rilevate tra affidamento e tutela giustificano una applicazione della disposizione impugnata al caso del minore straniero sottoposto a tutela, ad identica conseguenza conduce la considerazione della sostanziale eguaglianza delle situazioni di fatto nelle quali si trovano i minori stranieri posti in affidamento o sottoposti a tutela.

4. - A conferma di quanto appena argomentato può anche considerarsi che l’art. 25 della legge 30 luglio 2002, n. 189, successiva all’ordinanza di rimessione, ha integrato l’art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, prevedendo che il permesso di soggiorno possa essere rilasciato, a determinate condizioni, anche "ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato" avente alcune caratteristiche determinate dalle disposizioni legislative. Come è evidente, sarebbe del tutto irragionevole una normativa che consentisse il rilascio del permesso di soggiorno in situazioni quali quella appena descritta e non, invece, in favore del minore straniero sottoposto a tutela.

Appare quindi chiaro che una interpretazione meramente letterale dell’ art. 32, comma 1, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, condurrebbe ad un sicuro conflitto con i valori personalistici che caratterizzano la nostra Costituzione ed in particolare con quanto previsto dall’art. 30, secondo comma, e dall’art. 31, secondo comma, e determinerebbe fondati dubbi di ragionevolezza.

Questa Corte ha evidenziato più volte che "eventuali residue incertezze di lettura sono destinate a dissolversi una volta che si sia adottato, quale canone ermeneutico preminente, il principio di supremazia costituzionale che impone all’interprete di optare, fra più soluzioni astrattamente possibili, per quella che rende la disposizione conforme a Costituzione" (sentenze n. 316 del 2001 e n. 113 del 2000 nonché, in senso analogo, ordinanza n. 277 del 2000).

Non resta quindi che concludere che la disposizione del comma 1 dell’ art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, va riferita anche ai minori stranieri sottoposti a tutela, ai sensi del Titolo X del Libro primo del Codice civile, e che pertanto non si pone un problema di costituzionalità di questa disposizione.

PER QUESTI MOVITI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 1, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla prima sezione del Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 23 maggio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 5 giugno 2003.