Sentenza n. 185/2003

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SENTENZA N. 185

ANNO 2004

Commento alla decisione di

Felice Giuffrè

Vecchi privilegi e nuovi moniti nella questione della case da gioco “autorizzate”

(per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Riccardo CHIEPPA               Presidente

-           Gustavo ZAGREBELSKY   Giudice

-           Valerio ONIDA                                 “

-           Carlo MEZZANOTTE                      “

-           Fernanda CONTRI                            “

-           Guido NEPPI MODONA                 “

-           Piero Alberto CAPOTOSTI              “

-           Annibale MARINI                            “

-           Franco BILE“                                    “

-           Giovanni Maria FLICK                     “

-           Ugo DE SIERVO                             “

-           Romano VACCARELLA                 “

-           Paolo MADDALENA                      “

-           Alfio FINOCCHIARO                     “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), promosso con ordinanza del 20 marzo 2002 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra lo Stato Francese e Trozzi Trombadori Fulvia ed altri, iscritta al n. 247 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti gli atti di costituzione dello Stato Francese e di Trozzi Fulvia vedova Trombadori ed altri nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’11 febbraio 2003 il Giudice relatore Fernanda Contri;

uditi gli avvocati Agatino Alaymo per lo Stato Francese, Sergio Barenghi per Trozzi Fulvia vedova Trombadori ed altri e l’Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa in data 20 marzo 2002, ha sollevato, in riferimento agli artt. 42, secondo e terzo comma, 2 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 52 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali).

Il giudice a quo - richiamate, nelle premesse, la precedente ordinanza di rimessione della questione di costituzionalità dell’art. 4-bis del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832 e l’ordinanza n. 173 del 2001, con la quale la Corte costituzionale ha disposto la restituzione degli atti per la verifica della perdurante rilevanza della questione, a seguito della entrata in vigore del nuovo testo unico in materia di beni culturali - riporta il testo sia della norma attualmente in vigore sia di quella abrogata, affermando che la nuova formulazione ripete sostanzialmente lo stesso contenuto della precedente, la quale è stata espressamente abrogata.

Ad avviso del giudice a quo, l’art. 52 del d. lgs. n. 490 del 1999, che prevede "l’interdizione ad aeternitatem" dei provvedimenti di rilascio di immobili nei quali si trovino studi d’artista di particolare valore storico, si pone in aperto contrasto con l’art. 42 della Costituzione, in quanto determina di fatto la soppressione di uno dei modi con cui i diritti inviolabili vengono a realizzarsi, come quello di proprietà, e dà luogo a disparità di trattamento, comportando per il locatore la conseguenza di essere sottoposto ad un rapporto vincolistico estraneo a qualsiasi norma giuridica e di percepire un canone dal valore nullo senza neppure la possibilità di patteggiamento futuro; e per il conduttore l’effetto di godere dell’oggetto del contratto in modo tale da apparire ed essere "legibus solutus".

2. – Si è costituito nel giudizio innanzi alla Corte lo Stato francese, attore nel giudizio a quo, insistendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale.

La detta parte afferma che la norma in questione concreta una forma di espropriazione, la quale sarebbe attuata non solo in assenza delle garanzie previste per tale istituto ma anche privando il proprietario di ogni forma di indennizzo; non vi sarebbe nella specie soltanto una limitazione del diritto di proprietà allo scopo di assicurarne la funzione sociale, ma una elisione dello stesso, poiché il proprietario non può rientrare in possesso del bene fin tanto che permane il vincolo amministrativo, che per sua natura ha durata indeterminata.

I limiti posti dal legislatore con la norma in esame sarebbero tali da svuotare di contenuto e di potenzialità il diritto del proprietario di godere dell’immobile secondo la destinazione che gli è propria e di esercitare i poteri connessi a tale diritto, pur nel rispetto dei doveri ad esso inerenti, tra i quali quello di rispettare i vincoli all’esercizio della proprietà, legittimamente posti dal legislatore. Non si comprenderebbe, in particolare, la ragione per cui il proprietario, alla scadenza del contratto di locazione, non possa conseguire il rilascio dell’immobile, per l’esistenza di un provvedimento amministrativo, che comunque il proprietario è tenuto ad osservare.

Lo Stato francese ricorda infine l’ampio dibattito che si sviluppò durante i lavori parlamentari relativi all’approvazione della legge di conversione del decreto legge n. 832 del 1986, allorché furono posti in evidenza i profili di incostituzionalità della norma.

3. – Si sono costituiti anche gli eredi del pittore Francesco Trombadori, convenuti nel giudizio a quo, i quali hanno chiesto che la questione sia dichiarata non rilevante nel giudizio ordinario e comunque inammissibile e infondata, "stabilendo eventualmente che il Giudice Ordinario può disporre la corresponsione di un indennizzo per la mancata previsione legislativa al riguardo (sentenza C.C. n. 179/1999)".

La predetta parte contesta anzitutto l’affermazione secondo cui il locatario sarebbe "legibus solutus"e potrebbe liberamente utilizzare il bene, sostenendo che il vincolo cade non solo sull’immobile ma anche sui beni che in esso si trovano, di proprietà degli eredi dell’artista, i quali hanno il dovere di custodire l’immobile, di consentire le visite al pubblico e la consultazione della biblioteca; e ciò costituirebbe un sollievo per il proprietario dell’immobile, non già un aggravio economico.

Ad avviso della indicata parte privata, non sussisterebbe alcun contrasto con l’art. 42 della Costituzione, dal momento che la norma impugnata non opera alcuna espropriazione, nemmeno di fatto, ma pone soltanto delle limitazioni all’uso del bene, per consentire l’attuazione della tutela imposta dall’art. 9 della Costituzione; né sarebbe configurabile la violazione dell’art. 2 della Costituzione, non essendo la proprietà un diritto inviolabile; così come sarebbe da escludere l’asserita violazione del principio di eguaglianza, il quale potrebbe invece essere compromesso da una normativa identica per ogni situazione.

4. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione.

Ad avviso dell’Avvocatura, con la norma censurata il legislatore avrebbe inteso ampliare la categoria dei beni culturali, comprendendo in essi anche gli studi d’artista; si tratterebbe quindi di un vincolo analogo a quello previsto dalla legislazione di tutela, imposta dall’art. 9 della Costituzione. Poiché tali beni si configurano come beni privati di interesse pubblico, essi sono necessariamente soggetti a restrizioni, che non rappresentano però atti di espropriazione.

La difesa erariale sostiene quindi che non sussisterebbe la dedotta violazione dell’art. 42 della Costituzione e che non potrebbe dubitarsi della ragionevolezza della norma, poiché nella tutela del patrimonio culturale nazionale l’interesse pubblico sarebbe preminente rispetto ad ogni altro.

5. – In prossimità dell’udienza, entrambe le parti costituite hanno depositato memorie, illustrando ulteriormente le rispettive posizioni.

Lo Stato francese ha posto in luce come il vincolo di destinazione già gravante sull’immobile sia pienamente sufficiente a tutelare l’interesse artistico alla conservazione dello studio e del suo contenuto, sottolineando che il divieto di rilascio, previsto nella norma impugnata, non sarebbe perciò strumentale alla protezione di interessi culturali, in quanto questi ricevono tutela attraverso l’avvenuta apposizione del vincolo amministrativo. Risulterebbe quindi ancora più evidente la lesione del diritto di proprietà, poiché questo viene sacrificato in assenza di indennizzo ed in forza di un divieto non giustificato dall’esigenza di tutela di altri interessi giuridici.

Ad avviso dello Stato francese non potrebbe nemmeno ipotizzarsi una menomazione del godimento dei beni da parte del pubblico, in quanto il predetto vincolo di destinazione non solo non verrebbe meno a seguito dell’emanazione del provvedimento di rilascio, ma dovrebbe essere rispettato da chiunque a vario titolo possieda o gestisca l’immobile.

Gli eredi del pittore Trombadori hanno affermato che il fine di tutela perseguito dal legislatore comporta l’assoggettamento sia del proprietario dell’immobile sia dei proprietari dei beni in esso contenuti al vincolo di destinazione, di immutabilità della collocazione, di conservazione dei beni, nonché di fruizione da parte del pubblico; con la conseguenza che l’eventuale declaratoria di incostituzionalità inciderebbe sia sul divieto di mutamento della destinazione del bene sia sulla disponibilità dei beni mobili, che non sarebbero più vincolati all’immobile.

La difesa Trombadori, richiamando la giurisprudenza costituzionale in tema di vincoli espropriativi, sostiene che l’obbligo di indennizzo, diretto al ristoro del pregiudizio causato dal protrarsi della durata del vincolo (sentenza n. 411 del 2001), dovrebbe essere riferito sia al proprietario dell’immobile sia al proprietario dei beni derivati dall’attività dell’artista, essendo meritevoli di tutela entrambe le posizioni soggettive.

Considerato in diritto

1. – La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Roma in riferimento agli artt. 2, 3 e 42 della Costituzione ha ad oggetto l’art. 52 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), a tenore del quale non sono soggetti ai provvedimenti di rilascio previsti dalla normativa vigente in materia di locazione di immobili urbani quegli studi d’artista il cui contenuto in opere, documenti, cimeli e simili è tutelato, per il suo storico valore, da un provvedimento ministeriale che ne prescrive l’inamovibilità da uno stabile del quale contestualmente si vieta la modificazione della destinazione d’uso.

Il rimettente lamenta, in particolare, che l’interdizione dei provvedimenti di rilascio di immobili nei quali si trovino studi d’artista di particolare valore storico determinerebbe, di fatto, la soppressione del diritto di proprietà e darebbe luogo a disparità di trattamento, in considerazione della circostanza che il locatore sarebbe sottoposto ad un regime vincolistico immodificabile e senza fine, con esclusivo vantaggio del conduttore.

Benché il giudice a quo abbia impugnato l’intera norma, tuttavia dalle motivazioni espresse nell’ordinanza di rimessione risulta evidente come le censure siano indirizzate unicamente verso il comma 1 del citato art. 52, nella parte in cui non consente l’emanazione di provvedimenti di rilascio, non anche verso il comma 2 del medesimo articolo, relativo ad una fattispecie – gli studi d’artista rispondenti alla tradizionale tipologia a lucernario – estranea al giudizio a quo, o comunque in esso non dedotta, né richiamata.

2. – La questione è fondata.

2.1 – Il decreto legislativo n. 490 del 1999, nel quale sono state riunite e coordinate tutte le disposizioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali, ai sensi dell’art. 1 della legge delega 8 ottobre 1997, n. 352 (Disposizioni sui beni culturali), ha previsto nell’art. 52 forme di protezione analoghe a quelle stabilite nell’art. 4-bis del decreto-legge 9 dicembre 1986, n. 832 (Misure urgenti in materia di contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione), convertito nella legge 6 febbraio 1987, n. 15; la predetta norma già tutelava gli studi d’artista di riconosciuto valore storico con la previsione di varie misure, tra cui la non assoggettabilità del relativo immobile a provvedimenti di rilascio, il vincolo di inamovibilità dallo stabile e il divieto di modificazione della destinazione d’uso.

La nuova normativa, oltre a dettare un regime analogo per i beni in questione, ha voluto espressamente inserire gli studi d’artista nelle categorie speciali di beni culturali, indicate nell’art. 3 dello stesso testo unico, indipendentemente dalla loro inclusione nelle categorie elencate nell’art. 2, soggette alle disposizioni di tutela contenute nel Titolo I.

Per effetto di tale riconoscimento, gli studi d’artista che vantano le prescritte caratteristiche fruiscono delle particolari ed incisive misure di protezione atte a mantenere integro il loro dichiarato valore storico-artistico, tra le quali, il divieto di adibire il bene ad usi incompatibili con il suo carattere storico o artistico, la necessità della preventiva autorizzazione del ministro o del soprintendente per eseguire opere, l’obbligo per il proprietario, possessore o detentore di realizzare gli interventi necessari ad impedire il deterioramento del bene.

Alle menzionate disposizioni protettive, si aggiunge poi la previsione di ulteriori specifici strumenti di tutela, quali quelli indicati nell’art. 52 del decreto, consistenti nella non assoggettabilità dello studio ai provvedimenti di rilascio previsti dalla normativa vigente in materia di locazione di immobili urbani, nella prescrizione di inamovibilità del contenuto dello studio dallo stabile in cui esso è situato e nella immutabilità della destinazione d’uso.

2.2 – In quest’ampio contesto di misure di cura e salvaguardia si inserisce la disposizione censurata, la quale risulta essere in contrasto con il canone della ragionevolezza, là dove impedisce l’emanazione dei provvedimenti di rilascio, prolungando il rapporto di locazione per un tempo indefinito.

E’ da considerare che mentre le prescrizioni di inamovibilità e di immutabilità della destinazione d’uso, contenute nella norma impugnata, appaiono come integrazione e specificazione dei generali obblighi di conservazione dei beni culturali e sono quindi misure coerenti all’attuazione di questi obblighi, la esenzione degli studi d’artista dai provvedimenti di rilascio previsti dalla normativa vigente in materia di locazione di immobili urbani si rivela invece una misura assolutamente esuberante rispetto alla finalità di tutela perseguita.

Per effetto della disposizione in esame, benché possa essere dedotto in giudizio l’inadempimento delle obbligazioni derivanti da contratti di locazione aventi ad oggetto i predetti beni, non essendo consentita l’emanazione dell’ordine di rilascio si verifica la protrazione forzata di un rapporto nato come contrattuale, la cui causa è venuta meno. Analoga situazione ricorre allorché si giunga alla scadenza contrattualmente prevista e sia stata idoneamente manifestata la volontà di non rinnovare il contratto.

Nei casi considerati, si manifesta un evidente sacrificio dei diritti del locatore, poiché l’assoluta indeterminatezza del periodo di tempo nel quale gli studi d’artista non sono soggetti ai provvedimenti di rilascio genera una illimitata continuazione del rapporto. Mantenendo ferma la sottoposizione del bene ai vincoli di inamovibilità e immutabilità di destinazione appare manifesta l’incongruenza della disciplina in esame, che non consente giammai il rilascio a favore del locatore.

La scelta del legislatore è nella fattispecie irragionevole, dal momento che l’intento perseguito in attuazione dell’art. 9 della Costituzione poteva già considerarsi attuato mediante le numerose altre previsioni contenute nella medesima norma, che costituiscono mezzi ampiamente idonei a rendere immodificabile l’ambiente e i luoghi nei quali operò l’artista, al fine di conservare intatta la testimonianza dei valori culturali in esso insiti. Non essendo consentita, già in forza dei predetti vincoli, la rimozione di alcuno dei beni contenuti nello studio né tanto meno l’attuazione di una diversa destinazione dell’immobile, risultano evidenti per un verso la ridondanza della prescrizione di non soggezione degli studi a provvedimenti di rilascio, che nulla aggiunge alle modalità di salvaguardia già previste, ma soprattutto per l’altro verso la eccessiva compressione dei diritti del locatore, costretto a subire la protrazione nel tempo, persino in assenza di un corrispettivo, sino a perdere indefinitamente la disponibilità dell’immobile.

La disposizione in esame, discostandosi dal proprio fine ispiratore per la compresenza di pari ed altrettanto efficaci misure di difesa e garanzia, di cui si è fatto cenno, che permangono a tutela della conservazione dei beni culturali, si rivela dunque irragionevole e lesiva del diritto di proprietà e perciò illegittima.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali), nella parte in cui prevede che non sono soggetti a provvedimenti di rilascio gli studi d’artista ivi contemplati.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2003.