Ordinanza n. 161 del 2003

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ORDINANZA N.161

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Riccardo             CHIEPPA                           Presidente

-  Gustavo              ZAGREBELSKY                 Giudice                

-  Valerio                ONIDA                                      "          

-  Carlo                   MEZZANOTTE                        "

-  Fernanda             CONTRI                                     "

-  Guido                 NEPPI MODONA                    "

-  Piero Alberto      CAPOTOSTI                             "

-  Annibale             MARINI                                    "

-  Franco                 BILE                                          "

-  Giovanni Maria   FLICK                                       "

-  Ugo                     DE SIERVO                              "

-  Romano              VACCARELLA                        "

-  Paolo                   MADDALENA                         "

-  Alfio                   FINOCCHIARO                       "

ha pronunciato la seguente                                                         

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 538, secondo comma,  del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 16 gennaio 1997 dal Pretore di Lanciano, sezione distaccata di Atessa, nel procedimento civile vertente tra la Cooperativa Vallon Gran e la Fancon s.p.a., iscritta al n. 73 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2002.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto   che nel corso di una procedura di esecuzione mobiliare il Pretore di Lanciano, sezione distaccata di Atessa, in sede di opposizione agli atti esecutivi, con ordinanza 16 gennaio 1997 (pervenuta alla Corte il 28 gennaio 2002) ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 4, 24 e 35 della Costituzione, dell’art. 538, secondo comma, del codice di procedura civile;

che riferisce il remittente, esperito vanamente il secondo tentativo di vendita del compendio pignorato a seguito di espropriazione mobiliare, il creditore ha chiesto, alla prima udienza successiva, l’assegnazione dei beni esecutati; a tale richiesta si è opposto il debitore, eccependone la tardività e sollecitando una declaratoria di estinzione del processo esecutivo;

che, secondo il giudice a quo, la norma impugnata, ammettendo che la domanda di assegnazione sia avanzata dal creditore tra il primo ed il secondo tentativo di vendita, implicitamente escluderebbe che la medesima possa essere proposta una volta che il secondo incanto si sia svolto con esito negativo; tale limite temporale, che discenderebbe dall’unica lettura possibile dell’art. 538, secondo comma, cod. proc. civ., apparirebbe peraltro  in contrasto con gli invocati parametri costituzionali, primo fra tutti quello dell’art. 24; ed infatti, pur essendo il legislatore certamente libero di dare attuazione al diritto di difesa con modalità differenti nei vari procedimenti, nel caso di specie la limitazione si risolverebbe in un irragionevole ostacolo all’esercizio dell’azione da parte del creditore procedente; limitazione tanto meno comprensibile ove si pensi che, esperito vanamente il secondo incanto, le parti debbono comparire ad una successiva udienza davanti al giudice dell’esecuzione, sicché non sussiste alcun “interesse secondario” al contenimento dei tempi della procedura;

che secondo l'ordinanza del Pretore di Lanciano la norma impugnata, inoltre, confliggerebbe anche con gli artt. 4 e 35 della Costituzione perché, «sacrificando oltre ogni ragionevole limite il potere di utilizzare per il soddisfacimento dei diritti l’istituto dell’assegnazione», offende i principi costituzionali di protezione e tutela del diritto al lavoro del creditore;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata;

che, secondo la difesa erariale,  la lettura della norma impugnata, dalla quale il remittente fa derivare il dubbio di legittimità costituzionale, non è l’unica ragionevolmente possibile; l'art. 538, secondo comma, cod. proc. civ., infatti, non prevederebbe espressamente nulla per l’ipotesi in cui il secondo incanto vada deserto, sicché la decadenza dalla facoltà di chiedere l’assegnazione dei beni non potrebbe, in assenza di espressa previsione di legge, essere desunta in via interpretativa; d'altra parte, sarebbe illogico ritenere che il creditore sia costretto a chiedere l’assegnazione esclusivamente prima dello svolgimento del secondo incanto, perché egli potrebbe trovare più conveniente proporre tale domanda dopo l’esito di quest’ultimo;

che secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la questione proposta avrebbe dovuto trovare diversa soluzione ove il giudice a quo avesse optato per una diversa interpretazione della norma impugnata.

Considerato che la questione posta dal Pretore di Lanciano riguarda l'art.  538 cod. proc. civ. ed in particolare, la possibilità per il creditore procedente di chiedere l'assegnazione del compendio  pignorato (si tratta di espropriazione mobiliare) dopo l'esito negativo del secondo incanto;

che il giudice a quo dà una interpretazione restrittiva  della norma impugnata, la quale prevede semplicemente che, se delle cose invendute (nel primo incanto) nessuno dei creditori chiede l'assegnazione, il giudice dell'esecuzione fissa un nuovo incanto a prezzo libero; e poiché la domanda di assegnazione viene collocata tra il primo ed il secondo  incanto, secondo il giudice rimettente, una volta fallito anche quest'ultimo incanto, la richiesta non sarebbe più proponibile;

che  l'interpretazione seguita dal giudice a quo non è l'unica possibile;

che, infatti, l'indizione di un secondo incanto – a norma del vigente art. 538 del codice di procedura civile – non impedisce né le successive domande di assegnazione, né l'indizione di un terzo incanto, sulla base dell'esigenza che  la procedura di esecuzione abbia comunque una sua conclusione di fronte all'assenza di offerte;

che, pertanto, deve escludersi, contrariamente a quanto sostenuto nell'ordinanza di rimessione, l'esistenza di una preclusione ad una istanza di assegnazione dopo il secondo incanto (di procedura  mobiliare) deserto; che la richiesta di assegnazione rimane ovviamente sottoposta ai poteri di controllo da parte del giudice in ordine alla valutazione del bene e dell'offerta (art. 506 del codice di procedura civile) e ciò anche successivamente al secondo incanto, essendo rimesso al giudice il potere di fissare un terzo incanto anche con diverse formalità di pubblicità.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi  motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 538, secondo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 4, 24 e 35 della Costituzione, dal Pretore di Lanciano, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente e Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2003.