Ordinanza n. 128/2003

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ORDINANZA N.128

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Riccardo

CHIEPPA

Presidente

- Gustavo

ZAGREBELSKY

Giudice

- Valerio

ONIDA

"

- Carlo

MEZZANOTTE

"

- Fernanda

CONTRI          

"

- Guido

NEPPI MODONA

"

- Piero Alberto

CAPOTOSTI

"

- Annibale

MARINI

"

- Franco

BILE

"

- Giovanni Maria

FLICK

"

- Ugo

DE SIERVO

"

- Romano

VACCARELLA

"

- Alfio

FINOCCHIARO

"

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 216, primo comma, n. 1, e 219, secondo comma, n. 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) promosso con ordinanza dell’8 ottobre 2001 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Camerino nel procedimento penale a carico di P.R., iscritta al n. 484 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2003 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con ordinanza emessa l’8 ottobre 2001, nel corso di un procedimento penale nei confronti di persona imputata del delitto di bancarotta fraudolenta – ordinanza pervenuta alla Corte il 14 ottobre 2002 – il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Camerino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 216, primo comma, numero 1), e 219, secondo comma, numero 1), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui escludono che, in caso di contestazione al medesimo soggetto di distinti fatti di distrazione nell’ambito di procedimenti penali separati e non riunibili, possa applicarsi la disciplina della continuazione, di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen., ovvero quella del giudizio di valenza tra l’aggravante prevista dal citato art. 219, secondo comma, numero 1), della legge fallimentare ed eventuali circostanze aggravanti (recte: attenuanti);

che il giudice a quo premette che con sentenza del 18 febbraio 1999 il Tribunale di Camerino aveva condannato tre persone per fatti di bancarotta fraudolenta commessi nella gestione di una società in nome collettivo dichiarata fallita;

che contro la decisione era stato proposto appello ed il relativo giudizio risultava ancora pendente;

che con la medesima sentenza il Tribunale aveva altresì disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero, essendo emersi sospetti riguardo al possibile concorso di uno degli imputati – socio amministratore della società fallita, condannato per aver distratto merci ed attrezzature – nei fatti di distrazione di somme di denaro ascritti originariamente in via esclusiva ad altro coimputato;

che, espletate ulteriori indagini, il pubblico ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio di detto socio amministratore, per i fatti in questione;

che nell’udienza preliminare l’imputato era stato quindi ammesso al giudizio abbreviato;

che, ciò premesso, il rimettente osserva come l’art. 219, secondo comma, numero 1), della legge fallimentare – con disciplina speciale che deroga alle norme sul concorso di reati e sul reato continuato, nella prospettiva di mitigarne il rigore – configuri la realizzazione di una pluralità di fatti tra quelli previsti dagli artt. 216, 217 e 218 della stessa legge come semplice circostanza aggravante (soggetta, in quanto tale, all’ordinario giudizio di bilanciamento con eventuali attenuanti), unificando, così, i molteplici comportamenti criminosi posti in essere da uno stesso soggetto in relazione al medesimo fallimento;

che la posizione dell’imputato nel giudizio a quo – prosegue il rimettente – risulterebbe senza dubbio riconducibile alla previsione normativa in parola, a prescindere dalla dibattuta questione se la predetta unificazione investa esclusivamente le condotte che ricadono in uno solo degli articoli richiamati, ovvero anche quelle contemplate da due o più di essi: ciò in quanto l’imputato è accusato, nella specie, di fatti di bancarotta non solo tutti previsti dall’art. 216 della legge fallimentare, ma integranti, addirittura, una medesima ipotesi fra quelle in esso contemplate, ossia la bancarotta fraudolenta per distrazione;

che, di conseguenza, la difesa aveva eccepito che – dovendo la bancarotta relativa al medesimo fallimento essere considerata come un unico reato ed i singoli episodi in cui essa si articola come semplici aggravanti – l’esistenza di ulteriori fatti di distrazione, rispetto a quelli per i quali già pendeva giudizio davanti al Tribunale di Camerino, avrebbe dovuto essere contestata all’imputato nelle forme previste dall’art. 517 cod. proc. pen. per la contestazione delle aggravanti;

che, non essendo ciò avvenuto, la contestazione stessa – sempre ad avviso della difesa – sarebbe rimasta preclusa: né, d’altro canto, il Tribunale avrebbe potuto disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero, dato che l’art. 521 cod. proc. pen. contempla tale modus procedendi solo nel caso di fatto diverso o di contestazione effettuata fuori delle ipotesi consentite, ma mai per la mancata contestazione di un’aggravante;

che l’azione penale successivamente promossa risulterebbe, dunque – secondo il conclusivo assunto difensivo – improcedibile, in quanto avente ad oggetto un reato che, configurandosi come mera aggravante di quello per il quale l’imputato è già stato condannato, non potrebbe dar luogo ad un’autonoma imputazione, stante il disposto degli artt. 15 e 84 cod. pen.;

che, ad avviso del rimettente, tale eccezione non potrebbe peraltro essere accolta, in quanto - alla stregua di un orientamento interpretativo che il giudice a quo ritiene qualificabile in termini di "diritto vivente" - l’unificazione disposta dall’art. 219, secondo comma, numero 1), della legge fallimentare opererebbe solamente quoad poenam; e non implicherebbe il venir meno, ad ogni altro fine, dell’"ontologica" autonomia dei singoli fatti di bancarotta, facendoli confluire in una ipotesi di reato complesso;

che la sequenza procedimentale posta in essere, nella specie, dal Tribunale e dal pubblico ministero andrebbe considerata pertanto corretta: con la conseguenza, peraltro, che all’imputato – la cui responsabilità per gli ulteriori fatti distrattivi ascrittigli risulterebbe comprovata dalle risultanze processuali – dovrebbe essere inflitta una pena autonoma rispetto a quella irrogatagli con la precedente sentenza di condanna, e non già un mero aumento nei sensi previsti dall’art. 219, secondo comma, numero 1), della legge fallimentare, ovvero dall’art. 81, secondo comma, cod. pen. (riguardo all’ipotesi della continuazione);

che siffatto assetto normativo si porrebbe, tuttavia, in contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.;

che l’irrogazione di una pena autonoma o di un semplice aumento finirebbe infatti per dipendere dalla circostanza, puramente casuale, che i diversi fatti di bancarotta vengano contestati in un unico procedimento, ovvero in differenti procedimenti non riunibili: con una conseguente irragionevole discriminazione tra soggetti che pure si trovano nella medesima situazione sostanziale;

che la "duplicazione" di pena, cui si assisterebbe nel secondo caso, confliggerebbe, inoltre, con la finalità rieducativa assegnata dalla Costituzione alla sanzione criminale: finalità che, per un verso, non potrebbe considerarsi propria della sola fase esecutiva, ma investirebbe anche quella della comminatoria legislativa e della concreta irrogazione; e, per un altro verso, implicherebbe, alla luce del necessario collegamento tra l’art. 27, terzo comma, e l’art. 25, secondo comma, Cost., che la pena debba risultare proporzionata alla gravità del fatto commesso;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che il giudice rimettente, nel sottoporre a scrutinio di costituzionalità, per asserito contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., gli artt. 216, primo comma, numero 1), e 219, secondo comma, numero 1), della legge fallimentare, invoca una pronuncia additiva che consenta al giudice della cognizione – nel caso di contestazione al medesimo soggetto di diversi fatti di bancarotta per distrazione in procedimenti separati e non riunibili – di applicare la disciplina del reato continuato, di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen., "ovvero" quella del giudizio di valenza tra l’aggravante prevista dal citato art. 219, secondo comma, numero 1), della legge fallimentare ed eventuali attenuanti;

che in tal modo, il giudice a quo prospetta, onde porre rimedio alla denunciata violazione dei parametri costituzionali, due distinte soluzioni in rapporto di alternatività irrisolta, tanto sul piano formale che su quello sostanziale: è lo stesso rimettente a rimarcare, infatti, come l’art. 219, secondo comma, numero 1), della legge fallimentare detti una disciplina speciale, derogativa di quella ordinaria, non soltanto sul concorso di reati, ma anche sul reato continuato; il che logicamente esclude la possibilità di un’applicazione congiunta, nell’ipotesi considerata, dei due istituti evocati nella formulazione della questione (regime della continuazione e del reato circostanziato);

che la questione deve essere pertanto dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto prospettata in modo ancipite (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 366 del 2002; n. 227 e n. 322 del 2001).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 216, primo comma, numero 1), e 219, secondo comma, numero 1), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Camerino con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2003.