Ordinanza n.121 del 2003

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ORDINANZA N.121

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY                                   

- Valerio ONIDA                                                        

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA                                        

- Piero Alberto CAPOTOSTI                                     

- Annibale MARINI                                                   

- Franco BILE                

- Giovanni Maria FLICK                                            

- Ugo DE SIERVO   

- Romano VACCARELLA                            

- Alfio FINOCCHIARO                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 69, terzo comma, del regio decreto-legge 3 marzo 1938, n. 680 (Ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti locali), promosso con ordinanza del 9 maggio 2002 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, sui ricorsi riuniti proposti da Miculan Giuseppe ed altra contro l’INPDAP ed altri, iscritta al n. 447 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2003 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che, con ordinanza del 9 maggio 2002, la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, terzo comma, del regio decreto-legge 3 marzo 1938, n. 680 (Ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti locali), applicabile ratione temporis nel giudizio a quo, «nella parte in cui stabilisce che la durata dei corsi universitari o equiparati, ai fini del riscatto, si considera “continuativa”»;

che, ad avviso del rimettente, il calcolo continuativo del periodo di durata legale del corso universitario, effettuato a ritroso dalla data del conseguimento della laurea, così come previsto dalla norma impugnata, comporterebbe di fatto una arbitraria riduzione del suddetto periodo che venga temporalmente a coincidere con la prestazione del servizio militare;

che, viceversa, l’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita dall’articolo 1, comma 39, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in materia di ricongiunzione, di riscatto e di prosecuzione volontaria ai fini pensionistici), emanato al fine di riordinare, armonizzare e razionalizzare la disciplina dei diversi regimi anche in materia di riscatto del corso di studi, non porrebbe alcuna condizione o limitazione riguardo alle modalità di calcolo degli anni del corso di laurea né richiederebbe, in particolare, la continuatività del periodo considerato;

che sussisterebbe, pertanto, disparità di trattamento – a parità di ogni altra condizione - tra chi abbia presentato domanda di pensionamento nel vigore della vecchia normativa e chi, invece, l’abbia presentata dopo l’entrata in vigore del menzionato decreto legislativo n. 184 del 1997;

che analoga, ingiustificata, disparità di trattamento si verificherebbe sia tra i dipendenti delle ASL e la generalità dei dipendenti statali, sia tra gli stessi dipendenti delle ASL, in relazione al periodo in cui abbiano svolto il servizio militare;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di non fondatezza della questione;

che, ad avviso della parte pubblica, nessuna lesione del principio di eguaglianza potrebbe ravvisarsi nella diversità di disciplina tra la vecchia e la nuova normativa in tema di riscatto del corso legale di laurea, in quanto il fluire del tempo di per sé costituisce – secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale - elemento differenziatore delle situazioni giuridiche, tale da escludere la loro comparabilità;

che questa Corte avrebbe, sotto altro aspetto, già affermato – proprio in tema di riscatto – che non sono  discriminatorie norme che, pur prevedendo criteri differenziati di computo del periodo di studio, assicurino comunque lo stesso beneficio;

che, in ogni caso, sia la norma impugnata sia il decreto legislativo n. 184 del 1997 prevederebbero la possibilità di riscatto dei periodi corrispondenti alla durata legale dei corsi di laurea solo in quanto i medesimi periodi non siano già coperti da contribuzione.

Considerato che – ad avviso del rimettente – la norma impugnata sarebbe fonte di ingiustificata disparità di trattamento in danno dei dipendenti degli enti locali cessati dal servizio prima della entrata in vigore del decreto legislativo n. 184 del 1997, ed insieme lesiva dell’art. 38 della Costituzione, nella parte in cui prevede che la durata dei corsi universitari, ai fini del riscatto, si considera continuativa risalendo dal conferimento della laurea, derivando da tale previsione la riduzione del periodo riscattabile, nel caso in cui tale periodo venga a coincidere con la prestazione del servizio militare;

che, per quanto riguarda il parametro di cui all’art. 38 della Costituzione, è sufficiente osservare che, in materia di anzianità convenzionale, quale è quella derivante dal riscatto degli anni di studio, deve riconoscersi al legislatore una ampia discrezionalità, con il solo limite della non arbitrarietà, che sicuramente non può dirsi violato dalla previsione che il periodo utile ai fini del riscatto sia considerato continuativo;

che quanto, invece, alla denunciata disparità di trattamento rispetto all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 184 del 1997, non applicabile ratione temporis nel giudizio a quo, va considerato che – a prescindere da ogni valutazione circa l’esattezza della interpretazione che di  tale norma il rimettente prospetta – secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte,  di per sé non può contrastare  con il principio di  eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, perché lo stesso fluire di questo costituisce un elemento diversificatore delle situazioni giuridiche (ex multis, sentenze n. 376 del 2001, n. 178 e n. 126 del 2000);

che la continuatività calcolata a ritroso risulti in un singolo caso, come quello appunto sottoposto al giudice a quo, più svantaggiosa di quella calcolata in avanti costituisce, poi, un inconveniente di mero fatto in quanto tale irrilevante ai fini del giudizio di costituzionalità;

che la questione va pertanto dichiarata, sotto ogni profilo, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, terzo comma, del regio decreto-legge 3 marzo 1938, n. 680 (Ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni agli impiegati degli enti locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Sardegna, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2003.