Ordinanza n. 119 del 2003

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ORDINANZA N.119

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY                                   

- Valerio ONIDA                                                        

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI                                                   

- Guido NEPPI MODONA                                        

- Piero Alberto CAPOTOSTI                                     

- Annibale MARINI                                                   

- Franco BILE                

- Giovanni Maria FLICK                                            

- Ugo DE SIERVO   

- Romano VACCARELLA                            

- Alfio FINOCCHIARO                                "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), e dell’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), promosso con ordinanza del 20 novembre 2001 dalla Commissione tributaria regionale di Firenze sui ricorsi riuniti proposti dall’Agenzia delle entrate - Ufficio di San Miniato contro Conceria David International s.p.a. ed altre, iscritta al n. 70 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2003 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che la Commissione tributaria regionale di Firenze, con ordinanza del 20 novembre 2001, ha sollevato, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), e dell’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto);

che il rimettente, nel corso di un giudizio relativo alla impugnazione di avvisi di accertamento - concernenti imposte dirette ed IVA -  emessi in base alle risultanze di una consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero nel corso di indagini penali, dubita della legittimità costituzionale delle norme sopraindicate, nella parte in cui «non escludono che nel processo tributario possano essere trasmessi direttamente agli uffici delle imposte ad opera dell’autorità giudiziaria, in particolare del pubblico ministero in sede di indagini preliminari, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti da forze di polizia nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria e, come tali, possano essere utilizzati dal giudice tributario senza previa verifica da parte della Guardia di finanza e degli uffici medesimi»;

che, in particolare, il giudice a quo osserva che le informazioni contenute nella consulenza disposta dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari – pacificamente prive di autonomo valore probatorio nello stesso processo penale – sarebbero state utilizzate dall’amministrazione finanziaria senza alcuna previa verifica;

che, in tal modo, per diretta iniziativa del pubblico ministero, sarebbero stati acquisiti al processo tributario i risultati di attività compiute al di fuori di ogni contraddittorio fra le parti, con violazione del diritto di difesa del contribuente;

che, intervenendo nel giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha concluso per la inammissibilità della questione o, in subordine, per la sua infondatezza;

che, ad avviso della difesa erariale, la questione sollevata non sarebbe rilevante nel giudizio a quo;

che, nel merito, la questione stessa, secondo l’avviso della interveniente difesa, sarebbe, comunque, infondata – con profili tali da rasentare la inammissibilità - in quanto il rimettente avrebbe potuto risolvere, in via interpretativa, il dubbio di legittimità costituzionale, alla stregua della normativa che consente agli uffici finanziari di ricostruire il reddito anche sulla base di elementi indiziari, purché le presunzioni desumibili siano «gravi, precise e concordanti».

Considerato che – ad avviso della Commissione rimettente – le norme impugnate sarebbero lesive del diritto di difesa del contribuente in quanto attribuirebbero efficacia probatoria, nel processo tributario, ad atti di indagine assunti dal pubblico ministero al di fuori di qualsiasi contraddittorio, in assenza di preventiva verifica da parte dell’amministrazione finanziaria;

che la questione, ricostruita in tali termini, evidentemente si sottrae alla eccezione di inammissibilità, per difetto di rilevanza, sollevata dall’Avvocatura;

che, nel merito, la questione è manifestamente infondata, poiché le norme censurate prevedono soltanto che l’amministrazione finanziaria possa ricevere «documenti, dati o notizie» acquisiti nel corso di indagini penali, per porli a base della propria attività di accertamento;

che le norme stesse non limitano perciò in alcun modo la possibilità  per il contribuente di contestare, dinanzi al giudice tributario, i risultati di quegli atti di indagine, così come di qualsiasi altro atto posto a base dell’accertamento tributario;

che, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, si afferma del resto espressamente che il giudice tributario, sebbene possa fondare il proprio convincimento su prove acquisite in sede penale, non ne può, tuttavia, recepire in maniera pedissequa il contenuto, dovendo, invece, sottoporle al proprio vaglio critico.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), e dell’art. 63 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Firenze con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2003.