Sentenza n. 93/2003

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SENTENZA N. 93

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

- Francesco AMIRANTE                   

- Ugo DE SIERVO                            

- Romano VACCARELLA                           

- Paolo MADDALENA          

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 24 ottobre 2000, n. 323 recante "Riordino del settore termale", promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato il 7 dicembre 2000, depositato in Cancelleria il 14 successivo ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2000.

  Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2002 il Giudice relatore Fernanda Contri;

  uditi l’avvocato Massimo Luciani per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso notificato in data 7 dicembre 2000 e depositato in data 14 dicembre 2000, la Regione Lombardia ha sollevato questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 5, 32, 76, 97, nonché 117, 118 e 119 (questi ultimi nella versione antecedente la riforma operata con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) della Costituzione, della legge 24 ottobre 2000, n. 323, recante "Riordino del settore termale", nella sua interezza e con particolare riguardo agli artt. 1, commi 4 e 5, 3, comma 1, 4, commi 1 e 4, 6, commi 1 e 2, 13.

Secondo la Regione ricorrente, la legge impugnata aspirerebbe a costituire, al tempo stesso, la nuova legge quadro di settore, nei confronti delle Regioni, e la legge di delega al Governo per il riordino, peraltro per numerosi profili operato direttamente, del settore termale. In tale ambito, le competenze regionali, che gli articoli 117 e 118 della Costituzione (nella formulazione antecedente alla riforma operata con la legge costituzionale n. 3 del 2001) estendono ad "acque termali", "assistenza sanitaria" e urbanistica", risulterebbero pesantemente lese per una serie di ragioni, esplicitate nel ricorso.

Anzitutto, l’art. 1, comma 4, della legge impugnata violerebbe gli artt. 3, 5, 32, 97, 117 e 118 della Costituzione, nel prevedere che le Regioni, entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge (23 novembre 2000), devono definire "con gli enti interessati gli strumenti di valorizzazione, di tutela e di salvaguardia ubanistico-ambientale dei territori termali, adottati secondo le rispettive competenze", e che, in caso di mancato rispetto di tale termine, il Governo provveda ad attivare i poteri sostitutivi ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

A giudizio della ricorrente, la disposizione censurata sarebbe ambigua e si presterebbe ad una duplice interpretazione. Potrebbe infatti intendersi che i centoventi giorni siano assegnati per l’esercizio della potestà legislativa oppure che siano assegnati allo scopo di varare una serie di misure amministrative di tipo urbanistico-territoriale e ambientale. Entrambe le possibili interpretazioni esprimerebbero un contenuto normativo che, secondo la ricorrente, non sarebbe conforme a Costituzione. Nel primo caso, in quanto il Governo sarebbe autorizzato addirittura a sostituirsi al legislatore regionale, incidendo sul cuore stesso della autonomia garantita, tra l’altro, dall’art. 117 della Costituzione. Nel secondo caso, l’intervento sostitutivo sarebbe ugualmente illegittimo, anzitutto per la brevità e l’incongruità del termine assegnato alle Regioni, che sarebbero poste nell’impossibilità di esercitare tempestivamente le loro attribuzioni, anche in ragione del necessario coordinamento, imposto dalla stessa legge impugnata, con gli altri enti competenti in materia, quali Province, USL, ASL, Comuni, Comunità montane, enti gestori delle attività termali. In secondo luogo, per l’assoluta indeterminatezza degli adempimenti prescritti come dovuti in tale breve lasso di tempo. Sarebbero in tal modo violati sia il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, per come ricostruito da questa Corte (sentenze n. 21 e n. 351 del 1991, n. 341 del 1996, n. 242 del 1997), sia gli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, sia gli artt. 3, 32 e 97 della Costituzione, poiché l’irragionevole previsione legislativa determinerebbe la conseguenza della materiale impossibilità per la Regione di dettare una corretta disciplina del settore, con conseguente pregiudizio del diritto alla salute e del principio del buon andamento dell’azione amministrativa. L’intervento sostitutivo del Governo sarebbe così inevitabile e non limitato, come dovrebbe, alle sole ipotesi di inerzia ingiustificabile.

La ricorrente lamenta inoltre la violazione degli artt. 3, 5, 76, 97, 117 e 118 della Costituzione, ad opera dell’art. 1, comma 5, della legge impugnata, nella parte in cui prevede che il Governo, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, è delegato ad emanare, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge stessa, un decreto legislativo recante un testo unico delle leggi in materia di attività idrotermali che raccolga, coordinandola, la normativa vigente. La delega conferita al Governo, pur avendo ad oggetto un testo unico che dovrebbe avere carattere compilativo, prevede anche il coordinamento (che la ricorrente presume modificativo), e non la mera raccolta, della normativa vigente. La delega sarebbe priva di qualsiasi principio e criterio direttivo destinato a presiedere all’esercizio della delegazione legislativa ai sensi dell’art. 76 della Costituzione, e l’esercizio indiscriminato (e non "guidato") della delega sarebbe di per sé idoneo a determinare la compromissione delle prerogative regionali.

La Regione Lombardia lamenta, altresì, la violazione degli artt. 3, 5, 97, 117 e 118 della Costituzione ad opera dell’art. 3, comma 1, della legge impugnata, nella parte in cui prevede che le cure termali sono erogate negli stabilimenti delle aziende termali che: a) risultano in regola con l’atto di concessione mineraria o di subconcessione o con altro titolo giuridicamente valido per lo sfruttamento delle acque minerali utilizzate; b) utilizzano, per finalità terapeutiche, acque minerali e termali, nonché fanghi sia naturali sia artificialmente preparati, muffe e simili, vapori e nebulizzazioni, stufe naturali e artificiali, qualora le proprietà terapeutiche delle stesse acque siano riconosciute ai sensi del combinato disposto degli artt. 6, lettera t), della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e 119, comma 1, lettera d) del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112; c) sono in possesso dell’autorizzazione regionale, rilasciata ai sensi dell’art. 43 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; d) rispondono ai requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi definiti ai sensi dell’art. 8, comma 4, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni. Il regime normativo introdotto dalla legge impugnata sarebbe illegittimo in quanto verrebbero imposti, agli stabilimenti termali, dei requisiti che prescindono del tutto dalla volontà della Regione, pur competente in materia, e che si rivelano inutilmente onerosi per i privati. Il legislatore avrebbe dovuto, invece, disciplinare con principi l’autorizzazione regionale, lasciando poi alla Regione di stabilire in concreto i presupposti fattuali e giuridici dell’atto autorizzativo.

La Regione ricorrente lamenta inoltre la violazione degli artt. 3, 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, ad opera dell’art. 4, comma 1, della legge impugnata, che demanda al Ministro della sanità la determinazione delle patologie soggette a cura termale con proprio decreto, come anche l’aggiornamento di tale decreto (comma 3 del medesimo articolo) e l’adozione di linee guida per l’articolazione in cicli di applicazione delle terapie termali pertinenti (comma 2 del medesimo articolo). La decisione sui presupposti dell’erogazione delle cure termali sarebbe così interamente demandata al Ministro, con violazione delle norme costituzionali che garantiscono l’autonomia legislativa e amministrativa delle Regioni e con pesanti ricadute sulla finanza regionale attraverso l’incisione della quota del fondo sanitario nazionale assegnata alla Regione. L’identificazione dei presupposti per l’erogazione delle cure termali sarebbe quindi intermente affidata al Ministro della sanità, ancorché la copertura dei relativi costi spetti alla Regione, senza alcuna forma di coinvolgimento regionale e perciò in violazione anche del principio di leale collaborazione.

La Regione Lombardia dubita anche della legittimità costituzionale del comma 4 dello stesso art. 4 della legge impugnata, nella parte in cui prevede che l’unitarietà del sistema termale nazionale, necessaria in rapporto alla specificità e alla particolarità del settore e delle relative prestazioni, è assicurata da appositi accordi stipulati, con la partecipazione del Ministero della sanità, tra le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e le organizzazioni nazionali maggiormente rappresentative delle aziende termali e che tali accordi divengano efficaci con il recepimento da parte della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano nelle forme previste dagli arrt. 2 e 3 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281. La figura concepita dal legislatore nazionale si configurerebbe come "un atipico ibrido", ponendosi in contrasto con gli artt. 3, 5, 97, 117 e 118 della Costituzione. Se l’accordo, recepito dalla suddetta Conferenza, fosse inteso come una "nuova specie di atto di indirizzo e coordinamento", la sua illegittimità apparirebbe prima facie, trattandosi di atto "contaminato dalla presenza di soggetti privati". Si potrebbe, viceversa, pensare ad un accordo di mero diritto privato, ma il suo recepimento da parte della Conferenza lo trasformerebbe in atto di diritto pubblico in senso soggettivo, e probabilmente in vera e propria fonte del diritto. In realtà, secondo la ricorrente, è la stessa natura del recepimento da parte della Conferenza ad essere incerta, poiché gli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 281 del 1997, richiamati dalla norma impugnata, contemplano figure diverse, e cioè, da un lato, gli accordi, le nomine, gli schemi di convenzione e altro ancora (art. 2) e, dall’altro, le intese (art. 3).

Né sarebbe possibile comprendere, sulla base del dettato normativo, se ed in che limiti la Regione sia vincolata a quanto disposto dalla nuova fonte, nell’ipotesi in cui non avesse concordato con le intese raggiunte dalle altre parti e avesse fatto constare il dissenso in sede di Conferenza. Se l’accordo si ritenesse comunque vincolante, l’illegittimità della sua previsione legislativa sarebbe, a giudizio della ricorrente, evidente, poiché la Regione sarebbe vincolata da un atto il cui contenuto è pesantemente condizionato dall’intervento di soggetti privati.

La Regione Lombardia muove censure anche rispetto all’art. 6, commi 1 e 2, della legge impugnata, per violazione degli artt. 3, 5, 97, 117 e 118 della Costituzione.

Il comma 1 del suddetto articolo prevede che il Ministro della sanità possa promuovere il coinvolgimento e la collaborazione delle aziende termali per la realizzazione di programmi di ricerca scientifica, di rilevazione statistico-epidemiologica e di educazione sanitaria, mirati anche ad obiettivi di interesse sanitario generale, ferme restando le competenze del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica di cui al d.lgs. 5 giugno 1998, n. 204. Secondo la ricorrente, la suddetta previsione consentirebbe al Ministro della sanità di scavalcare le Regioni e le loro competenze contattando direttamente le aziende del settore, non solo per richiedere informazioni ma anche per coordinarne l’attività e indirizzarla, non limitatamente alla raccolta di dati statistico-epidemiologici, ma, più in generale, ad obiettivi non meglio definiti che "di interesse generale sanitario". La genericità e la vaghezza del dettato normativo esporrebbe la potestà amministrativa regionale ad incisioni ed interferenze imprevedibili.

Il comma 2 del citato art. 6 prevede che, al fine della realizzazione dei programmi di cui al comma 1, le Regioni si avvalgono delle Università, degli enti e degli istituti di ricerca specializzati, per lo svolgimento delle attività relative alla definizione dei modelli metodologici e alla supervisione tecnico-scientifica sulla attuazione degli stessi programmi. Anche questa previsione sarebbe, secondo la ricorrente, incostituzionale, in quanto, rispetto all’attuazione di programmi nella formazione dei quali le Regioni non sono coinvolte, si creerebbe un numerus clausus di soggetti utilizzabili, che limita indebitamente l’autonomia organizzativa delle Regioni e lo svolgimento delle loro competenze amministrative presidiate dalla garanzia dell’art. 118 della Costituzione.

La disciplina dell’art. 6 della legge impugnata appare alla ricorrente "complessivamente confusa, priva di chiari canoni distintivi tra formazione dei programmi, la supervisione e la attuazione di essi", e perciò non solo contrastante con gli artt. 5, 117 e 118, ma anche con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.

La Regione Lombardia censura, infine, l’art. 13 della legge impugnata, nella parte in cui prevede che, con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, da emanare entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della stessa legge, è istituito il marchio di qualità termale riservato ai titolari di concessione mineraria per le attività termali; nonché nella parte in cui prevede che il predetto marchio di qualità termale sia assegnato, con decreto del Ministro dell’ambiente, su proposta della Regione, secondo le modalità stabilite dalle Regioni, in base ai principi indicati.

La ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3, 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, in quanto il marchio viene istituito senza alcun coinvolgimento preventivo né delle Regioni, individualmente considerate, né della Conferenza Stato-Regioni e viene poi assegnato a singoli richiedenti non dalle Regioni, ma dal Ministro dell’ambiente su proposta delle Regioni. Peraltro l’assegnazione del marchio viene vigilata, in base al comma 4 dell’art. 13, dagli stessi Ministeri competenti per la istituzione. Le Regioni entrerebbero, dunque, nella istituzione e gestione del marchio solo per proporre l’assegnazione a singoli soggetti, a seguito dell’esame delle domande per l’assegnazione che, in base al comma 3 dell’art. 13, devono essere presentate dai soggetti interessati alla Regione di appartenenza. Quest’ultima previsione sembrerebbe integrare, pur in assenza dei presupposti e delle condizioni, la fattispecie dell’avvalimento degli uffici regionali da parte dello Stato, poiché l’intervento della Regione avrebbe il mero scopo di alleggerire l’onere che, altrimenti, graverebbe sull’amministrazione statale. A giudizio della ricorrente, la violazione della Costituzione, sotto il duplice profilo dell’inosservanza del riparto costituzionale di competenze tra Stato e Regioni e dell’irrazionalità della disciplina censurata, sarebbe pertanto palese.

2. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che il ricorso sia dichiarato in parte inammissibile e comunque che le questioni in esso prospettate siano dichiarate non fondate.

La difesa erariale osserva, anzitutto, che il "settore termale" è, come sostenuto dalla ricorrente, un "settore crocevia", ma non tanto tra ambiti tutti di competenza regionale concorrente quanto tra funzioni rimaste in capo allo Stato e funzioni conferite alle Regioni.

L’espressione "acque minerali e termali" (art. 117 della Costituzione) è stata dall’art. 61 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, riferita esclusivamente agli aspetti demaniali-minerari, con esplicita esclusione della disciplina sanitaria (in senso stretto) delle acque termali e della relativa pubblicità mediante il rinvio all’art. 30 lettera n) del medesimo d.P.R., e con necessità di separata considerazione degli aspetti anche organizzativi e finanziari relativi alla "erogazione delle prestazioni termali". Ciò sarebbe del resto confermato dall’art. 2, comma 1, della legge regionale della Lombardia 5 gennaio 2000, n. 1, ove le funzioni in tema di acque minerali e termali sono incluse tra quelle attinenti allo sviluppo economico ed alle attività produttive. La disposizione contenuta nel suddetto art. 30, lettera n) del d.P.R. n. 616 del 1977 è stata ribadita nell’art. 6 della legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, integrata dall’art. 119, comma 1, lettera d) del d. lgs. n. 112 del 1998 e, ora, confermata dall’art. 3, comma 1, della legge impugnata.

Secondo la difesa erariale, la legge n. 323 del 2000, sottoposta all’esame di questa Corte, non si soffermerebbe sugli aspetti demaniali-minerari, e quindi non sarebbe pertinente l’evocazione della competenza regionale nella materia "acque minerali e termali". La legge impugnata si soffermerebbe, invece, sugli aspetti sanitari (in senso stretto) e su quelli relativi alla "erogazione delle prestazioni termali", riconducibili alla complessa organizzazione dei servizi sanitari, ed inoltre dedicherebbe attenzione alla ricerca scientifica, essa pure materia di competenza statale.

Non pertinente rispetto al contenuto complessivo della legge impugnata sarebbe altresì la materia "urbanistica", ancorché latamente intesa. L'obiettivo di garantire l'igiene dell’ambiente, rinvenibile nell’art. 13, comma 3, lettere b) e d) della legge impugnata e riconducibile alla disciplina sanitaria degli stabilimenti termali, non sarebbe tale da coinvolgere la "urbanistica".

Prima di passare all’esame delle specifiche censure, la difesa erariale rileva l’inammissibilità della domanda di demolizione della legge "nella sua interezza", dal momento che il ricorso non formulerebbe motivi in tal senso.

Con riferimento alle specifiche censure, la difesa erariale sostiene, anzitutto, che sarebbero sostanzialmente inutili le censure mosse nel ricorso agli artt. 1, comma 5, e all’art. 3, comma 1. La prima disposizione si limiterebbe a prevedere soltanto l’emanazione di un testo unico "che raccolga, coordinandola, la normativa vigente", il tutto entro il 6 febbraio 2001 e "previo parere delle competenti Commissioni parlamentari". La seconda disposizione nulla aggiunge, come segnalato dalla stessa Regione ricorrente, a quanto già desumibile da altre norme.

Palesemente infondata sarebbe la censura mossa all’art. 4, commi 1, 2 e 3. La individuazione delle cure termali e delle modalità delle terapie rientrerebbe nell’ambito dei compiti e delle funzioni conservati allo Stato dall’art. 115, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998, o quanto meno accederebbe a detto ambito per esplicita statuizione del legislatore nazionale.

Palesemente inconsistente sarebbe la censura mossa all’art. 6, comma 1, in quanto non sussisterebbe alcun divieto costituzionale per cui al Ministro della sanità sia inibito di assumere iniziative per promuovere il coinvolgimento e la collaborazione delle aziende termali alla realizzazione di programmi di ricerca scientifica, di rilevazione statistico-epidemiologica e di educazione sanitaria. Nessun parametro costituzionale riconoscerebbe peraltro alla Regione un ruolo di "interlocutore unico" in materia.

La censura relativa al comma 2 dello stesso art. 6 sembrerebbe ignorare che i compiti relativi alla ricerca scientifica sono riservati allo Stato (art. 125 del d.lgs. n. 112 del 1998), anche per prevenire dispendiose duplicazioni di iniziative.

Quanto alla censura mossa all’art. 13, che istituisce il "marchio di qualità termale", non sembra alla difesa erariale che tale disposizione riconduca l’attestazione da essa prevista all’istituto anche civilistico del marchio e, comunque, se di vero marchio si trattasse, la rivendicazione di competenza regionale sarebbe inconcepibile. I compiti di istruttoria e di "proposta" attribuiti alla Regione assicurerebbero ad essa una posizione centrale nell’assegnazione del marchio, non potendo il decreto essere emesso dal Ministro in assenza o in difformità dalla proposta. D’altro canto, secondo la difesa erariale, il marchio è destinato ad essere "speso" sui mercati del turismo internazionale, per cui, nell’interesse anche delle "altre Regioni", sembra necessario e conveniente che esso sia in qualche misura garantito dall’ente esponenziale dell’intera collettività nazionale.

In ordine alle altre censure la difesa erariale, rinviando a successiva memoria, si limita a rilevare che l’art. 1, comma 4, è suscettibile di più interpretazioni, e può quindi essere ad esso data lettura conforme a Costituzione; e che l’art. 4, comma 4, che intenderebbe coinvolgere alcune associazioni di categoria in un procedimento amministrativo, appare sintonizzato, in modo forse troppo esplicito, ad un connotato "materiale" dell’attuale assetto istituzionale, nel quale le associazioni di categoria degli operatori economici sono divenute protagoniste molto ascoltate, anzi non di rado imperiose.

3. - In prossimità dell’udienza pubblica del 3 dicembre 2002 ha depositato memoria la ricorrente Regione Lombardia insistendo per l’accoglimento del ricorso.

La Regione Lombardia si sofferma, anzitutto, sulle novità apportate dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, che, nel riformare il titolo V della parte seconda della Costituzione, ha inciso significativamente sul riparto di competenze tra Stato e Regioni.

La ricorrente sottolinea che - come appare ormai emergere dalla ricostruzione del quadro costituzionale effettuata da questa Corte nella sentenza n. 407 del 2002 - gli aspetti riconducibili al "governo del territorio" e alla "tutela della salute" sono connessi a materie o meglio a interessi attribuiti alla competenza legislativa concorrente delle Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.) e gli stessi aspetti che trasversalmente riguardano la "tutela dell’ambiente" non sarebbero estranei alle competenze delle Regioni.

Con specifico riferimento alla materia delle acque minerali e termali, la ricorrente rileva che essa non figura nel nuovo testo dell’art. 117 della Costituzione, per cui deve ritenersi che rientri nella competenza esclusiva residuale regionale di cui al quarto comma del medesimo art. 117.

Tuttavia, essendo evidenti le connessioni tra la materia termale ed alcuni settori rientranti nella competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni quali la tutela della salute, la ricerca scientifica, il governo del territorio, nonché, più latamente, la tutela dell’ambiente, la ricorrente ritiene che la materia termale rientri in parte nella competenza residuale esclusiva regionale e in parte nella competenza concorrente.

Peraltro, prima della riforma del titolo V della Costituzione, allo Stato residuava, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa erariale, unicamente la competenza a regolamentare l’istituto del riconoscimento delle proprietà terapeutiche delle acque minerali e termali e della pubblicità relativa alla loro utilizzazione a scopo sanitario (art. 30, lettera u), del d.P.R. n. 616 del 1977). Sarebbe inconferente, al fine della dimostrazione della presunta estraneità della materia de qua alla competenza legislativa regionale, il richiamo all’art. 119, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 112 del 1998, sebbene contenuto nell’art. 3 della legge n. 323 del 2000, in quanto esso concerne l’autorizzazione pubblicitaria in materia di acque minerali imbottigliate e non in materia di acque termali.

Con riferimento alle sollevate questioni di legittimità costituzionale, la ricorrente ribadisce le ragioni addotte nel ricorso circa la fondatezza delle censure, che risulterebbe ancor più evidente alla luce della mutata distribuzione delle competenze legislative statali e regionali.

In particolare, con riferimento alla censura relativa all’art. 3, comma 1, della legge impugnata - che contiene la definizione di stabilimento termale a mezzo dell’individuazione dei requisiti da possedere al fine di erogare le cure termali - la ricorrente ritiene che le Regioni risultino frustrate nella loro potestà legislativa sia prima che a maggior ragione dopo la riforma del titolo V della Costituzione e che, per quel che attiene alla Regione Lombardia, si deve considerare che sin dal 1980 è stato disposto che l’apertura e l’esercizio di stabilimenti termali sia soggetto ad autorizzazione regionale (art. 47, della legge regionale 29 aprile 1980, n. 44).

Quanto alla censura relativa all’art. 4, commi 1, 2 e 3, la ricorrente rileva che essa permane anche in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione, essendo la tutela della salute una materia rientrante nella competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. Inoltre, non sarebbe pertinente l’eccezione della difesa erariale secondo cui non sarebbe leso il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, in quanto il coinvolgimento della Conferenza unificata è previsto, ai sensi dell’art. 115, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1998, solo nel procedimento per l’adozione del piano sanitario nazionale, dei piani di settore di rilievo nazionale e per il riparto delle risorse. La disposizione censurata avrebbe dovuto prevedere quanto meno forme di collaborazione tra Stato e Regioni in considerazione delle ricadute delle determinazioni dell’autorità statale sulla finanza regionale.

Infine, per quanto concerne l’art. 13 della legge impugnata, istitutivo del marchio di qualità termale, la ricorrente sostiene che il legislatore abbia agito in spregio alle competenze regionali nei settori delle acque minerali e termali, della tutela della salute e del governo del territorio. Peraltro, la lettura della disposizione in discussione dimostrerebbe che, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa erariale, la proposta della Regione non sarebbe vincolante ai fini dell’adozione del decreto interministeriale.

4. - In prossimità dell’udienza ha depositato memoria il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, insistendo nella richiesta di dichiarare in parte inammissibile e comunque di respingere il ricorso della Regione Lombardia.

La difesa erariale si sofferma anzitutto sulla censura relativa all’art. 4, comma 4, della legge impugnata, rilevando che la partecipazione del Ministero della sanità alla formazione degli accordi ivi previsti trovi fondamento soprattutto nell’esigenza di individuare le patologie da contrastare e le qualità terapeutiche delle acque termali. La suddetta partecipazione si baserebbe, dunque, nel concreto, sugli apporti che possono al Ministero essere forniti dalle autorevoli e qualificate strutture scientifiche nazionali.

In ordine alla disposizione contenuta nell’art. 1, comma 4, della legge impugnata, si osserva anzitutto che l’inciso "entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge" ha ormai perso efficacia, venendo così meno l’interesse della ricorrente alla specifica censura. Inoltre, a giudizio della difesa erariale, non appare giustificata la preoccupazione manifestata nel ricorso per cui il Governo sarebbe autorizzato addirittura a sostituirsi al legislatore regionale. L’attività richiesta dalla norma censurata sarebbe di mero coordinamento amministrativo, non di natura legislativa, riferendosi alla definizione di strumenti di valorizzazione, di tutela e di salvaguardia urbanistico-ambientale dei territori termali, adottati dalla Regione e dagli enti interessati, secondo le rispettive competenze, come definite – dovrebbe ritenersi – dalle norme primarie. Per l’applicazione dell’art. 1, comma 4, della legge censurata sarebbero dunque sufficienti "strumenti" di coordinamento da formarsi mediante conferenze di servizi o similari modalità. Osserva inoltre la difesa erariale che la prevista possibilità di esercizio dei poteri sostitutivi è circondata da limiti e garanzie per effetto del rinvio all’art. 5 del d.lgs. n. 112 del 1998. Pur specificando che nelle controversie costituzionali insorte prima della legge costituzionale n. 3 del 2001 sarebbe preferibile evitare il riferimento alle norme introdotte da detta legge costituzionale, la difesa erariale rileva comunque che i limiti all’esercizio del potere sostitutivo previsti dall’art. 5 del d.lgs. n. 112 del 1998 appaiono più stringenti rispetto a quelli ora posti dall’art. 120,comma 2, della Costituzione. Ad ogni modo - rileva conclusivamente la difesa erariale - l’art. 1, comma 4, della legge impugnata non avrebbe finora trovato concreta applicazione nei confronti della Regione Lombardia e non si comprenderebbe perché il comma in questione determini, come sostenuto dalla ricorrente, "la materiale impossibilità, per la Regione, di dettare una corretta disciplina del settore" e violi "il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni".

Considerato in diritto

1. - La Regione Lombardia sottopone al controllo di costituzionalità la legge 24 ottobre 2000, n. 323, recante "Riordino del settore termale", con particolare riferimento agli artt. 1, commi 4 e 5, 3, comma 1, 4, commi 1 e 4, 6, commi 1 e 2, 13, per contrasto con gli artt. 3, 5, 32, 76, 97, nonché 117, 118 e 119 (questi ultimi, nella versione anteriore alla riforma operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) della Costituzione.

Secondo la Regione ricorrente, la legge impugnata - che aspirerebbe, allo stesso tempo, ad essere la nuova legge quadro di settore, nei confronti delle Regioni, e la legge di delega al Governo per il riordino, peraltro per numerosi profili operato direttamente, del settore termale – lederebbe le competenze regionali che gli articoli 117 e 118 della Costituzione (nella formulazione antecedente alla riforma operata con la legge costituzionale n. 3 del 2001) estendono ad "acque termali", "assistenza sanitaria" e urbanistica", per una serie di ragioni, esplicitate nel ricorso con riferimento alle specifiche disposizioni della legge impugnata.

Le censure si appuntano, anzitutto, sull’art. 1, comma 4, della legge impugnata, in base al quale le Regioni, entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della legge, devono definire "con gli enti interessati gli strumenti di valorizzazione, di tutela e di salvaguardia ubanistico-ambientale dei territori termali, adottati secondo le rispettive competenze"; in caso di mancato rispetto di tale termine, il Governo può attivare i poteri sostitutivi ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Secondo la Regione ricorrente, la disposizione sarebbe ambigua, potendo essere interpretata nel senso che i centoventi giorni siano assegnati per l’esercizio della potestà legislativa oppure che siano assegnati allo scopo di varare una serie di misure amministrative di tipo urbanistico-territoriale e ambientale. Peraltro, pur accedendo a quest’ultima interpretazione, la norma non sarebbe conforme a Costituzione, in quanto la brevità e l’incongruità del termine assegnato alle Regioni non consentirebbe ad esse di esercitare tempestivamente le loro attribuzioni, anche in ragione del necessario coordinamento, imposto dalla stessa legge impugnata, con gli altri enti competenti in materia. Sarebbero in tal modo violati sia il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, per come ricostruito da questa Corte (sentenze n. 21 e n. 351 del 1991, n. 341 del 1996, n. 242 del 1997), sia gli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, sia gli artt. 3, 32 e 97 della Costituzione.

Un’altra censura riguarda l’art. 1, comma 5, della legge impugnata, nella parte in cui prevede che il Governo, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, è delegato ad emanare, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della legge stessa, un decreto legislativo recante un testo unico delle leggi in materia di attività idrotermali che raccolga, coordinandola, la normativa vigente. Secondo la Regione Lombardia, il Governo avrebbe in base alla disposizione censurata il potere non solo di raccogliere ma anche di modificare la normativa vigente, senza che siano indicati principi e criteri direttivi. Sarebbero così violati gli artt. 3, 5, 76, 97, 117 e 118 della Costituzione.

La Regione Lombardia lamenta, altresì, la violazione degli artt. 3, 5, 97, 117 e 118 della Costituzione ad opera dell’art. 3, comma 1, della legge impugnata, nella parte in cui prevede che le cure termali sono erogate negli stabilimenti delle aziende termali che abbiano i requisiti ivi indicati, in quanto verrebbero imposti, agli stabilimenti termali, dei requisiti che prescindono del tutto dalla volontà della Regione, pur competente in materia, e che si rivelano inutilmente onerosi per i privati.

Un’altra censura riguarda l’art. 4, comma 1, della legge impugnata, che demanda al Ministro della sanità la determinazione delle patologie soggette a cura termale con proprio decreto, come anche l’aggiornamento di tale decreto (comma 3 del medesimo articolo) e l’adozione di linee guida per l’articolazione in cicli di applicazione delle terapie termali pertinenti (comma 2 del medesimo articolo). La decisione sui presupposti dell’erogazione delle cure termali sarebbe così interamente demandata al Ministro, con violazione delle norme costituzionali che garantiscono l’autonomia legislativa e amministrativa delle Regioni e con pesanti ricadute sulla finanza regionale attraverso l’incisione della quota del fondo sanitario nazionale assegnata alla Regione. La suddetta censura permarrebbe anche in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione, essendo la tutela della salute una materia rientrante nella competenza concorrente dello Stato e delle Regioni.

La Regione Lombardia dubita anche della legittimità costituzionale del comma 4 dello stesso art. 4 della legge impugnata, nella parte in cui prevede che l’unitarietà del sistema termale nazionale, necessaria in rapporto alla specificità e alla particolarità del settore e delle relative prestazioni, è assicurata da appositi accordi stipulati, con la partecipazione del Ministero della sanità, tra le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e le organizzazioni nazionali maggiormente rappresentative delle aziende termali e che tali accordi divengano efficaci con il recepimento da parte della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano nelle forme previste dagli arrt. 2 e 3 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281. La figura concepita dal legislatore nazionale si configurerebbe come "un atipico ibrido", ponendosi in contrasto con gli artt. 3, 5, 97, 117 e 118 della Costituzione. Se l’accordo si ritenesse vincolante, l’illegittimità della sua previsione legislativa sarebbe, a giudizio della ricorrente, evidente, poiché la Regione sarebbe vincolata da un atto il cui contenuto è pesantemente condizionato dall’intervento di soggetti privati.

La Regione Lombardia muove censure anche rispetto all’art. 6, commi 1 e 2, della legge impugnata, per violazione degli artt. 3, 5, 97, 117 e 118 della Costituzione. Il comma 1 del suddetto articolo, nel prevedere che il Ministro della sanità possa promuovere il coinvolgimento e la collaborazione delle aziende termali per la realizzazione di programmi di ricerca scientifica, di rilevazione statistico-epidemiologica e di educazione sanitaria, mirati anche ad obiettivi di interesse sanitario generale, permetterebbe al Ministro di scavalcare le Regioni e le loro competenze contattando direttamente le aziende del settore. Il comma 2 del citato art. 6, nel prevedere che, al fine della realizzazione dei programmi di cui al comma 1, le Regioni si avvalgono delle Università, degli enti e degli istituti di ricerca specializzati, per lo svolgimento delle attività relative alla definizione dei modelli metodologici e alla supervisione tecnico scientifica sulla attuazione degli stessi programmi, creerebbe un numerus clausus di soggetti utilizzabili, che limita indebitamente l’autonomia organizzativa delle Regioni e lo svolgimento delle loro competenze amministrative presidiate dalla garanzia dell’art. 118 della Costituzione.

La Regione Lombardia censura, infine, l’art. 13 della legge impugnata, nella parte in cui prevede che, con decreto del Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, da emanare entro sessanta giorni dalla entrata in vigore della stessa legge, è istituito il marchio di qualità termale riservato ai titolari di concessione mineraria per le attività termali; nonché nella parte in cui prevede che il predetto marchio di qualità termale sia assegnato, con decreto del Ministro dell’ambiente, su proposta della Regione, secondo le modalità stabilite dalle Regioni, in base ai principi indicati. Le Regioni entrerebbero nella istituzione e gestione del marchio solo per proporre l’assegnazione a singoli soggetti, a seguito dell’esame delle domande per l’assegnazione che, in base al comma 3 dell’art. 13, devono essere presentate dai soggetti interessati alla Regione di appartenenza. La previsione censurata integrerebbe, pur in assenza dei presupposti e delle condizioni, la fattispecie dell’avvalimento degli uffici regionali da parte dello Stato, e sarebbe comunque incostituzionale sotto il duplice profilo dell’inosservanza del riparto costituzionale di competenze tra Stato e Regioni e dell’irrazionalità della disciplina censurata.

2. - Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità, avanzata dalla Avvocatura generale dello Stato, della domanda di annullamento della legge "nella sua interezza", in quanto essa non può essere considerata come autonoma censura, dal momento che la ricorrente, nell’affermare che sussiste una "consistente serie di ragioni" per le quali sarebbero lese le competenze regionali in materia di "acque minerali e termali", di "assistenza sanitaria" e di "urbanistica", specifica, nel prosieguo del ricorso, le singole disposizioni della legge impugnata per le quali richiede la dichiarazione di incostituzionalità.

3. - Il ricorso è stato introdotto prima dell’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), con riferimento alle norme costituzionali allora vigenti e, secondo quanto già affermato da questa Corte nella sentenza n. 422 del 2002, la decisione deve avvenire esclusivamente alla stregua della formulazione originaria.

4. - Le censure mosse dalla ricorrente alle disposizioni della legge impugnata sono infondate.

4.1 - Quanto all’art. 1, comma 4, della legge impugnata, è sufficiente osservare che la norma censurata non pone alcun vincolo di contenuto alle competenze regionali.

Peraltro, non essendo finora stato esercitato il potere sostitutivo previsto dalla norma censurata, le Regioni possono adottare le misure del caso, restando comunque fermo che l’eventuale esercizio del potere sostitutivo del Governo, che fosse ritenuto in contrasto con le attribuzioni spettanti alle Regioni in base al nuovo Titolo V, potrà essere censurato da queste ultime.

4.2 - Quanto all’art. 1, comma 5, della legge impugnata, la delega al Governo ad emanare un testo unico delle leggi in materia di attività idrotermali è ormai scaduta e comunque la disposizione censurata si limita a prevedere che il testo unico "raccolga, coordinandola, la normativa vigente", previo parere delle competenti Commissioni parlamentari. Il rilievo della ricorrente circa l’assenza di qualsiasi principio e criterio direttivo e la conseguente abilitazione del Governo ad un esercizio "indiscriminato" (e non "guidato) della delega, ritenuto di per sé idoneo a ledere prerogative regionali, non può essere accolto. Il riferimento alla normativa preesistente consente di delimitare la potestà del Governo che avrebbe dovuto essere esercitata in funzione dell’esigenza della raccolta e del coordinamento di essa, costituenti, al tempo stesso, le finalità da raggiungere e i principi e i criteri direttivi da osservare. Il potere normativo così attribuito al Governo non è di per sé idoneo a compromettere prerogative regionali, dovendo il relativo esercizio essere volto alla riconduzione in un quadro di coerenza sistematica di norme legislative contenute in precedenti atti normativi.

4.3 - Quanto all’art. 3, comma 1, della legge impugnata, deve essere accolto il rilievo dell’Avvocatura dello Stato, secondo il quale, nell’indicare i requisiti affinché le cure termali possano essere erogate negli stabilimenti delle aziende termali, la disposizione censurata nulla aggiungerebbe a quanto già desumibile da altre norme, ma si sofferma su aspetti relativi alla erogazione delle prestazioni termali al fine di assicurare alla generalità degli utenti alcune garanzie di affidabilità delle singole aziende termali e quindi del sistema termale nazionale, senza pregiudicare il regime della autorizzazione regionale, il cui possesso è specificamente richiesto nella lettera c).

4.4 - Quanto all’art. 4, comma 1, della legge impugnata - che demanda al Ministro della sanità la determinazione delle patologie soggette a cura termale con proprio decreto, come anche l’aggiornamento di tale decreto (comma 3 del medesimo articolo) e l’adozione di linee guida per l’articolazione in cicli di applicazione delle terapie termali pertinenti (comma 2 del medesimo articolo) – deve osservarsi che la disciplina censurata riguarda aspetti tecnico-sanitari, attinenti alla individuazione delle cure termali assumibili a carico del Servizio sanitario nazionale. Il provvedimento si basa, come emerge dal d.m. 22 marzo 2001 (Individuazione delle patologie per il cui trattamento è assicurata, ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 24 ottobre 2000, n. 323, l’erogazione delle cure termali a carico del Servizio sanitario nazionale), sull’acquisizione di dati scientifici da parte del Ministero, tanto è vero che, nel caso di specie, in attesa di una più completa elaborazione ritenuta opportuna dal Consiglio superiore di sanità, il suddetto atto ha prorogato la validità dell’elenco delle "patologie che possono trovare reale beneficio dalle cure termali", contenuto nel decreto del ministro della sanità 15 dicembre 1994.

4.5 - Quanto all’art. 4, comma 4, della legge impugnata, il legislatore statale ha inteso assicurare l’unitarietà del sistema termale nazionale, necessaria in rapporto alla specificità e alla particolarità del settore e delle relative prestazioni, attraverso appositi accordi stipulati, con la partecipazione del Ministero della sanità, tra le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano e le organizzazioni nazionali maggiormente rappresentative delle aziende termali, subordinandone l’efficacia al recepimento da parte della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano nelle forme previste dagli artt. 2 e 3 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281. La partecipazione del Ministro alla formazione degli accordi trova fondamento soprattutto nella competenza ad esso attribuita nell’individuazione delle patologie da contrastare e delle qualità terapeutiche delle acque termali. Mentre la presenza dei soggetti privati trova giustificazione in relazione al fatto che i suddetti accordi riguardano, tra l’altro, la determinazione dei livelli tariffari per l’erogazione delle prestazioni termali. Così giustificata la partecipazione di soggetti privati, il sistema degli accordi previsto dalla disposizione censurata non può ritenersi lesivo dei parametri invocati dalla ricorrente.

4.6 - Quanto all’art. 6, comma 1, della legge impugnata, la previsione per cui il Ministro della sanità può promuovere il coinvolgimento e la collaborazione delle aziende termali per la realizzazione di programmi di ricerca scientifica, di rilevazione statistico-epidemiologica e di educazione sanitaria, mirati anche ad obiettivi di interesse sanitario generale, non contrasta con la Costituzione, poiché, come esattamente rilevato dalla difesa erariale, nessun parametro costituzionale riconosce alla Regione il ruolo di "interlocutore unico" in materia, né inibisce al Ministro l’assunzione delle suddette iniziative.

Del pari infondata è la questione che riguarda il comma 2 del medesimo articolo 6, che, al fine della realizzazione dei programmi di cui al comma 1, prevede che le Regioni si avvalgano delle Università, degli enti e degli istituti di ricerca specializzati, per lo svolgimento delle attività relative alla definizione dei modelli metodologici e alla supervisione tecnico-scientifica sulla attuazione degli stessi programmi. Nell’esercizio della competenza in materia di ricerca scientifica, il legislatore statale ha scelto di coinvolgere le Regioni, individuando i soggetti di cui esse possono avvalersi nella attuazione dei programmi. Si tratta, dunque, di una scelta non imposta alla Regione.

Le scelte legislative compiute con l’art. 6 impugnato non determinano, pertanto, alcuna lesione delle competenze regionali.

4.7 - Quanto all’art. 13 della legge impugnata, occorre precisare che il marchio di qualità termale è un’attestazione di qualità che ha valenza anche internazionale, per cui appare ragionevole che l’istituzione di esso e poi l’assegnazione ai titolari di concessione mineraria per le attività termali sia effettuata dall’ente esponenziale dell’intera collettività nazionale. I compiti di istruttoria attribuiti alle Regioni dalla disposizione censurata non integrano, come invece sostiene la ricorrente, la fattispecie dell’avvalimento degli uffici regionali da parte dello Stato, in quanto si traducono in un potere di proposta al Ministro, secondo le modalità stabilite dalle Regioni stesse, che assicura ad esse una posizione centrale nell’assegnazione del marchio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 4 e 5, della legge 24 ottobre 2000, n. 323 (Riordino del settore termale), proposta dalla Regione Lombardia per violazione degli artt. 3, 5, 76, 97, nonché 117 e 118 della Costituzione (questi ultimi, nella versione anteriore alla riforma operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della menzionata legge n. 323 del 2000, proposta dalla Regione Lombardia per violazione degli artt. 3, 5, 97, nonché 117 e 118 della Costituzione (questi ultimi, nella versione anteriore alla riforma operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della menzionata legge n. 323 del 2000, proposta dalla Regione Lombardia per violazione degli artt. 3, 5, 97, nonché 117, 118 e 119 della Costituzione (questi ultimi, nella versione anteriore alla riforma operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4, della menzionata legge n. 323 del 2000, proposta dalla Regione Lombardia per violazione degli artt. 3, 5, 97, nonché 117 e 118 della Costituzione (questi ultimi, nella versione anteriore alla riforma operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1 e 2, della menzionata legge n. 323 del 2000, proposta dalla Regione Lombardia per violazione degli artt. 3, 5, 97, nonché 117 e 118 (questi ultimi, nella versione anteriore alla riforma operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3);

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della menzionata legge n. 323 del 2000, proposta dalla Regione Lombardia per violazione degli artt. 3, 5, 97, nonché 117 e 118 della Costituzione (questi ultimi, nella versione anteriore alla riforma operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il

26 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2003.