Ordinanza n. 76/2003

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ORDINANZA N.76

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK         "

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA          

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 197-bis, commi 1 e 5, del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto con ordinanza del 5 ottobre 2001, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 29 gennaio 2003 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del comma 1 dell'art. 197-bis del codice di procedura penale, <<nella parte in cui non prevede che anche le persone indagate in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 o di un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen. possano essere sempre sentite come testimoni - con le garanzie di cui ai commi 3, 4, 5 e 6 della citata norma […] - quando nei loro confronti è stato pronunciato decreto di archiviazione ai sensi dell'art. 411 cod. proc. pen.>>, nonché del comma 5 del medesimo articolo, <<nella parte in cui non prevede la inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalle dette persone contro di esse nel procedimento conseguente alla eventuale riapertura delle indagini>>;

che il Tribunale premette:

- che procede, a seguito di rinvio a giudizio del marzo del 1997, a carico di alcuni imputati per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope);

- che nel febbraio del 1998 aveva ammesso le prove tra cui l’esame, ex art. 210 cod. proc. pen., di tre soggetti la cui posizione era stata medio tempore <<definita con decreto di archiviazione in conseguenza della ritenuta detenzione di sostanza stupefacente per mero uso personale>> e che successivamente, nel giugno del 2001, uno di tali soggetti si era avvalso della facoltà di non rispondere;

- che a fronte di tale situazione processuale il pubblico ministero ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 197-bis, comma 1, cod. proc. pen., perché non consente di sentire come testimoni anche le persone indagate in procedimento connesso o per reato collegato quando nei loro confronti è stato pronunciato decreto di archiviazione ex art. 411 cod. proc. pen.;

che il Tribunale rimettente rileva che la sentenza n. 108 del 1992 della Corte costituzionale, che aveva escluso la possibilità di assumere come testimone l'indagato nei cui confronti era stato emesso provvedimento di archiviazione, non potrebbe più trovare applicazione dopo la legge 1° marzo 2001, n. 63, che, tra le numerose innovazioni, ha modificato la disciplina della incompatibilità a testimoniare, estendendo <<l'obbligo della testimonianza a categorie di soggetti prima espressamente esentate>>;

che ad avviso del giudice a quo la ragione dell'ampliamento dell’area della testimonianza risiede nella <<intervenuta definitività>> della posizione processuale del dichiarante, che non potrebbe più subire effetti pregiudizievoli a seguito dell'esame testimoniale, anche in considerazione delle ulteriori garanzie previste dai commi 3, 4, 5 e 6 del nuovo art. 197-bis cod. proc. pen.;

che la norma censurata si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., a cagione della disparità di trattamento tra imputato e indagato, nonostante <<per entrambe le posizioni sia intervenuto il crisma della definitività, con una sentenza irrevocabile […] per il primo, con un decreto di archiviazione ex art. 411 cod. proc. pen. per il secondo (pronunciato, come nell'ipotesi di specie, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, essendo lo stesso amministrativamente sanzionato)>>;

che, pertanto, ai sensi dell'art. 61 cod. proc. pen. alle due posizioni andrebbero estese la stessa disciplina e le medesime garanzie, con particolare riferimento al comma 5 dell'art. 197-bis cod. proc. pen., che tutelerebbe in modo pieno l'indagato in caso di riapertura delle indagini ex art. 414 cod. proc. pen.;

che la disciplina censurata violerebbe inoltre il principio di ragionevolezza, in quanto ostacolerebbe l'accertamento del fatto storico necessario per pervenire ad una giusta decisione;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata;

che a parere dell’Avvocatura le due situazioni poste a confronto sarebbero disomogenee e quindi non comparabili, in quanto, diversamente da quella dell’imputato giudicato con sentenza irrevocabile, la posizione dell’indagato nei cui confronti è stato emesso un decreto di archiviazione non può considerarsi definitivamente risolta, attesa <<la natura limitatamente preclusiva del provvedimento di archiviazione, suscettibile di essere rimosso, anche nell’ipotesi in cui lo stesso sia intervenuto ai sensi dell’art. 411 cod. proc. pen., ai sensi e per gli effetti dell’art. 414 cod. proc. pen.>>;

che, inoltre, la disciplina censurata risulta frutto di una scelta legislativa che, nel dare attuazione all'art. 111 Cost. nella parte in cui afferma il principio della formazione della prova in contraddittorio, non irragionevolmente ha individuato nella sentenza irrevocabile <<un giusto punto di equilibrio tra l’obbligo di testimonianza sul fatto altrui che discende dal suddetto principio ed il diritto al silenzio dell’imputato>>.

Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell'art. 197-bis, commi 1 e 5, del codice di procedura penale, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto la disciplina censurata non prevede che possa essere sentita come testimone la persona nei cui confronti sia stato pronunciato un provvedimento di archiviazione a norma dell'art. 411 cod. proc. pen. per un reato connesso o collegato a quello per cui si procede, con la garanzia della non utilizzabilità delle dichiarazioni rese nel procedimento conseguente alla eventuale riapertura delle indagini;

che in sostanza il rimettente, ritenendo non più attuali, alla luce del mutato quadro normativo, le argomentazioni poste dalla Corte costituzionale a base della sentenza n. 108 del 1992, chiede una decisione che, ai fini dell'assunzione dell'ufficio di testimone, equipari la posizione della persona già indagata in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 cod. proc. pen., ovvero per un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen., nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di archiviazione ex art. 411 cod. proc. pen., a quella dell'imputato in procedimento connesso o di reato collegato giudicato con sentenza irrevocabile di proscioglimento;

che con la legge 1° marzo 2001, n. 63, il legislatore, nell'intento di contemperare la riduzione dell'area del diritto al silenzio con il diritto dell'imputato a non rendere dichiarazioni contra se, ha ridefinito i casi di connessione tra procedimenti e di collegamento tra reati (artt. 12 e 371, comma 2, lettera b, cod. proc. pen.), ha modificato l’art. 197 cod. proc. pen., ampliando il novero dei provvedimenti idonei a far cessare la incompatibilità a testimoniare, in precedenza individuati nella sola sentenza irrevocabile di proscioglimento, e nel contempo ha previsto nell’art. 197-bis cod. proc. pen. una particolare disciplina e specifiche garanzie per l’esame testimoniale dell'imputato sul fatto altrui;

che, pertanto, accanto alla figura "tradizionale" del testimone, e dell’imputato in procedimento connesso a norma dell’art. 12, comma 1, lettera a), che deve essere sentito ex art. 210 cod. pen. proc. (categoria, quest’ultima, che rimane fondamentalmente connotata dalla facoltà di non rispondere), si è aggiunta quella del testimone "assistito" dalle garanzie previste dall'art. 197-bis cod. proc. pen.;

che, in particolare, il legislatore ha escluso l’incompatibilità con l’ufficio di testimone per gli imputati in procedimento connesso o di reato collegato a condizione che siano stati definitivamente giudicati (e sia perciò operante il divieto di bis in idem), ovvero a condizione che abbiano volontariamente assunto la veste di testimone (a seguito dell’avviso a norma dell’art. 64, comma 3, lettera c, cod. proc. pen.) e non siano imputati dello stesso fatto (art. 12, comma 1, lettera a);

che il rimettente - traendo spunto dal caso, sottoposto al suo esame, di archiviazione pronunciata perché il fatto, qualificato come detenzione di stupefacente per uso personale, non è previsto dalla legge come reato - sostiene che il provvedimento di archiviazione emesso nelle ipotesi di cui all’art. 411 cod. proc. pen. assume un carattere di stabilità analogo a quello della sentenza irrevocabile;

che, al riguardo, si deve però osservare che, al di là delle peculiari situazioni che possono in concreto verificarsi, il provvedimento di archiviazione, pronunciato con qualsivoglia "formula", potrebbe in astratto essere sempre superato dalla riapertura delle indagini, autorizzata in vista di una nuova qualificazione del fatto come fattispecie penalmente rilevante ovvero come reato perseguibile d'ufficio o ancora come reato per il quale operano termini prescrizionali di maggiore durata;

che, d'altro canto, ove si voglia tenere conto, ai fini dell'assunzione dell'ufficio di testimone, della obiettiva diversità della posizione del soggetto nei cui confronti è stato emesso un provvedimento di archiviazione rispetto a quella del soggetto la cui posizione processuale è ancora sub iudice, potrebbero ipotizzarsi soluzioni diverse da quella prevista per l'imputato prosciolto con sentenza irrevocabile, o differenziate tra loro a seconda, ad esempio, che il soggetto "archiviato" sia stato indagato in un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12 ovvero per un reato collegato a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen.;

che, inoltre, il provvedimento di archiviazione pronunciato ex art. 411 cod. proc. pen. si riferisce a situazioni tra loro non omogenee, che si atteggiano in modo differente quanto alla loro normale forza di resistenza rispetto ad una eventuale riapertura delle indagini ex art. 414 cod. proc. pen. e potrebbero quindi suggerire una disciplina differenziata in tema di compatibilità con l’ufficio di testimone;

che infine - attesa la struttura sostanzialmente unitaria dell'istituto dell'archiviazione previsto dagli artt. 408 e 411 cod. proc. pen. - la soluzione della questione prospettata dal rimettente comporterebbe la necessità di definire una disciplina non circoscritta alla situazione oggetto del giudizio a quo, ma correlata agli altri casi di archiviazione presenti nell'ordinamento processuale, sì che la Corte sarebbe chiamata a compiere una complessa e analitica ricostruzione del sistema delle incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone, svolgendo funzioni ed operando scelte discrezionali che rientrano nelle attribuzioni del legislatore;

che la questione sollevata dal rimettente deve pertanto essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 197-bis, commi 1 e 5, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 marzo 2003.