Ordinanza n. 72/2003

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ORDINANZA N.72

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

- Alfio FINOCCHIARO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria), nel testo modificato dall’art. 6 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 (Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502) e del medesimo art. 5 nel testo modificato dall’art. 1 (rectius: 5) del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale), promosso con ordinanza del 17 giugno 2002 dal Tribunale di Ivrea nel procedimento civile vertente tra il Comune di Caluso e la Regione Piemonte ed altra, iscritta al n. 380 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visto l’atto di costituzione del Comune di Caluso nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica dell’11 febbraio 2003 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

  uditi l’avvocato Guido Romanelli per il Comune di Caluso e l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

  Ritenuto che, con ordinanza del 17 giugno 2002, il Tribunale di Ivrea solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria), nel testo risultante dopo la modifica introdotta con l’art. 6 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 (Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), nonché dello stesso art. 5, come modificato dall’art. 1 (rectius: 5) del decreto legislativo 19 giugno 1999 n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale), in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, per eccesso rispetto alla delega conferita dall’art. 1, lett. p) della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale);

  che il giudizio civile, nel corso del quale la questione è stata sollevata, venne introdotto dal comune di Caluso, con citazione notificata il 14 febbraio 2000, volta a sentire accertare e dichiarare, nei confronti della Regione Piemonte e dell’Azienda Regionale ASL n. 9, il suo diritto di proprietà sui locali ubicati al secondo e al terzo piano di Palazzo Spurgazzi, Piazza Valperga n. 2 del Comune di Caluso, destinati dal Comune, fin dal 1984, a ospitare gli uffici amministrativi della ASL n. 9, ed a questa trasferiti con delibera dell’8 settembre 1998 n. 267 del dirigente regionale competente;

  che il Comune contesta tale provvedimento, sia perché fondato su una errata interpretazione della disposizione di cui all’art. 5 del d. lgs. n. 502 del 1992, sia perché la destinazione dei locali all’unità sanitaria locale non era più attuale;

  che gli enti convenuti, costituitisi in giudizio, confutano con articolate argomentazioni la domanda attrice;

  che il giudice rimettente osserva, preliminarmente, che la tesi posta a fondamento della domanda – secondo la quale la norma innanzi menzionata andrebbe interpretata nel senso che possano essere attribuiti alle aziende sanitarie tutti e solo quei beni che facevano parte del patrimonio degli enti, delle casse mutue e delle gestioni soppresse a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 833 del 1978 – risulta argomentata con riferimento alla ratio della disposizione, al dettato della legge delega e alla normativa regionale: alla prima, in quanto con il decreto legislativo n. 502 del 1992 il legislatore avrebbe segnatamente voluto "sdoganare" quei beni che, già appartenenti a enti titolari di funzioni sanitarie, erano stati formalmente attribuiti ai comuni, nell’impossibilità di una loro diretta intestazione alle USL, per essere queste all’epoca prive di personalità giuridica; alla seconda, in quanto l’art. 1, lett. p) della legge n. 421 del 1992 ha limitato il trasferimento ai soli beni "già di proprietà dei disciolti enti ospedalieri e mutualistici"; alla legislazione regionale, in quanto la legge 28 marzo 1983, n. 9, della Regione Piemonte classifica i beni delle USL in due categorie, distinguendo, dagli altri, quelli già di pertinenza degli enti soppressi, di modo che l’inciso col quale si apre l’art. 5 ("nel rispetto della normativa regionale vigente") non può significare altro se non che i beni dei quali si deve disporre il trasferimento alle USL sono solo questi ultimi;

  che, a giudizio del rimettente, l’interpretazione del Comune di Caluso non trova riscontro nel chiaro tenore dell’art. 5 del d. lgs. n. 502 del 1992 (come modificato dal d. lgs. n. 517 del 1993) in quanto tale norma, dopo avere individuato nella prima parte, quali oggetto del trasferimento, "tutti i beni mobili, immobili, ivi compresi quelli da reddito (nonché) le attrezzature che, alla data di entrata in vigore del … decreto (facevano) parte del patrimonio dei comuni o delle province con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali", si occupa nella seconda parte – nettamente separata dalla prima da un segno di punteggiatura, il punto e virgola, e da un modulo espressivo, "sono parimenti trasferiti", assolutamente inequivocabili – dei beni di cui erano una volta titolari le disciolte gestioni sanitarie, così chiaramente distinguendo questi dagli altri;

  che poiché, a giudizio del rimettente, i mezzi da trasferire possono essere sia quelli non appartenuti agli enti soppressi, ma di proprietà di comuni e province, purché vincolati a destinazione sanitaria (primo inciso), sia quelli già appartenuti agli enti soppressi (secondo inciso), la norma in discorso – nel testo risultante dopo la modifica introdotta, utilizzando la medesima delega, con l’art. 6 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 – appare in insanabile contrasto con la legge 23 ottobre 1992, n. 421, la quale aveva demandato al Governo di disciplinare i trasferimenti, da province e comuni alle unità sanitarie locali, dei soli beni "già di proprietà dei disciolti enti ospedalieri e mutualistici";

  che il dubbio di legittimità costituzionale del rimettente investe l’art. 5, primo comma, anche nella sua attuale formulazione, quale risulta a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 1 (rectius: 5) del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229;

  che la norma de qua – a tenore della quale "nel rispetto della normativa regionale vigente, il patrimonio delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere è costituito da tutti i beni mobili e immobili ad esse appartenenti, ivi compresi quelli da trasferire o trasferiti loro dallo Stato o da altri enti pubblici, in virtù di leggi o di provvedimenti amministrativi nonché da tutti i beni comunque acquisiti nell’esercizio della propria attività o a seguito di atti di liberalità" – non appare idonea a scardinare il dubbio sul se i beni che devono essere trasferiti alle unità sanitarie locali siano solo quelli già di proprietà degli enti disciolti, ovvero anche quelli comunque di proprietà dello Stato o di altri enti pubblici;

  che la rilevanza della questione discende de plano dal fatto che, controvertendosi della proprietà di beni che non appartenevano ai disciolti enti sanitari ma al Comune di Caluso, la domanda dallo stesso proposta in base all’attuale assetto normativo dovrebbe essere rigettata, laddove andrebbe accolta, ove il dubbio di legittimità costituzionale sollevato fosse ritenuto fondato;

  che, costituitosi in giudizio, il Comune di Caluso rileva che l’art. 1 della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, prevedeva la definizione di principi organizzativi delle Unità sanitarie locali, strutturate come aziende infraregionali dotate di personalità giuridica e, in sintonia con tale assetto, stabiliva che dovesse aver luogo "il trasferimento (ad esse) … del patrimonio mobiliare e immobiliare già di proprietà dei disciolti enti ospedalieri e mutualistici, che alla data d’entrata in vigore (della legge stessa) … fa(ceva) parte del patrimonio dei Comuni", ai quali, non avendo la riforma del 1978 attribuito alle Unità sanitarie locali la personalità giuridica in quanto enti strumentali dei Comuni, erano stati trasferiti, con vincolo di destinazione alle USL;

  che la norma con la quale la delega è stata attuata non può essere interpretata, a giudizio del Comune, come volta ad assicurare il trasferimento alle Aziende sanitarie di tutti i beni mobili e immobili facenti parte del patrimonio dei Comuni con vincolo di destinazione ai servizi sanitari, a prescindere dalla circostanza che essi fossero o meno divenuti di proprietà comunale per effetto della legge n. 833 del 1978, posto che in tal caso essa sarebbe in insanabile contrasto, oltre che con gli artt. 42 e 97 della Costituzione, con la legge delega, e quindi anche con l’art. 76;

  che l’opzione ermeneutica prospettata (sostanzialmente condivisa dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 98 del 1997), non può ritenersi inficiata dalle modificazioni apportate dal d. lgs. n. 229 del 1999, posto che tali modificazioni, del resto irrilevanti ai fini del decidere stante l’operatività del principio tempus regit actum, si limitano a offrire la definizione del patrimonio delle ASL e delle AO;

  che il Comune di Caluso chiede che la Corte costituzionale, interpretata la norma impugnata nel senso innanzi esplicitato, ritenga infondata la sollevata questione di costituzionalità o, in via gradata, ove non condivida l’interpretazione proposta, dichiari l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 per eccesso di delega;

  che, costituitosi in giudizio a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce l’inammissibilità o comunque la manifesta infondatezza della sollevata questione, osservando in particolare che l’interpretazione logica e sistematica della norma di delega – art. 1, lett. p), della legge 23 ottobre 1992, n. 421 – impone di ritenere che essa non precludesse affatto la possibilità di estendere il trasferimento ai beni dei Comuni e delle Province non provenienti dagli enti mutualistici soppressi, ma vincolati al servizio delle USL; che la questione sarebbe inammissibile, in primo luogo in quanto riferita alla nuova e attuale formulazione dell’art. 5 del d. lgs. 502 del 1992, conseguente alla modifica apportata con l’art. 5 del d. lgs. n. 229 del 1999 – posto che questo è stato emanato in base a diversa e specifica delega (la legge n. 419 del 1998, nonché la legge n. 133 del 1999) con la quale il rimettente ha omesso di raffrontare la norma delegata, ed in secondo luogo in quanto riferita al precedente testo dell’art. 5 del d. lgs. n. 502 del 1992, senza alcuna valutazione di rilevanza in ordine all’influenza, sulla definizione del giudizio principale, dell’attuale formulazione della norma impugnata, e senza considerare che il testo vigente sembra esprimere una volontà di legittimazione dei trasferimenti attuati in favore delle Aziende sanitarie;

  che alla pubblica udienza gli avvocati Paolo Scaparone e Giorgio D’Amato hanno illustrato le ragioni, rispettivamente, del Comune di Caluso e della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Considerato che il Tribunale di Ivrea dubita, in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 5 del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, nel testo modificato dall’art. 6 del d. lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, e del medesimo art. 5 come modificato dall’art. 5 del d. lgs. 19 giugno 1999, n. 229, per eccesso rispetto alla delega conferita dall’art. 1, lett. p), della legge 23 ottobre 1992, n. 421;

  che la questione di legittimità costituzionale è manifestamente inammissibile in quanto, in primo luogo il rimettente omette ogni motivazione riguardo alla applicabilità o non al caso di specie dell’art. 5 quale risulta modificato dal d. lgs. n. 229 del 1999, così come omette totalmente di considerare che la norma de qua è stata emanata in base ad una legge delega diversa da quella – legge 23 ottobre 1992, n. 421 - in relazione alla quale il rimettente lamenta l’eccesso di delega;

  che, in secondo luogo, e cioè anche a voler ritenere l’art. 5, quale riformulato dal d. lgs. n. 229 del 1999, come meramente ricognitivo e riepilogativo di quanto disposto dall’art. 5 nella formulazione di cui al d. lgs. 7 dicembre 1993, n. 517, il rimettente omette del tutto di valutare se il "vincolo di destinazione sanitaria" di cui è parola nella norma include anche l’ipotesi, ricorrente nella specie, in cui un Comune avesse deciso di ospitare, quale ente gestore della USL (all’epoca priva di personalità giuridica), uffici amministrativi della medesima USL, e non alluda piuttosto a strutture sanitarie originariamente comunali (o provinciali) da gestire, a seguito della legge n. 833 del 1978, unitariamente con quelle rivenienti al Comune dai disciolti enti mutualistici;

  che, conseguentemente, la questione prospettata deve dichiararsi manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria), nel testo risultante dall’art. 6 del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 (Modificazioni al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), e del medesimo art. 5 nel testo risultante dall’art. 5 del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (Norme per la razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale), sollevata, in riferimento agli artt. 76 e 77, comma primo, della Costituzione, dal Tribunale di Ivrea con l’ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 marzo 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2003.