Ordinanza n. 54 del 2003

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ORDINANZA N.54

 

ANNO 2003

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Riccardo                   CHIEPPA                      Presidente

 

- Gustavo                    ZAGREBELSKY           Giudice

 

- Valerio                     ONIDA                                  "

 

- Carlo                         MEZZANOTTE                   "

 

- Fernanda                  CONTRI                                "

 

- Guido                       NEPPI MODONA                "

 

- Piero Alberto            CAPOTOSTI                         "

 

- Annibale                   MARINI                                "

 

- Franco                      BILE                                      "

 

- Giovanni Maria        FLICK                                    "

 

- Francesco                 AMIRANTE                          "

 

- Ugo                          DE SIERVO                         "

 

- Romano                    VACCARELLA                    "

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 31 ottobre 2001 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Torino nel procedimento penale a carico di B.G., iscritta al n. 85 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2002.

 

            Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

            udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.         

 

    Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Torino, con ordinanza del 31 ottobre 2001, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27, 101 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice per le indagini preliminari a pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero qualora, nel corso del medesimo procedimento penale, lo stesso giudice abbia in precedenza emesso un'ordinanza applicativa di una misura cautelare personale nei confronti dell'indagato;

 

    che il rimettente premette di essere chiamato a decidere sull'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione per i delitti di omicidio, tentata rapina e violazione di domicilio, formulata dal pubblico ministero nell'assunto del difetto di prova che l'indagato (minore all'epoca del reato) abbia commesso il fatto e pertanto «per motivi che investono il merito della fondatezza dell'accusa»;

 

    che, aggiunge il giudice a quo, nella fase iniziale delle indagini, egli stesso, sempre quale giudice per le indagini preliminari, dopo aver convalidato il fermo dell'indagato, aveva emesso nei confronti di quest'ultimo un'ordinanza applicativa della misura cautelare personale del collocamento in comunità, da eseguirsi presso apposita struttura psichiatrica, precisando che detta misura si fondava «espressamente sulla gravità degli indizi a sostegno della commissione del reato» da parte dell'indagato;

 

    che, quanto alla non manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalità, il rimettente – richiamata la modifica normativa con la quale il legislatore ha imposto la netta separazione tra le funzioni di giudice per le indagini preliminari e quelle di giudice per l'udienza preliminare (art. 34, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 171 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51) – osserva che la Corte costituzionale, in diverse pronunce (sentenze n. 155 e n. 131 del 1996, n. 432 del 1995), ha affermato l'incompatibilità alla funzione di giudizio per il giudice che, in una precedente fase del procedimento, abbia adottato decisioni in materia di libertà personale, con ciò ritenendo che le valutazioni che il giudice compie in tale ultima sede circa la gravità degli indizi raccolti dall'accusa a carico della persona sottoposta alle indagini siano idonee a pregiudicarne l'imparzialità nella successiva fase del giudizio, sia esso dibattimentale o abbreviato o di applicazione della pena su richiesta;  

 

che, ad avviso del rimettente, se è vero che nella specie, trattandosi di decidere in merito alla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero a conclusione delle indagini, non può a rigore parlarsi di «fase diversa» del procedimento, dato che la richiesta di archiviazione ha la funzione di concludere la medesima fase (delle indagini preliminari) nella quale è stata adottata la misura cautelare personale, tuttavia non potrebbe «trascurarsi che, in ogni caso, deve essere riconosciuto carattere decisorio al contenuto dell'attività del giudice, soprattutto a fronte di una richiesta di archiviazione espressamente motivata [...] nel merito della riconducibilità del reato all'indagato e non, ad esempio, in punto imputabilità»;

 

    che il rilievo sopra detto assumerebbe specifica incidenza – aggiunge il giudice rimettente – in quanto, da un lato, l'eventuale accoglimento della richiesta di archiviazione porterebbe a definire il procedimento, salva la possibilità di riapertura delle indagini, peraltro subordinata a ben precise condizioni e al rilascio di apposita autorizzazione, e, dall'altro, il rigetto della richiesta di archiviazione, pur avendo l'esclusivo effetto di imporre al pubblico ministero la formulazione dell'imputazione (o l'espletamento di ulteriori indagini), con conseguente passaggio alla fase processuale vera e propria, rischierebbe in ogni caso di apparire condizionata dalla precedente valutazione de libertate, operata allora dallo stesso giudice sulla base di elementi in larga parte comuni a quelli posti ora a fondamento dell'istanza di archiviazione;

 

    che pertanto il rimettente solleva d'ufficio l'indicata questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., ritenendola rilevante – in quanto la stessa investirebbe un problema di capacità del giudice in concreto investito di una pronuncia  idonea a condizionare l'esito del procedimento – e non manifestamente infondata «in relazione ad un possibile contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, della Costituzione) e ai principi che regolano il giusto processo, ora costituzionalizzato, l'imparzialità' del giudice, e l'esercizio del diritto di difesa (artt. 24, 25, 27, 101 e 111 della Costituzione)»;

 

    che nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

 

    Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Torino dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27, 101 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del giudice per le indagini preliminari a pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero qualora, nel corso del procedimento, lo stesso giudice abbia in precedenza applicato una misura cautelare personale nei confronti della medesima persona sottoposta alle indagini;

 

    che le norme dettate dal codice di procedura penale in materia di incompatibilità del giudice, rivolte ad assicurare l'osservanza dei principi dell'imparzialità e della terzietà, quali connotati essenziali della funzione giurisdizionale compendiati nella formula del «giusto processo» (per tutte, sentenza n. 131 del 1996) e ora espressamente enunciati dall'art. 111 della Costituzione, escludono, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il giudice possa essere chiamato a svolgere funzioni di «giudizio» (art. 34, commi 2 e 2-bis, cod. proc. pen.) una volta che abbia precedentemente svolto attività decisorie sul medesimo oggetto, in fasi o gradi anteriori del medesimo procedimento penale (ex plurimis, sentenze n. 308, n. 307 e n. 306 del 1997);

 

    che in particolare, come questa Corte ha numerose volte affermato (per tutte, sentenza n. 335 del 2002), con la locuzione «giudizio», rilevante ai fini dell'insorgere della relazione di incompatibilità in capo allo stesso giudice-persona fisica, deve intendersi non solo il giudizio dibattimentale ma qualsiasi tipo di giudizio che, in base a un esame e a una valutazione del materiale probatorio, pervenga a una decisione relativa al merito dell'accusa, con esclusione pertanto delle decisioni assunte ad altri fini o aventi carattere puramente processuale (sentenza n. 131 del 1996 citata);

 

    che, pertanto, se – alla stregua della richiamata giurisprudenza di questa Corte in materia di incompatibilità del giudice – assume carattere «pregiudicante» la valutazione compiuta in occasione dell'adozione di una misura cautelare personale (sentenze n. 155 del 1996, n. 432 del 1995), viceversa fa difetto, nell'ipotesi dedotta dal rimettente, il secondo termine di riferimento, costituito dal «giudizio», cioè dall'accertamento di merito sulla responsabilità dell'imputato;

 

    che, infatti, tale non può considerarsi, qualunque ne sia il contenuto, la decisione che il giudice per le indagini preliminari è chiamato a prendere in tema di archiviazione, data la natura interlocutoria e sommaria di quest'ultima (ordinanza n. 153 del 1999), finalizzata a un controllo di legalità sull'esercizio dell'azione penale e non a un accertamento sul merito dell'imputazione (ordinanza n. 150 del 1998; sentenza n. 319 del 1993), e ciò indipendentemente dal fatto che la decisione possa rivestire la forma del decreto ovvero, come è nella specie, dell'ordinanza a seguito di contraddittorio sull'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero;

 

            che tanto basta a escludere che l'omessa previsione legislativa della riferita ipotesi di incompatibilità del giudice sia in contrasto con i pertinenti parametri costituzionali (artt. 3, 24 e 111 della Costituzione), anche a prescindere dal possibile rilievo per cui, nell'ipotesi in argomento, attività pregiudicante e funzione che si assume pregiudicata cadono all'interno della medesima fase del procedimento, ciò che costituisce ulteriore ragione ostativa all'accoglimento della questione (sentenza n. 177 del 1996);

 

    che, per quanto detto, non adducendosi rispetto agli ulteriori parametri evocati nell'ordinanza alcuna argomentazione circa la loro pretesa violazione, la questione di costituzionalità sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.

 

    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

    dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27, 101 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2003.

 

    Riccardo CHIEPPA, Presidente

 

    Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

 

    Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2003.