Sentenza n. 42/2003

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SENTENZA N. 42

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Riccardo                     CHIEPPA                                                  Presidente

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                                        Giudice

- Valerio                        ONIDA                                                              “

- Carlo                           MEZZANOTTE                                                “

- Fernanda                     CONTRI                                                            “

- Guido                         NEPPI MODONA                                            “

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                                                     “

- Annibale                     MARINI                                                            “

- Franco                         BILE                                                                  “

- Giovanni Maria           FLICK                                                               “

- Francesco                    AMIRANTE                                                      “

- Ugo                             DE SIERVO                                                      “

- Romano                      VACCARELLA                                               “

- Paolo                           MADDALENA                                                 “

- Alfio                           FINOCCHIARO                                               “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’articolo 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione dell’articolo 1, comma 1°, della legge 10 marzo 2000, n. 62, titolata “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”, limitatamente alle parole “e dalle scuole paritarie private”; dell’articolo 1, comma 5°, della stessa legge, limitatamente alle parole “Tali istituzioni, in misura non superiore a un quarto delle prestazioni complessive, possono avvalersi di prestazioni volontarie di personale docente purché fornito di relativi titoli scientifici e professionali ovvero ricorrere anche a contratti di prestazione d’opera di personale fornito dei necessari requisiti”; dell’articolo 1, comma 9°, della stessa legge, limitatamente alle parole: “a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie”; dell’articolo 1, intero comma 13°, della stessa legge (“A decorrere dall’esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge gli stanziamenti iscritti alle unità previsionali di base 3.1.2.1 e 10.1.2.1 dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione sono incrementati, rispettivamente, della somma di lire 60 miliardi per contributi per il mantenimento di scuole elementari parificate e della somma di lire 280 miliardi per spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato”); dell’articolo 1, comma 15°, della stessa legge, limitatamente alle parole “di lire 347 miliardi”, alle parole “13 e”, nonché alle parole “allo scopo parzialmente utilizzando quanto a lire 347 miliardi l’accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione e quanto a lire 20 miliardi l’accantonamento relativo al Ministero dei trasporti e della navigazione”, giudizio iscritto al n. 139 del registro referendum.

Vista l’ordinanza del 9 dicembre 2002 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 2003 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi l’avvocato Pier Luigi Panici per i presentatori Annita Benassi, Walter Mancini, Bruno Morandi e Anna Grazia Stammati e l’avvocato Aldo Loiodice per il Comitato per il no al quesito referendario e per il Forum delle Associazioni familiari.

Ritenuto in fatto

1. ¾ In data 6 maggio 2002 la cancelleria della Corte di cassazione ha raccolto a verbale e dato atto della dichiarazione resa da undici cittadini italiani di voler promuovere una richiesta di referendum popolare sul seguente quesito:

“Volete voi l’abrogazione dell’art. 1 comma 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62, titolata “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”, limitatamente alle parole “e dalle scuole paritarie private”; del comma 5, limitatamente alle parole “Tali istituzioni, in misura non superiore a un quarto delle prestazioni complessive, possono avvalersi di prestazioni volontarie di personale docente purché fornito di relativi titoli scientifici e professionali ovvero ricorrere anche a contratti di prestazione d’opera di personale fornito dei necessari requisiti”; del comma 9, limitatamente alle parole: “a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie”; dell’intero comma 13 (A decorrere dall’esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge gli stanziamenti iscritti alle unità previsionali di base 3.1.2.1 e 10.1.2.1 dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione sono incrementati, rispettivamente, della somma di lire 60 miliardi per contributi per il mantenimento di scuole elementari parificate e della somma di lire 280 miliardi per spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato.); del comma 15, limitatamente alle parole “13 e”) intesa a ristabilire il rispetto della disposizione contenuta nell’articolo 33, III Comma, della Costituzione”?

L’annuncio della richiesta di referendum è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 7 maggio 2002, n. 105.

2. ¾ Con ordinanza del 9 dicembre 2002, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito  presso la Corte di cassazione in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, ha dichiarato che la richiesta di referendum di iniziativa popolare è conforme alla legge, disponendo però talune modifiche al testo del quesito al fine di correggerne le irregolarità sanabili ai sensi dell’art. 32 della citata legge n. 352 del 1970, e lo ha così riformulato:

“Volete voi l’abrogazione:

- dell’art. 1, comma 1°, della legge 10 marzo 2000, n. 62, titolata “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”, limitatamente alle parole “e dalle scuole paritarie private”;

- dell’art. 1, comma 5°, della stessa legge, limitatamente alle parole “Tali istituzioni, in misura non superiore a un quarto delle prestazioni complessive, possono avvalersi di prestazioni volontarie di personale docente purché fornito di relativi titoli scientifici e professionali ovvero ricorrere anche a contratti di prestazione d’opera di personale fornito dei necessari requisiti”;

- dell’art. 1, comma 9°, della stessa legge, limitatamente alle parole: “a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie”;

- dell’art. 1, intero comma 13°, della stessa legge (“A decorrere dall’esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge gli stanziamenti iscritti alle unità previsionali di base 3.1.2.1 e 10.1.2.1 dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione sono incrementati, rispettivamente, della somma di lire 60 miliardi per contributi per il mantenimento di scuole elementari parificate e della somma di lire 280 miliardi per spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato”);

- dell’art. 1, comma 15°, della stessa legge, limitatamente alle parole “di lire 347 miliardi”, alle parole “13 e”, nonché alle parole “allo scopo parzialmente utilizzando quanto a lire 347 miliardi l’accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione e quanto a lire 20 miliardi l’accantonamento relativo al Ministero dei trasporti e della navigazione”?

Con la medesima ordinanza l’Ufficio centrale ha stabilito inoltre la seguente denominazione del referendum: "Scuola privata: abrogazione di norme relative a contributi statali e di norme agevolatrici in materia di personale docente".

3. ¾ Ricevuta comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale, il Presidente di questa Corte ha fissato, per la deliberazione in camera di consiglio sull’ammissibilità del referendum, la data del 14 gennaio 2003, dandone comunicazione ai presentatori della richiesta ed al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

4. ¾ In data 9 gennaio 2003 i promotori del referendum hanno depositato una memoria nella quale si conclude per l’ammissibilità della richiesta referendaria, sostenendo che una tale decisione non troverebbe ostacoli né in base ai limiti espliciti di cui all’art. 75, secondo comma, della Costituzione, né in “qualsivoglia limite implicito ricavabile dal sistema costituzionale”, essendo finalizzata al rispetto ed all’attuazione proprio dei commi secondo e terzo dell’art. 33 della Costituzione.

In pari data sono state depositate altre due memorie, rispettivamente dal “Comitato per il no al quesito referendario” e dal “Forum delle Associazioni familiari”, i quali hanno chiesto, in via preliminare, che i loro atti difensivi siano considerati ricevibili e sia altresì consentita l’audizione del proprio difensore in camera di consiglio, alla stregua di quanto già autorizzato da questa Corte in occasione della deliberazione sulle richieste referendarie dell’anno 2000.

Quanto al merito della richiesta referendaria, in entrambe le memorie, di analogo contenuto, se ne sostiene l’inammissibilità sotto molteplici profili, che vanno dalla disomogeneità alla contraddittorietà del quesito, dalla sua incidenza su norme che sarebbero costituzionalmente vincolate al fatto che esso verterebbe su disposizioni di bilancio nonché attuative di normativa comunitaria ed internazionale.

5. ¾ Nella camera di consiglio del 14 gennaio 2003 è stato udito il difensore dei promotori del referendum, che ha insistito per la dichiarazione di ammissibilità della richiesta; il difensore del “Comitato per il no” e del “Forum delle Associazioni familiari”, autorizzato a illustrare le memorie depositate, ha concluso nel senso dell’inammissibilità del quesito.

Considerato in diritto

1. ¾ La Corte è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo popolare di talune disposizioni e parti di disposizioni della legge 10 marzo 2000, n. 62, recante “Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione”; legge che si compone di un solo articolo, a sua volta suddiviso in 17 commi.

Il quesito referendario investe segnatamente:

- il comma 1, limitatamente alle parole “e dalle scuole paritarie private”;

- il comma 5, limitatamente alle parole “Tali istituzioni, in misura non superiore a un quarto delle prestazioni complessive, possono avvalersi di prestazioni volontarie di personale docente purché fornito di relativi titoli scientifici e professionali ovvero ricorrere anche a contratti di prestazione d’opera di personale fornito dei necessari requisiti”;

- il comma 9, limitatamente alle parole: “a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie”;

- l’intero comma 13 (“A decorrere dall’esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge gli stanziamenti iscritti alle unità previsionali di base 3.1.2.1 e 10.1.2.1 dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione sono incrementati, rispettivamente, della somma di lire 60 miliardi per contributi per il mantenimento di scuole elementari parificate e della somma di lire 280 miliardi per spese di partecipazione alla realizzazione del sistema prescolastico integrato”);

- il comma 15, limitatamente alle parole “di lire 347 miliardi”, alle parole “13 e”, nonché alle parole “allo scopo parzialmente utilizzando quanto a lire 347 miliardi l’accantonamento relativo al Ministero della pubblica istruzione e quanto a lire 20 miliardi l’accantonamento relativo al Ministero dei trasporti e della navigazione”.

2. ¾ La richiesta di referendum abrogativo è inammissibile sotto più profili.

Per apprezzare appieno il primo profilo è necessario stabilire il significato che assume, nell’economia complessiva del quesito, la richiesta di eliminare, nel primo periodo del comma 1, le parole “e dalle scuole paritarie private”. La disposizione, letta nella sua formulazione di risulta, suonerebbe così: “il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’art. 33, secondo comma, della Costituzione [la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi], è costituito dalle scuole statali e degli enti locali”. Le scuole private sarebbero pertanto espunte dal sistema nazionale.

L’esame dei commi successivi, non coinvolti dalla richiesta di abrogazione popolare, fornisce però una indicazione del tutto opposta, poiché mostra che le scuole paritarie, lungi dall’essere abolite, continuerebbero a formare oggetto di regolamentazione e di qualificazione. Sono infatti così definite “a tutti gli effetti degli ordinamenti vigenti e in particolare per quanto riguarda l’abilitazione a rilasciare titoli di studio, le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali, che, a partire dalla scuola per l’infanzia, corrispondono agli orientamenti generali dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità e di efficacia” puntualmente enumerati. Si richiedono in particolare: un progetto educativo in armonia con i principî della Costituzione; un piano dell’offerta formativa; l’attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci; la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola; l’istituzione di organi collegiali improntati alla partecipazione democratica; l’iscrizione alla scuola di tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta; l’inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio; l’organica costituzione di corsi completi; il possesso di un titolo di abilitazione da parte del personale docente; la stipulazione di contratti individuali di lavoro per il personale dirigente ed insegnante che rispettino i contratti collettivi di settore e, non ultimo, il divieto di rendere obbligatorie attività extra-curriculari che presuppongano o esigano l’adesione ad una determinata ideologia o confessione religiosa.

La richiesta referendaria risulta dunque intimamente contraddittoria. Le scuole paritarie, che, per effetto di una pronuncia popolare, si vorrebbero escludere dal sistema nazionale di istruzione, ne costituirebbero invece parte integrante alla stregua della disciplina più dettagliata che non è toccata dal quesito referendario. Ove si conformino ai prescritti standard qualitativi, esse non potrebbero infatti non concorrere, con le scuole statali e degli enti locali, al perseguimento di quello che la stessa legge definisce “obiettivo prioritario della Repubblica”, vale a dire “l’espansione della offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita” (comma 1, secondo periodo).

Non si tratta di un profilo di contraddittorietà secondario e marginale, quale può presentarsi nelle richieste di referendum parziali, a causa della incompleta ripulitura della normativa residua, nella quale siano lasciate parole o proposizioni  incoerenti con le restanti previsioni. Al contrario è qui investita la ratio del quesito. Una volta che il legislatore abbia istituito un sistema scolastico nazionale, espungerne una categoria di scuole che restano assoggettate, per gli aspetti legislativi sopra analiticamente ricordati, al medesimo e comune regime richiesto dall’art. 33, quarto comma, Cost. ai fini della parità, risulta non solo contraddittorio ma anche discriminatorio.

In un regime di esclusione concettuale dal sistema nazionale qual è quello cui tende la richiesta referendaria, una parità effettiva, che non si riduca a mera declamazione verbale, non è concepibile. L’esclusione delle scuole private non sarebbe soltanto un principio privo di conseguenze, tale da far ritenere che un sufficiente sostegno allo status paritario delle scuole private possa comunque essere offerto dalle norme presenti nei successivi commi. Le formulazioni di principio, infatti, non sono mai vuote e inutili proclamazioni, ma enunciati giuridici carichi di valore, capaci di imprimere al sistema normativo al quale afferiscono direzione e orientamento, di immettervi virtualità interpretative altrimenti assenti e di ovviare alle eventuali imprecisioni o alle lacune in questo riscontrabili. E nella specie il principio della esclusione dal sistema scolastico nazionale che si pretende di introdurre in via referendaria rende attiva una connotazione discriminatoria a carico delle scuole private, pur a fronte di una disciplina dettagliata che realizza un sostanziale regime di parità; donde la contraddittorietà del quesito.

3. ¾ Sotto un diverso profilo, la richiesta di referendum è inammissibile per disomogeneità del quesito.

Si chiede infatti simultaneamente l’abrogazione dei commi 5 e 9, ma altro è eliminare l’agevolazione che viene assicurata alle scuole paritarie e consistente nel potersi avvalere anche delle prestazioni volontarie di personale docente o di prestatori d’opera professionale (comma 5), altro è precludere il sostegno alle famiglie degli studenti delle scuole statali e non statali, che deriva dal rimborso della spesa sostenuta e documentata per l’istruzione scolastica (comma 9). Vengono in tal modo unificati oggetti rispetto ai quali la scelta dell’elettore non può essere costretta in un solo quesito.

per questi motivi

La Corte costituzionale

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione, nelle parti indicate in epigrafe, dell’articolo 1, commi 1, 5, 9 e 15 della legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione), nonché dell’intero comma 13 dell’articolo 1 della medesima legge; richiesta dichiarata legittima, con ordinanza 9 dicembre 2002 dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2003.