Sentenza n. 478/2002

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.478

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                                    RUPERTO                      Presidente

- Riccardo                                 CHIEPPA                        Giudice

- Gustavo                                  ZAGREBELSKY                 "

- Valerio                                   ONIDA                                  "

- Carlo                                      MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                                CONTRI                                "

- Guido                                     NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto                          CAPOTOSTI                         "

- Annibale                                 MARINI                                "

- Franco                                    BILE                                      "

- Giovanni Maria                      FLICK                                               "

- Francesco                               AMIRANTE                          "

- Ugo                                        DE SIERVO                          "

- Romano                                  VACCARELLA                   "

- Paolo                                      MADDALENA                     "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 149 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), e dell’art. 14 della legge della Regione Siciliana 30 aprile 1991, n. 10 (Disposizioni per i procedimenti amministrativi, il diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa), promossi con 13 ordinanze emesse il 24 gennaio 2002 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia – sezione staccata di Catania, rispettivamente iscritte dal n. 191 al n. 203 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2002.

  Visti gli atti di costituzione della Meligunte s.r.l., dei Comuni di Leni e Lipari e di Legambiente nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e della Regione Siciliana;

  udito nell’udienza pubblica del 24 settembre 2002 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

  uditi gli avvocati Carlo Malinconico per la Meligunte s.r.l., Claudio Rugolo per i Comuni di Leni e Lipari, Corrado Giuliano per Legambiente e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e per la Regione Siciliana.

Ritenuto in fatto

 

1. - Con tredici ordinanze, tutte depositate in data 24 gennaio 2002, emesse in altrettanti procedimenti, il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia - sezione staccata di Catania ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 149 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), e dell’articolo 14 della legge della Regione Siciliana 30 aprile 1991, n.10 (Disposizioni per i procedimenti amministrativi, il diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa).

I procedimenti a quibus traggono origine da ricorsi promossi da soggetti privati e da due Comuni (Leni e Lipari) avverso il decreto dell’Assessore del territorio e ambiente della Regione Siciliana del 23 febbraio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 11 del 16 marzo 2001, con il quale veniva approvato il Piano territoriale paesistico delle Isole Eolie ed i relativi regimi normativi.

Il rimettente osserva, con identici argomenti in tutte le ordinanze, che, nel giudizio sulla legittimità del decreto di approvazione del Piano paesistico delle Isole Eolie, assume rilevanza la questione di legittimità dell’art. 149 del d.lgs. n. 490 del 1999, nella parte in cui non prevede la partecipazione degli enti locali nel procedimento di formazione di detto Piano, nonché dell’art. 14 della legge della Regione Siciliana n. 10 del 1991, nella parte in cui stabilisce che le disposizioni in tema di partecipazione degli enti locali ai procedimenti non si applicano nei confronti degli atti di pianificazione (salva l’applicazione di norme speciali).

Tali norme si porrebbero in contrasto con gli artt.5 e 128 della Costituzione, in quanto lesive dell’autonomia riservata ai Comuni in materia di pianificazione urbanistica.

2. - Il TAR rimettente premette che il Piano paesistico territoriale, già disciplinato dall’art. 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 e, successivamente, dall’art. 149 del d.lgs. n. 490 del 1999, ha per oggetto la pianificazione delle aree di particolare interesse paesaggistico, con la finalità di "programmare la salvaguardia (…) di tali zone con strumenti idonei ad assicurare il superamento della episodicità, inevitabilmente connessa a semplici interventi autorizzatori".

Tenuto conto della giurisprudenza costituzionale sul punto, il giudice a quo osserva che gli artt. 5 e 128 della Costituzione presupporrebbero una posizione di autonomia dei Comuni che le leggi regionali non possono mai comprimere fino a negare, anche se tale autonomia non equivale ad "una riserva intangibile di funzioni".

Ciò posto, ad avviso del rimettente, sia la normativa statale che quella regionale, omettendo la previsione della necessaria partecipazione dei Comuni interessati al procedimento di approvazione del Piano paesistico regionale, si porrebbero in contrasto con gli artt.5 e 128 della Costituzione in quanto lesive dell’autonomia riservata ai Comuni in materia di pianificazione urbanistica.

3. - Nel giudizio sono intervenuti il Presidente del Consiglio dei ministri e la Regione Siciliana, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la dichiarazione di inammissibilità e comunque per l’infondatezza delle questioni prospettate.

Sotto il primo profilo, l’Avvocatura ha evidenziato che, al momento della pronuncia delle ordinanze di rimessione, era già entrata in vigore la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (recante modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), la quale, com’è noto, ha abrogato l’art. 128 della Costituzione.

Conseguentemente, la questione prospettata dal TAR della Regione Siciliana sarebbe inammissibile in quanto avente come parametro tale articolo; in alternativa, si imporrebbe, quanto meno, la restituzione degli atti al giudice a quo perché integri la motivazione in relazione ad "un parametro costituzionale attuale".

Sotto il secondo profilo, l’Avvocatura osserva, in primis, che il legislatore nazionale non avrebbe avuto alcun potere di intervento sulla disciplina delle modalità di formazione ed approvazione dei piani paesistici, dal momento che tale potestà, insieme con le funzioni amministrative in materia urbanistica, è stata trasferita alle Regioni, ai sensi dell’art. 1 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n.8. In secondo luogo, un potere di intervento sostanziale dei Comuni, tale da condizionare le scelte della Regione, può riconoscersi solo nel settore della pianificazione urbanistica in senso stretto, mentre, al contrario, esso non sussiste allorché la pianificazione rivesta finalità diverse, come nel caso dei piani paesistici territoriali, essendo l’ente locale tenuto ad adeguarsi alle scelte statali e regionali e potendo al più imporre limiti più rigorosi e aggiuntivi.

Quanto alla norma regionale impugnata, l’Avvocatura osserva come essa si sia limitata a riprodurre,le prescrizioni contenute nella legge n. 241 del 1990, laddove esclude l’applicazione delle regole sulla partecipazione dei privati alla formazione dei piani, esclusione motivata dalla indeterminatezza e generalità dei destinatari degli effetti degli atti.

Ad avviso della difesa, inoltre, nella procedura concretamente seguita per l’adozione e l’approvazione del Piano paesistico impugnato, gli enti locali non sono stati estromessi, avendo avuto la possibilità di presentare osservazioni uti cives, mantenendo altresì "una posizione privilegiata (la collaborazione al livello tecnico) che deriva dalla profonda conoscenza del territorio sul quale esercitano le loro funzioni istituzionali".

4. - Sono intervenuti in giudizio il Comune di Leni e il Comune di Lipari i quali hanno concluso per la "dichiarazione di non manifesta infondatezza" (rectius, per l’accoglimento) della questione di costituzionalità sollevata al TAR di Catania.

Entrambe le Amministrazioni comunali nella propria memoria, dopo aver riportato argomenti esposti nei ricorsi proposti dinanzi al TAR, hanno dichiarato di ritenere "condivisibili le argomentazioni prospettate dai giudici catanesi con l’ordinanza di rimessione", associandosi nella richiesta dell’accoglimento della questione di costituzionalità.

In particolare, le Amministrazioni comunali osservano che il "modello di pianificazione ambientale prefigurato dal d.lgs. n. 490 del 1999" ridefinisce i rapporti tra il Piano paesistico ed il Piano regolatore comunale in termini del tutto differenti dalla tradizionale "separatezza" che caratterizzava il modello del 1939; l’attribuzione al Piano paesistico di un potere e di un’efficacia vincolante e conformativa, nonché l’incidenza delle sue previsioni sulla pianificazione comunale, avrebbero dovuto indurre il legislatore a rivedere ed ampliare i momenti partecipativi dei Comuni nella predisposizione della pianificazione paesistica.

5. - Sono, altresì, intervenute in giudizio l’Associazione Legambiente Onlus, l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature Onlus, l’Associazione pro-Stromboli Onlus e l’Associazione Italia Nostra Onlus - tutte in persona dei propri legali rappresentanti -, intervenienti ad opponendum nei giudizi proposti avanti al TAR della Regione Sicilia dalla Federalberghi delle Isole Eolie e dai Comuni di Leni e di Lipari (r.o. n. 195, n. 201 e n. 203).

Tali associazioni hanno innanzitutto rilevato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR sotto vari profili. In primo luogo, in quanto vi sarebbe stata acquiescenza dei Comuni e degli enti ricorrenti agli atti adottati dall’Assessorato ai beni ambientali nel corso della redazione del Piano paesistico.

Tale acquiescenza si sarebbe manifestata negli atti di partecipazione dei Comuni, consistenti nelle osservazioni ed opposizioni da essi presentate, nei documenti prodotti e negli incontri e conferenze di servizi promossi, indicati nel decreto assessorile impugnato.

I ricorrenti, perciò, avrebbero dovuto impugnare non il decreto di approvazione del Piano, bensì il decreto con cui l’Assessore regionale autorizzava la Soprintendenza ad affidare la redazione del Piano paesistico a professionisti esterni, in violazione della norma che prevede la collaborazione dei Comuni nella redazione tecnica del Piano.

In secondo luogo, il TAR avrebbe omesso di verificare, secondo l’insegnamento della Corte, la possibilità di attribuire alla norma impugnata un significato diverso e non lesivo dei valori costituzionali.

Ancora, nell’ordinanza del giudice a quo, mancherebbe il richiamo ai presupposti di fatto che permettono di valutare la rilevanza della questione di legittimità sollevata.

Infine, osservano gli intervenienti che l’ordinanza di rimessione, anziché censurare la norma impugnata, si risolve in una critica all’inerzia della Regione Siciliana che non avrebbe previsto un procedimento, caratterizzato da una più ampia partecipazione dei Comuni, per quel che concerne l’iter di formazione degli atti di pianificazione.

Nel merito, le associazioni ambientaliste affermano l’infondatezza della questione sollevata.

Le associazioni, innanzitutto, evidenziano come il Piano paesistico sia finalizzato alla tutela e salvaguardia dei valori ambientali e paesistici del territorio, non avendo invece valenza urbanistica.

La partecipazione dei Comuni, in realtà, sarebbe assicurata nella fase precedente il Piano: quella di apposizione dei vincoli, sia nel caso di vincolo specifico, ai sensi degli artt. 140 e 141 del testo unico n. 490 del 1999 (mediante la pubblicazione per tre mesi nell’albo pretorio e le osservazioni), sia nel caso di vincolo generico, ai sensi della legge n. 431 del 1985 e, oggi, dell’art. n. 146 del predetto testo unico.

Il legislatore, nel disciplinare l’iter di elaborazione ed adozione dei piani paesistici avrebbe, invece, fatto proprio l’insegnamento della Corte costituzionale, che ha sottolineato il valore primario del paesaggio e dell’ambiente riconosciuto dall’art. 9 della Costituzione, approntando una tutela integrale e globale del paesaggio, rispetto alla quale l’autonomia comunale può esplicarsi nell’imposizione, attraverso i piani urbanistici di limiti e vincoli più rigorosi o aggiuntivi.

Infondata deve del pari ritenersi la censura dell’art. 14 della legge regionale n. 10 del 1991, dal momento che la partecipazione degli enti locali è già prevista e garantita dalla normativa di settore.

6. - In prossimità dell’udienza pubblica, hanno presentato una ulteriore memoria difensiva le Associazioni ambientaliste interessate, in cui viene denunciata, come ulteriore profilo di inammissibilità della questione, l’intervenuta abrogazione dell’art. 128 Cost., parametro evocato dal TAR della Regione Sicilia nell’ordinanza di remissione.

Nel merito, si insiste per l’infondatezza della lamentata esclusione dei Comuni dal procedimento di approvazione del Piano paesistico, dal momento che, al contrario – come si evince dalle stesse premesse al decreto assessorile di approvazione del Piano –, il "contributo partecipativo" dei Comuni eoliani si è sostanziato non solo nella redazione delle osservazioni presentate, ma anche a mezzo di "atti, incontri, conferenze di servizio ed audizioni", dei quali nella memoria si riportano gli estremi. Infine, si sottolinea la rilevante valenza "ambientale" del giudizio pendente presso la Corte costituzionale, dal momento che le isole Eolie sono state inserite dall’UNESCO nella lista mondiale dei siti di rilievo naturalistico e l’eventuale annullamento del Piano paesistico che le riguarda, determinando una inevitabile riespansione della pressione edificatoria, determinerebbe l’espulsione dell’arcipelago siciliano da tale lista.

7. - Con memoria depositata fuori termine, l’11 settembre 2002, è intervenuta in giudizio la società Meligunte s.r.l.

7.1 - Preliminarmente, in merito alla ritualità dell’intervento, la società - ricorrente in uno dei giudizi a quibus - ha contestato l’omessa notifica dell’ordinanza di remissione, vizio eccepito nell’atto di costituzione e contestualmente - riterrebbe la parte - sanato dalla costituzione medesima, la quale, quantomeno, assumerebbe il valore di un atto di intervento della stessa parte nel giudizio di costituzionalità.

7.2 - Nel merito, si afferma, in primo luogo, che la modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione ad opera della legge costituzionale n. 3 del 2001 non muterebbe i termini della questione presentata, poiché il principio costituzionale espresso dall’abrogato articolo 128 della Costituzione è ora ripreso e rafforzato dai nuovi articoli 114 e 118 della Carta costituzionale, i quali assegnano ai Comuni ed agli altri enti locali una ben precisa sfera di autonomia sia in termini di auto-organizzazione, sia in termini di attribuzione delle funzioni amministrative secondo i principi di "sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza".

Non sfugge ai difensori della società Meligunte s.r.l. che la vicenda in esame concerne una Regione a statuto speciale; ma, a questo riguardo, richiamano l’art. n. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, nella parte in cui prevede l’immediata applicazione alle regioni e province autonome della novella costituzionale "per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite"; "forme di autonomia" che - ad opinione degli intervenienti - "non possono essere limitate alla posizione della Regione nell’ordinamento costituzionale, ma debbono estendersi necessariamente a ricomprendere anche lo statuto dell’autonomia comunale".

Dall’applicazione di tali principi costituzionali al settore del governo del territorio ed all’urbanistica deriverebbe la conseguenza che "appartiene al Comune il potere di conformare il proprio territorio" e che tale potere deve essere ritenuto "insopprimibile" dai livelli territoriali maggiori - anche se pur sempre sottoposto al potere legislativo di questi enti -, dal momento che il "governo del territorio" rientra nell’esercizio delle funzioni amministrative riconosciute dall’art. 118 Cost. ai Comuni.

La peculiare valenza dei piani paesistici, in grado di vincolare la pianificazione comunale, deve indurre, pertanto, a particolare rigore nella verifica del rispetto dell’autonomia comunale.

Orbene, tanto l’art. 149 del Testo unico dei beni culturali ed ambientali, quanto l’art. 14 della legge regionale n. 10 del 1991, non prevedendo alcuna partecipazione necessaria dei Comuni al procedimento, violerebbero i richiamati principi costituzionali, laddove, in particolare, essi affermano come necessaria una congrua ed effettiva partecipazione degli enti locali alla redazione dei piani paesistico-territoriali.

Considerato in diritto

 

1. - Le tredici ordinanze di rimessione del Tribunale amministrativo regionale della Regione Sicilia, sezione staccata di Catania, sollevano identiche questioni di legittimità costituzionale ed i relativi giudizi vanno quindi riuniti per essere decisi in un’unica sentenza.

Il TAR, nell’ambito di un giudizio relativo al decreto del 23 febbraio 2001, con il quale l’Assessore ai beni culturali ed ambientali della Regione Siciliana ha approvato il Piano territoriale paesistico dell’arcipelago delle isole Eolie, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 149 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), e dell’art.14 della legge della Regione Siciliana 30 aprile 1991, n. 10 (Disposizioni per i procedimenti amministrativi, il diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa), nella misura in cui queste disposizioni non prevedono adeguate forme di partecipazione degli enti locali interessati alle procedure di pianificazione ambientale, violando così gli artt. 5 e 128 della Costituzione.

2. - Va anzitutto dichiarata inammissibile la costituzione in giudizio della società Meligunte s.r.l., in quanto avvenuta fuori del termine di cui all’art. 25, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). Contrariamente a quanto asserito da questa società, dalla documentazione pervenuta alla Corte risulta che l’ordinanza di rimessione n. 31 del 2002, depositata il 24 gennaio 2002, con la quale il TAR della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha rimesso la questione di costituzionalità, è stata regolarmente notificata presso il domicilio determinato ai sensi dell’art. 82, secondo comma, del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (cioè presso la cancelleria del TAR) e, conseguentemente, la costituzione della parte nel giudizio a quo dev’essere ritenuta inammissibile per tardività.

3. - Preliminarmente vanno esaminati i rilievi di inammissibilità della questione prospettati dalla Avvocatura dello Stato e dalle associazioni ambientaliste costituitesi nel presente giudizio.

3.1 - In primo luogo, l’Avvocatura e le associazioni ambientaliste osservano che il giudice rimettente invoca come parametro di costituzionalità l’art. 128 Cost., disposizione abrogata dall’art. 9, comma 2, della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, entrata in vigore anteriormente alla data di adozione delle ordinanze di rimessione (4 dicembre 2001 e 8 gennaio 2002). Sulla base di tale constatazione viene chiesta la dichiarazione di inammissibilità della questione, ovvero in subordine la restituzione degli atti al TAR della Regione Sicilia, affinché integri la motivazione in relazione ad un parametro costituzionale attuale.

L’eccezione è infondata.

Il riferimento dell’ordinanza di rimessione – oltre che all’art. 128 Cost., abrogato – anche all’art. 5 Cost., pur in assenza di qualsiasi richiamo alle peraltro vigenti disposizioni statutarie, appare infatti sufficiente a radicare validamente il presente giudizio a causa della sua natura di principio costituzionale generale e quindi idoneo ad essere applicato anche nei confronti di una Regione ad autonomia speciale come la Sicilia.

3.2 - Le associazioni, inoltre, chiedono la dichiarazione d’inammissibilità della questione, per diverse altre ragioni.

Innanzitutto, vi sarebbe stata acquiescenza da parte dei Comuni ricorrenti nei giudizi a quibus agli atti posti in essere dall’assessorato ai beni culturali ed ambientali nel corso della redazione del Piano paesistico impugnato; in secondo luogo, il TAR avrebbe omesso di verificare la possibilità di attribuire alla norma impugnata un diverso significato, costituzionalmente compatibile; in terzo luogo, nell’ordinanza mancherebbe il richiamo ai presupposti di fatto necessari per valutarne la rilevanza; infine, il giudice nel rimettere gli atti alla Corte, anziché censurare la norma impugnata, si sarebbe limitato a prospettare una critica all’inerzia della Regione Siciliana che non avrebbe previsto un procedimento caratterizzato da una più ampia partecipazione dei Comuni, per quel che concerne l’iter di formazione degli atti di pianificazione.

Anche tali eccezioni sono infondate.

Quanto alla prima, deve osservarsi che essa riguarda profili che esulano del tutto dal giudizio di costituzionalità ed attengono propriamente al regime dell’atto in discussione nel processo in corso dinanzi al giudice amministrativo; quanto alla seconda ed alla terza, questa Corte non ritiene che l’ordinanza di rimessione debba essere censurata sotto il profilo della rilevanza, sia per la plausibile interpretazione delle norme denunciate prospettata dal giudice a quo, sia per la sufficiente descrizione delle fattispecie in esame; quanto all’ultima, sebbene si debba constatare l’inerzia della Regione Siciliana nel predisporre disposizioni legislative che possano costituire un valido parametro per la valutazione di provvedimenti amministrativi rilevanti, quali i piani paesistici, deve evidenziarsi che la questione proposta riguarda norme legislative vigenti e non si esaurisce nel censurare l’omissione legislativa.

4. - Nel merito, le questioni non sono fondate.

Per ciò che concerne la pianificazione paesistica e la partecipazione degli enti locali interessati ai relativi procedimenti, la Regione Siciliana, benché disponga, in virtù dell’art. 14 del suo statuto speciale (legge cost. 26 febbraio 1948, n. 2), di una competenza legislativa esclusiva in tema di "tutela del paesaggio" e di "regime degli enti locali", non ha disciplinato questo settore e continua, quindi, ad utilizzare la legislazione nazionale, integrata dal d.P.R. 30 agosto 1975, n. 637 (Norme di attuazione dello statuto della Regione Siciliana in materia di tutela del paesaggio e di antichità e belle arti), nonché dalle norme regionali di tipo organizzativo, riferite alla amministrazione dei beni culturali ed ambientali (si veda in particolare l’art. 3 della legge della Regione Siciliana 1° agosto 1977, n. 60, "Norme per la tutela, la valorizzazione e l’uso sociale dei beni culturali ed ambientali nel territorio della Regione Siciliana").

La disciplina nazionale, che già prevedeva esplicitamente l’adozione, da parte delle regioni, dei piani paesistici (si consideri in particolare l’art. 1-bis del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, recante "Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431"), è stata recentemente riordinata dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il cui art.149 viene, appunto, impugnato in quanto posto a fondamento del decreto assessorile della Regione Siciliana, di approvazione del Piano territoriale paesistico dell’arcipelago delle isole Eolie.

In realtà, nel caso che ha dato origine al presente giudizio di costituzionalità, il procedimento di elaborazione del Piano territoriale paesistico appare avviato nel 1993, ragion per cui la Regione Siciliana - come si deduce dal decreto impugnato nei giudizi a quibus - ha applicato le disposizioni statali all’epoca vigenti e, segnatamente, quelle contenute nella legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali), e nel r.d. 3 giugno 1940, n. 1357 (Regolamento per l’applicazione della legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali), relative alla partecipazione dei soggetti interessati al procedimento e, tra questi, degli enti locali.

In particolare, gli artt. 4 e 5 della legge n. 1497 del 1939, e gli artt. 23, secondo comma, e 24, secondo comma, del relativo regolamento di esecuzione, disciplinavano l’iter di approvazione del Piano, prevedendo in primo luogo, la sua pubblicazione "mediante affissione per un periodo di tre mesi nell’albo dei Comuni interessati" ed il deposito di "una copia di esso (…) nella segreteria dei Comuni stessi affinché chiunque ne possa prendere visione" stabilendo, altresì che nei tre mesi successivi i soggetti interessati potessero far pervenire le proprie osservazioni, esaminate le quali, ed all’esito delle eventuali modifiche apportate, il Piano veniva definitivamente approvato (norme oggi in parte trasfuse negli articoli 141 e 142 del testo unico n. 490 del 1999 che, peraltro, fa transitoriamente salve – all’art. 161 - le disposizioni del regolamento di attuazione n. 1357 del 1940).

A queste forme partecipative previste dalla normazione statale si sono aggiunte ulteriori forme collaborative in sede tecnica fra gli enti locali e gli organi regionali preposti alla elaborazione del Piano, delle quali è data notizia in premessa al decreto assessorile.

In virtù del decorso del tempo, l’approvazione finale risulta avvenuta sulla base dell’art.149 del testo unico, che nel frattempo era entrato in vigore.

Si tratta di stabilire, dunque, se queste forme di coinvolgimento degli Enti locali interessati siano sufficienti ad escludere il lamentato contrasto con i principi contenuti nello statuto della Regione Siciliana e nella Costituzione.

5. – Questa Corte ha in più occasioni chiarito, in relazione ai poteri urbanistici dei Comuni, come la legge nazionale, regionale o delle Province autonome possa modificarne le caratteristiche o l’estensione, ovvero subordinarli a preminenti interessi pubblici, alla condizione di non annullarli o comprimerli radicalmente, garantendo adeguate forme di partecipazione dei Comuni interessati ai procedimenti che ne condizionano l’autonomia (fra le molte, si vedano le sentenze n. 378/2000, n. 357/1998, n. 286/1997, n. 83/1997 e n. 61/1994).

Con specifico riferimento ai piani paesistici regionali, la sentenza della Corte n. 378 del 2000 ha affermato che "la tutela del bene culturale è nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio e dell’ambiente come espressione di principio fondamentale unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo (sentenza n. 85 del 1998) e tali forme di tutela costituiscono una endiadi unitaria. Detta tutela costituisce compito dell’intero apparato della Repubblica, nelle sue diverse articolazioni ed in primo luogo dello Stato (art. 9 della Costituzione), oltre che delle regioni e degli enti locali".

Rispetto a dette materie non può configurarsi né un assorbimento nei compiti di autogestione del territorio, come espressione dell’autonomia comunale, né tanto meno una esclusività delle funzioni comunali in forza della stessa autonomia in campo urbanistico. Invece, attraverso i piani urbanistici il Comune può, nella sua autonomia, in relazione ad esigenze particolari e locali, imporre limiti e vincoli più rigorosi o aggiuntivi anche con riguardo a beni vincolati a tutela di interessi culturali ed ambientali".

Quindi, se "il Comune ha diritto di partecipare, in modo effettivo e congruo, nel procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici regionali che abbiano effetti sull’assetto del proprio territorio" (sentenza n. 83 del 1997), occorre tuttavia evitare che questa partecipazione possa creare situazioni di "stallo decisionale" (sentenze n. 83 del 1997 e n. 357 del 1988) che esporrebbero a gravi rischi un interesse generale tanto rilevante come la tutela ambientale e culturale.

6. - Se, quindi, non v’è dubbio, sulla base dei principi appena esposti, che spetta alla discrezionalità del legislatore (statale, regionale o provinciale, a seconda delle diverse normative costituzionali o statutarie) graduare le forme di partecipazione dei Comuni al procedimento di elaborazione dei piani paesistici regionali, la concreta disciplina legislativa non potrà mai del tutto escludere o sostanzialmente estromettere tali Enti dalle decisioni riguardanti il proprio territorio.

La particolare condizione di autonomia di cui gode la Regione Siciliana non costituisce eccezione a questo principio, che anzi risulta rafforzato dal nuovo assetto di competenze introdotto dalla legge di riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione e dalla esplicita previsione del principio di sussidiarietà al primo comma dell’art. 118 Cost.

Questa Corte non può esimersi dal rilevare, pur nel rispetto della richiamata discrezionalità del legislatore regionale, la perdurante assenza nella Regione Siciliana di un intervento legislativo che esplicitamente disciplini e valorizzi l’apporto partecipativo degli enti locali alla pianificazione paesistica, aggiornando, così, procedimenti che risalgono all’ordinamento pre-repubblicano, tra l’altro in ossequio a più recenti orientamenti espressi della stessa amministrazione regionale (si veda, in particolare, il decreto dell’assessore per i beni culturali ed ambientali 8 maggio 2002, con cui viene recepito l’accordo tra il Ministero per i beni e le attività culturali e le regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, stipulato il 19 aprile 2001, sull’esercizio dei poteri regionali in materia di paesaggio).

7. - Tanto premesso, non appare a questa Corte che il grado di coinvolgimento degli enti locali assicurato dal procedimento legislativamente previsto sia tale da violare i principi testé riaffermati.

I Comuni, infatti, hanno avuto modo di partecipare sia alla fase tecnica di redazione del Piano, sia all’iter procedimentale di approvazione dello stesso, presentando osservazioni, riportate in premessa al decreto di approvazione e rispetto alle quali l’amministrazione siciliana ha motivatamente risposto, provvedendo altresì a riformulare il Piano a seguito dell’accoglimento di alcune delle osservazioni presentate.

Ciò dimostra che l’impianto legislativo statale denunciato - consentendo le modalità partecipative appena descritte - non contiene quella illegittima compressione delle potestà comunali che questa Corte ha altrove ritenuto lesiva della Costituzione e la questione, pertanto, deve essere ritenuta infondata.

8. - Le ordinanze della sezione catanese del TAR della Sicilia sottopongono alla Corte una ulteriore questione di costituzionalità, concernente l’art. 14, della legge regionale Siciliana 30 aprile 1991, n. 10 (Disposizioni per i procedimenti amministrativi, il diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa), nella parte in cui esclude l’applicazione delle norme poste dal Titolo III della stessa legge (riguardante la disciplina della "partecipazione al procedimento amministrativo") alla attività della pubblica amministrazione "diretta alla emanazione (…) di atti di pianificazione (…), per i quali restano ferme le particolari norme che regolano la relativa formazione".

Anche tale questione è infondata.

L’articolo censurato, infatti, riferendosi ai principi generali sulla partecipazione degli interessati ai procedimenti amministrativi, se, da un lato, esclude espressamente da tale ambito applicativo gli atti di pianificazione, dall’altro, invece, fa salve le norme speciali in materia di pianificazione.

La norma impugnata - che, peraltro, si limita a riaffermare il principio generale (art. 11), secondo il quale i soggetti interessati (artt.8 e 10) hanno diritto di prendere visione degli atti del procedimento e di presentare memorie scritte che l’amministrazione procedente ha l’obbligo di valutare – opera, quindi, un mero rinvio alla disciplina pianificatoria di settore, disciplina, appunto, impugnata dal giudice remittente per le ragioni che questa Corte ha esaminato e disatteso ai punti precedenti.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 149 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), e dell’art. 14 della legge della Regione Siciliana 30 aprile 1991, n. 10 (Disposizioni per i procedimenti amministrativi, il diritto di accesso ai documenti amministrativi e la migliore funzionalità dell’attività amministrativa), sollevate, in riferimento agli artt.5 e 128 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia – sezione staccata di Catania, con le ordinanze riportate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2002.