Ordinanza n. 472/2002

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ORDINANZA N.472

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                      Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                        Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                 "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                    CONTRI                                "

- Guido                         NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                        BILE                                      "

- Giovanni Maria          FLICK                                   "

- Francesco                   AMIRANTE                          "

- Ugo                            DE SIERVO                          "

- Romano                      VACCARELLA                   "

- Paolo                          MADDALENA                     "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 268, comma 3, e 271, comma 1, del codice di procedura penale, promosso, con ordinanza del 1° marzo 2002, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo, nel procedimento penale a carico di L.A. ed altro, iscritta al n. 155 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nela Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.16, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

  Ritenuto che con ordinanza emessa il 1° marzo 2002, nel corso di un procedimento penale nei confronti di persone imputate di delitti in materia di stupefacenti, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 268, comma 3, e 271, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui — secondo l’interpretazione della Corte di cassazione — prevedono che tutte le operazioni di intercettazione, e non soltanto quelle telefoniche, possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, salvo motivato provvedimento di deroga del pubblico ministero in ragione della insufficienza o inidoneità di detti impianti e della sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza: e ciò a pena di inutilizzabilità dei risultati delle operazioni;

  che il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciarsi, nell’udienza preliminare, sull’eccezione della difesa di inutilizzabilità delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti, effettuate all’interno di un autocarro nel corso delle indagini preliminari: inutilizzabilità conseguente al fatto che le operazioni erano state eseguite mediante apparati in dotazione alla polizia giudiziaria, in assenza di un provvedimento motivato del pubblico ministero circa la insufficienza o inidoneità degli impianti installati presso la procura della Repubblica e la sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza;

  che l’eccezione si basava sul recente orientamento giurisprudenziale, espresso da una sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite (sentenza 31 ottobre 2001, Policastro), in forza del quale le "garanzie tecniche" di espletamento delle operazioni di intercettazione, di cui all’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., ivi compresa quella di motivazione del provvedimento derogatorio — garanzie finalizzate, in conformità alla sentenza di questa Corte n. 34 del 1973, ad assicurare il controllo dell’autorità giudiziaria circa il fatto che si proceda soltanto alle intercettazioni autorizzate e nei limiti dell’autorizzazione — debbono intendersi riferite, unitamente alla sanzione di inutilizzabilità che le presidia ai sensi dell’art. 271, comma 1, cod. proc. pen., non soltanto alle intercettazioni telefoniche, ma anche alle intercettazioni di comunicazioni fra presenti;

  che in simile lettura — cui il giudice rimettente dichiara di doversi uniformare "in osservanza del principio di nomofilachia sancito dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario" — le norme impugnate risulterebbero peraltro viziate da eccesso di delega, in rapporto ai principi e criteri direttivi dettati dall’art. 2, numero 41, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, circa la "disciplina delle intercettazioni di conversazioni e di altre forme di comunicazioni";

  che mentre, infatti, i principi stabiliti dalle lettere a), b), c) ed e) della norma di delega — relativi, rispettivamente, alla predeterminazione dei reati per i quali le intercettazioni sono ammesse; alla predeterminazione della durata e delle modalità; all’annotazione in apposito registro dei decreti; alla conservazione e alla distruzione della documentazione — concernono indistintamente le "intercettazioni", intese come genus comprensivo tanto delle intercettazioni di conversazioni telefoniche che delle conversazioni tra presenti; il principio dettato dalla lettera d) — riguardante l’individuazione degli impianti presso i quali le operazioni possono essere effettuate — risulta invece riferito esclusivamente alle intercettazioni "telefoniche";

  che, al riguardo, il rimettente ricorda come - secondo le reiterate indicazioni di questa Corte - l’esame del vizio di eccesso di delega vada condotto, da un lato, definendo la portata delle norme che fissano i criteri e i principi direttivi, alla luce del complessivo contesto normativo e delle finalità che ispirano la delega; e, dall’altro lato, considerando che i principi posti dal legislatore delegante costituiscono non solo la base ed il limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l’interpretazione della portata delle norme stesse, le quali vanno lette, pertanto, fin dove possibile, nel significato compatibile con detti principi;

  che, nella specie, la previsione della legge delega, per cui il codice di procedura penale, nella disciplina delle intercettazioni di conversazioni e di altre forme di comunicazione, era chiamato ad individuare "gli impianti presso cui le intercettazioni telefoniche possono essere effettuate", non potrebbe significare se non che solo per queste — e non anche per le intercettazioni di comunicazioni fra presenti — tale individuazione doveva avvenire: e ciò — come più volte sottolineato in precedenti decisioni della stessa Corte di cassazione — nella considerazione che le intercettazioni ambientali, potendo essere realizzate solo a mezzo di apparecchiature vicine alla fonte sonora e che necessitano di centrali di ascolto mobili, richiederebbero l’uso di strumenti non installati, né agevolmente installabili presso le procure della Repubblica;

  che, a sua volta, la lettera f) della citata norma di delega prevedeva l’introduzione di "sanzioni processuali in caso di intercettazioni compiute in violazione della disciplina di cui alle lettere precedenti": sicché — stante la riferibilità della precedente lettera d) alle sole intercettazioni telefoniche — anche la sanzione della inutilizzabilità avrebbe dovuto essere prevista esclusivamente in rapporto alla violazione delle disposizioni che individuano il luogo di effettuazione di tale ultima species di intercettazioni;

  che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

  Considerato che il giudice rimettente sottopone a scrutinio di costituzionalità, sotto il profilo dell’eccesso di delega, le disposizioni degli artt. 268, comma 3, e 271, comma 1, cod. proc. pen., nella lettura giurisprudenziale — avallata da una recente pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione — che attribuisce alle regole in tema di localizzazione degli impianti di intercettazione ed alla connessa sanzione di inutilizzabilità, previste dalle disposizioni stesse, una valenza non circoscritta alle sole intercettazioni telefoniche, ma estesa anche alle intercettazioni di comunicazioni tra presenti;

  che il giudice a quo dichiara di doversi uniformare all’orientamento interpretativo espresso dalla citata pronuncia — la quale si inserisce in una situazione di contrasto giurisprudenziale nell’ambito delle sezioni semplici, contrasto a sua volta insorto dopo che, per alcuni anni, la Corte di cassazione aveva reiteratamente adottato la soluzione opposta — "in osservanza del principio di nomofilachia sancito dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario": "principio" che notoriamente non si traduce, peraltro, in un vincolo cogente all’autonomia decisionale del giudice di merito;

  che, in effetti, il rimettente, sotto la veste della censura di costituzionalità, svolge considerazioni critiche nei confronti dell’orientamento in questione, che mostra chiaramente di non condividere: come quando evoca — facendo eco a sentenze della Corte di cassazione espressesi in senso contrario — il canone interpretativo in forza del quale le norme delegate vanno lette, finché è possibile (e il rimettente non dice che non lo sia), nel significato compatibile con i principi di delega; principî che, nel frangente — ad avviso dello stesso giudice a quo e delle sentenze sopra ricordate —, limiterebbero il campo applicativo della disciplina sulla localizzazione degli impianti alle sole intercettazioni telefoniche, sia per il loro tenore letterale, sia per ragioni di ordine tecnico, correlate alle caratteristiche delle apparecchiature richieste per le intercettazioni ambientali, ritenute non compatibili con impianti fissi e centralizzati presso le procure della Repubblica;

  che la questione appare dunque diretta non tanto a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, quanto piuttosto a ricevere dalla Corte un improprio avallo ad una determinata interpretazione, ritenuta preferibile — attività, questa, rimessa al giudice di merito, tanto più in presenza di indirizzi giurisprudenziali non stabilizzati — utilizzando così il giudizio di costituzionalità per un fine ad esso estraneo (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 199, 233 e 351 del 2001);

  che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 268, comma 3, e 271, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo con l’ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2002.