Sentenza n. 457/2002

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SENTENZA N. 457

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                      Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                        Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                 "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Guido                          NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         "

- Franco                         BILE                                      "

- Giovanni Maria          FLICK                                               "

- Francesco                    AMIRANTE                          "

- Ugo                             DE SIERVO                          "

- Romano                      VACCARELLA                   "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), promosso con ordinanza emessa l’11 luglio 2001 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, iscritta al n. 942 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visti l’atto di costituzione della parte privata nel giudizio principale, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 giugno 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi l’avvocato Franco G. Scoca per la parte privata nel giudizio principale e l’avvocato dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Chiamato a decidere sul ricorso proposto da un magistrato contro il Consiglio superiore della magistratura per l’annullamento della deliberazione con cui, in data 12 aprile 2001, era stato disposto il suo trasferimento d’ufficio ai sensi dell’articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I, ha sollevato, su eccezione della difesa del ricorrente, in riferimento agli articoli 3, 24, 104 e 107 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del citato articolo 2, nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto al procedimento di trasferimento d’ufficio possa farsi assistere da un avvocato.

In punto di rilevanza, il remittente premette che il Consiglio superiore della magistratura aveva respinto la richiesta del ricorrente di farsi assistere, per la propria difesa, da un avvocato del libero Foro.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che le ragioni che hanno indotto questa Corte a dichiarare, con la sentenza n. 497 del 2000, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34, comma 2, del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, nella parte in cui escludeva che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare potesse farsi assistere da un avvocato, ricorrerebbero anche nel procedimento di trasferimento d’ufficio, per incompatibilità ambientale, di cui all’art. 2 del citato r.d.lgs. n. 511 del 1946.

Benché tale procedimento - argomenta il remittente - non abbia carattere sanzionatorio, essendo preordinato a tutelare l’indipendenza della funzione giurisdizionale nella sua oggettività e potendo essere avviato anche in assenza di colpa del magistrato, il trasferimento d’ufficio sarebbe comunque un provvedimento suscettibile di incidere sullo status del magistrato, specie se si considerano i riflessi che potrebbe avere nella valutazione di idoneità ad assumere la titolarità di altri uffici giudiziari.

Sotto un convergente profilo, la disposizione censurata colliderebbe con il principio di indipendenza della magistratura enunciato nell’art. 104, primo comma, della Costituzione, e si porrebbe inoltre in contrasto con la previsione dell’art. 107, primo comma, Cost., secondo la quale i magistrati non possono essere dispensati o sospesi dal servizio, né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso.

2. Si è costituito in giudizio il magistrato sottoposto a trasferimento d’ufficio ai sensi dell’art. 2 del r.d.lgs. n. 511 del 1946, chiedendo l’accoglimento della questione. Egli sostiene che la sentenza di questa Corte n. 497 del 2000, sebbene riguardi il procedimento disciplinare, contenga una massima di decisione estensibile al procedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale. Anche in tale ipotesi, infatti, il magistrato interessato deve servirsi di un avvocato per ricorrere davanti al giudice amministrativo e, in caso di accoglimento del suo ricorso, egli deve tornare necessariamente all’autodifesa o all’assistenza di un collega davanti al Consiglio superiore della magistratura, con un dispendio di energie difensive del quale non sarebbe ravvisabile alcun fondamento giustificativo.

Non diversamente da quanto accade nel procedimento disciplinare, anche il provvedimento di cui all’art. 2 del r.d.lgs. n. 511 del 1946 potrebbe incidere sullo status del magistrato, come attesterebbero le svariate delibere con le quali lo stesso Consiglio superiore della magistratura ha riconosciuto al magistrato sottoposto al relativo procedimento il diritto di essere sentito "con l’eventuale assistenza di un altro magistrato" analogamente a quanto era all’epoca previsto in relazione al procedimento disciplinare.

3. E’ intervenuto in giudizio anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

L’Avvocatura dello Stato pone al centro del suo argomentare la diversa natura del procedimento disciplinare rispetto a quello di trasferimento d’ufficio: mentre il primo avrebbe ad oggetto un vero e proprio accertamento giurisdizionale della responsabilità del magistrato incolpato, quello di cui all’art. 2 del r.d.lgs. n. 511 del 1946 avrebbe natura amministrativa e potrebbe essere avviato anche in relazione a fatti dei quali il magistrato non sia in alcun modo responsabile e che tuttavia determinino una situazione di incompatibilità ambientale.

4. In prossimità della pubblica udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria nella quale svolge in maniera ancor più articolata le suesposte deduzioni, ponendo in rilievo come il procedimento disciplinare sia volto all’irrogazione (eventuale) di una sanzione, mentre quello di trasferimento d’ufficio miri ad eliminare il cosiddetto strepitus fori, derivante da cause non necessariamente ascrivibili ad una colpevole condotta del magistrato. In definitiva, se il primo tenderebbe alla punizione del magistrato colpevole della violazione dei propri doveri, il secondo sarebbe finalizzato alla salvaguardia della serena amministrazione della giustizia e del prestigio dell’ordine giudiziario.

Considerato in diritto

1. Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita, in riferimento agli articoli 3, 24, 104 e 107 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto al procedimento di trasferimento d’ufficio possa farsi assistere da un avvocato.

Ad avviso del remittente, la disposizione censurata sarebbe in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, in quanto il trasferimento per incompatibilità ambientale, benché non rivesta carattere sanzionatorio, essendo preordinato a tutelare l’indipendenza della funzione giurisdizionale nella sua oggettività e potendo prescindere dalla colpa, sarebbe comunque un provvedimento suscettibile di incidere sullo status del magistrato, anche con riferimento ai riflessi che il provvedimento stesso potrebbe avere in ordine alla sua idoneità ad assumere la titolarità di altri uffici giudiziari. Ricorrerebbero, quindi, le medesime ragioni che hanno indotto questa Corte a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34 del r.d.lgs. n. 511 del 1946, nella parte in cui escludeva che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare potesse farsi assistere da un avvocato (sentenza n. 497 del 2000).

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio rileva inoltre che l’art. 2 del citato regio decreto, escludendo che il magistrato sottoposto al procedimento di trasferimento d’ufficio possa farsi assistere da un avvocato, non sarebbe compatibile né con l’art. 107, primo comma, della Costituzione, il quale, nel prevedere l’inamovibilità dei magistrati, contiene anche un "richiamo alla garanzia costituzionale del diritto di difesa", né con l’art. 104, primo comma, della Costituzione, che sancisce il principio di indipendenza della magistratura.

2. La questione non è fondata.

Nell’ordinanza di rimessione, il diritto del magistrato sottoposto al procedimento di trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale, ex art. 2 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, ad essere assistito da un avvocato del libero Foro è postulato quale naturale estensione dei principî affermati da questa Corte nella sentenza n. 497 del 2000. Se tuttavia si considera che quella sentenza procede dalla correlazione necessaria tra natura del procedimento disciplinare a carico dei magistrati e tutela giurisdizionale, una simile estensione non risulta costituzionalmente necessaria.

Il cuore della argomentazione di quella sentenza stava tutto nello stretto legame esistente tra il diritto di difesa e la configurazione del procedimento disciplinare secondo paradigmi di carattere giurisdizionale, preordinati al soddisfacimento della duplice esigenza, da un lato, che il corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie sia tutelato nella forma più confacente alla posizione costituzionale della magistratura e al suo statuto di indipendenza e, dall’altro, che al magistrato, incolpato di aver commesso un illecito, sia riconosciuto quell’insieme di garanzie che solo la giurisdizione può assicurare. Entrambe le esigenze sottese alla giurisdizionalizzazione della responsabilità disciplinare conducono a riconoscere al magistrato sottoposto al relativo procedimento la facoltà di avvalersi di un difensore di professione anziché consentirgli soltanto la nomina di un difensore "interno", appartenente all’ordine giudiziario.

Non può, al contrario, dirsi che abbia carattere giurisdizionale il procedimento di trasferimento di ufficio, nel quale non è un illecito compiuto dal magistrato che viene immediatamente in rilievo, ma una situazione obiettiva che si determina nell’ufficio ove egli esercita le sue funzioni. Regolato dal legislatore solo per sommi capi e con disciplina che precede l’entrata in vigore della Costituzione del 1948, l’attuale assetto di tale procedimento è il risultato anche di atti organizzativi del Consiglio superiore della magistratura, che ha adottato uno schema tipico del procedimento amministrativo. L’assenza di una deliberazione in camera di consiglio e il suo svolgersi, nella fase culminante, in sedute dell’assemblea, nelle quali ciascun componente del Consiglio può intervenire e manifestare, di regola pubblicamente, la propria opinione, e che sono destinate a concludersi con una votazione pubblica, sulla proposta di una commissione referente, imprimono al procedimento connotati non assimilabili all’attività giurisdizionale, come dimostrato anche dal fatto che il provvedimento finale è esternato con decreto del Presidente della Repubblica [rectius: Ministro della Giustizia].

Se queste sono le caratteristiche del procedimento, è da ritenere per esso sufficiente la regola del contraddittorio, nella sua accezione di previa audizione del soggetto interessato, che nel nostro Stato democratico si eleva a principio di tendenziale osservanza in tutti i casi in cui il provvedimento sia suscettibile di incidere su situazioni soggettive. E’ in conformità a tale principio che l’art. 4 del r.d.lgs. n. 511 del 1946 prescrive che dell’avvio del procedimento per trasferimento d’ufficio sia data comunicazione all’interessato e che questi abbia diritto di prendere visione e di estrarre copia degli atti, nonché di essere sentito personalmente. Sulla base di tale scarna previsione legislativa il Consiglio superiore della magistratura, a maggior salvaguardia del magistrato, ha previsto, con atti di organizzazione interna, che egli possa essere assistito da un collega. L’ulteriore eventualità che il magistrato interessato possa scegliere un difensore professionale, avvocato del libero Foro, sebbene non sia impedita dalla formulazione dell’art. 4, non è costituzionalmente imposta e non risponde all’attuale configurazione del procedimento per trasferimento d’ufficio. La previsione di una difesa personale o a mezzo di altro magistrato appare infatti idonea ad assicurare il nucleo minimo di difesa richiesto dall’art. 107, primo comma, della Costituzione nei procedimenti amministrativi che possono approdare al trasferimento d’ufficio. La pienezza della tutela giurisdizionale è assicurata nella fase di giudizio vera e propria che può seguire al procedimento amministrativo in virtù dell’esercizio del diritto di impugnazione spettante al magistrato. E’ infatti questo lo specifico strumento indicato dalla Corte, fin dalla sentenza n. 44 del 1968, come idoneo a realizzare, per gli appartenenti alla magistratura, quella ampiezza di tutela giurisdizionale, coessenziale allo Stato di diritto, nei confronti delle possibili violazioni di legge da parte del Consiglio superiore della magistratura. Si aggiunga che davanti al giudice amministrativo può venire in considerazione non solo la violazione di legge ma anche l’eccesso di potere, il quale, denunciato in alcuna delle sue figure sintomatiche, consente al giudice un penetrante sindacato sul provvedimento di trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 104 e 107 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 novembre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 novembre 2002.