Sentenza n. 449/2002

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SENTENZA N.449

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                 Presidente      

- Riccardo                     CHIEPPA                 Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY      "

- Valerio                        ONIDA                      "

- Carlo                           MEZZANOTTE        "

- Fernanda                    CONTRI                    "

- Guido                         NEPPI MODONA    "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI             "

- Annibale                     MARINI                    "

- Franco                         BILE                          "

- Giovanni Maria          FLICK                                    "

- Francesco                    AMIRANTE              "

- Ugo                             DE SIERVO              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorti a seguito della delibera della Camera dei deputati del 17 novembre 1999 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dall’on. Vittorio Sgarbi nei confronti del dott. Lorenzo Matassa, promossi con ricorsi della Corte d’appello di Roma, I sezione civile, notificati il 21 giugno 2001 e il 4 marzo 2002, depositati in cancelleria il 30 giugno 2001 e il 12 marzo 2002 e iscritti al n. 19 del registro conflitti 2001 e al n. 7 del registro conflitti 2002.

  Visti gli atti di costituzione della Camera dei deputati;

  udito nell’udienza pubblica del 9 luglio 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

  udito il dott. Evangelista Popolizio per la Corte d’appello di Roma e l’avv. Roberto Nania per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1.1. – La Corte d’appello di Roma, I sezione civile, con ordinanza del 20 ottobre 2000, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera da questa adottata nella seduta del 17 novembre 1999 (atti Camera, doc. IV-quater, n. 88), secondo la quale le dichiarazioni che hanno dato luogo al giudizio civile concernono opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi in qualità di membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente insindacabilità, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

La ricorrente premette che il deputato Vittorio Sgarbi ha proposto appello contro la sentenza del Tribunale di Roma in composizione monocratica che, previo accertamento incidentale degli elementi costitutivi del reato di diffamazione previsto dagli artt. 595, secondo e terzo comma, e 61, numero 10), cod. pen., lo ha ritenuto civilmente responsabile in danno di Lorenzo Matassa, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, per aver pronunciato, commentando sull’emittente "Canale 5" la notizia dell’arresto del Sovrintendente ai beni culturali di Siracusa Giuseppe Voza nel corso delle tramissioni televisive "Sgarbi quotidiani" dei giorni 17, 18 e 23 ottobre 1995, frasi diffamatorie nei confronti del magistrato.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto ingiuriose le accuse del deputato al dott. Lorenzo Matassa di "compiacente inerzia nei confronti della mafia (...) di aver messo le manette alla cultura (...) di aver arrestato un uomo non per dovere di ufficio ma per ignoranza e per viltà (...) di aver agito per crudeltà e disprezzo della cultura (...) Matassa peggio che nazista (...) [di avere] abusato del suo ufficio di pubblico ministero (...) di ricorrere all’arresto per pura superficialità, ignoranza ed ignavia".

Prosegue la Corte d’appello ricordando che il deputato, condannato - in solido con il direttore dell’emittente televisiva e con la società produttrice del programma televisivo – al risarcimento del danno non patrimoniale e alla riparazione pecuniaria civile in favore della persona offesa, ha addotto, tra gli altri motivi di impugnazione, la sopravvenuta deliberazione di insindacabilità assunta dalla Camera dei deputati nella seduta del 17 novembre 1999.

La Corte d’appello di Roma ritiene che la Camera dei deputati, deliberando che le dichiarazioni rese dal deputato Sgarbi, per le quali è in corso il ricordato processo civile, costituiscono "divulgazione e continuazione di quelle rese nel corso dell’attività parlamentare propriamente detta (...) e attività parlamentare esse stesse" e che pertanto si tratta di "opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni", tutelate dalla previsione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, abbia esercitato illegittimamente il proprio potere, in particolare per l’affermazione della sussistenza del collegamento funzionale tra le espressioni ritenute diffamatorie dal Tribunale e l’attività parlamentare del deputato: la relazione della Giunta per le autorizzazioni a procedere non riporterebbe tutte le opinioni espresse dall’on. Sgarbi, oggetto della pronuncia del Tribunale di Roma; inoltre, sarebbe arbitrario ritenere coperte dalla garanzia costituzionale dell’insindacabilità opinioni espresse dal deputato (al pari di "qualunque privato cittadino") in un contesto - quello della ricordata trasmissione televisiva - estraneo all’attività parlamentare, nel quale l’on. Sgarbi svolge la funzione di conduttore televisivo in adempimento di un contratto di prestazione d’opera retribuita.

La ricorrente richiama le decisioni della Corte costituzionale in cui si afferma che spetta a quest’ultima valutare la non arbitrarietà della delibera parlamentare di insindacabilità e verificare l’eventualità di illegittime interferenze nelle attribuzioni dell’autorità giudiziaria (sentenze n. 289 del 1998, n. 443 del 1993 e n. 1150 del 1988), nonché la sentenza n. 11 del 2000, in cui si dichiara che l’immunità copre il membro del Parlamento soltanto se per le dichiarazioni concorre il contesto funzionale.

Chiede pertanto la ricorrente che la Corte costituzionale (a) dichiari che non spetta alla Camera dei deputati affermare l’insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi, secondo quanto deliberato dalla stessa Assemblea nella seduta del 17 novembre 1999, e (b) annulli, conseguentemente, la citata deliberazione della Camera dei deputati.

1.2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 197 del 2001.

Il ricorso è stato notificato alla Camera dei deputati, unitamente all'ordinanza di ammissibilità, il 21 giugno 2001 ed è stato depositato presso la cancelleria di questa Corte il successivo 30 giugno.

1.3. – Nel giudizio così instaurato si è costituita la Camera dei deputati, chiedendo che il conflitto sia dichiarato inammissibile, irricevibile o, in subordine, infondato.

Il ricorso sarebbe "del tutto carente" della esposizione sommaria delle ragioni del conflitto, non potendosi ritenere assolto tale onere con la semplice citazione di alcune decisioni della Corte costituzionale.

Inoltre, il ricorso non terrebbe neppure conto delle argomentazioni dell’Assemblea, che invece "ha richiamato in modo puntuale e circostanziato le attività parlamentari del deputato" che consentono l’applicazione nel caso di specie della garanzia prevista dall’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Nel merito, la Camera dei deputati ritiene infondata la tesi della Corte d’appello di Roma, che considera le opinioni dell’on. Sgarbi come meri apprezzamenti personali, da equiparare a quelli di un privato cittadino, per il solo fatto di essere pronunciate nel corso di un programma televisivo del quale il deputato è conduttore sulla base di un contratto di prestazione d’opera retribuita. A tale proposito la resistente ricorda : (a) che la garanzia costituzionale di insindacabilità opera anche allorché le opinioni dei parlamentari siano espresse al di fuori della sede istituzionale; (b) che la giurisprudenza costituzionale richiede una sostanziale corrispondenza di significati tra le opinioni espresse nel corso dell’attività parlamentare e quelle rese extra moenia, ma tale collegamento non dipende "da criteri formali propri dell’atto nel quale l’opinione si manifesta" (sentenza n. 417 del 1999); (c) che, ciò premesso, l’impiego del mezzo televisivo da parte del deputato al fine di esprimere le proprie opinioni è, in linea di principio, riconducibile alla garanzia di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, salvo verificare l’esistenza dei presupposti che ne giustificano l’applicazione. Sarebbe del resto inimmaginabile, prosegue la Camera, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 58, n. 56 e n. 11 del 2000), che un impegno contrattuale possa comportare, secondo quanto afferma la ricorrente, "la dismissione automatica della veste di parlamentare".

La difesa della Camera dei deputati passa poi ad esporre il contenuto delle opinioni espresse in sede parlamentare dal deputato Sgarbi, ricordando in particolare le dichiarazioni di quest’ultimo, estremamente critiche riguardo all’arresto del Sovrintendente Voza, in occasione della seduta del 17 ottobre 1995 della VII Commissione permanente, all’epoca presieduta dallo stesso on. Sgarbi. La resistente ricorda inoltre la Risoluzione n. 7/00471, di cui l’on. Sgarbi era uno dei cofirmatari, approvata nella stessa Commissione il 19 ottobre 1995, Risoluzione nella quale erano riproposte "pressoché testualmente" le critiche alla condotta della magistratura svolte nella precedente seduta della Commissione.

L’Assemblea avrebbe pertanto correttamente riscontrato la piena corrispondenza tra tali atti tipici della funzione parlamentare e le dichiarazioni rese all’esterno della Camera, poiché esse vertono sulla medesima vicenda, proponendone la stessa lettura critica, paventano le stesse deprecabili conseguenze dell’arresto e contengono le stesse formule polemiche. Posta la coincidenza delle affermazioni e la loro corrispondenza con atti tipici della funzione, secondo la Camera dei deputati escludere l’applicazione della garanzia dell’insindacabilità in questo caso condurrebbe a privare il principio in questione di qualunque idoneità a tutelare le opinioni espresse extra moenia dai parlamentari.

2.1. – Con ordinanza in data 17 aprile 2001, emessa nell’ambito di un procedimento civile in grado d'appello vertente tra il deputato Vittorio Sgarbi e Lorenzo Matassa, la società cooperativa a r.l. ANSA e Bruno Caselli, la Corte di appello di Roma, I sezione civile, "ricorre alla Corte costituzionale sollevando conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati e chiede che la Corte costituzionale accerti e affermi che non spetta alla Camera dei deputati dichiarare la insindacabilità ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi secondo quanto deliberato dalla stessa Camera dei deputati nella seduta del 17 novembre 1999 e annulli, conseguentemente, la predetta deliberazione".

La Corte di appello premette che l'on. Sgarbi è appellante avverso la sentenza del Tribunale civile di Roma, con la quale era stato condannato, in solido con l'agenzia ANSA e Caselli, al risarcimento dei danni in favore di Lorenzo Matassa per la diffamazione ravvisata "nelle frasi contenute nella missiva inviata [il 14 ottobre 1995] (...) dallo Sgarbi all'agenzia giornalistica ANSA, da questa comunicate a vari organi di stampa e diffuse sul televideo e su Internet".

Nella nota l'on. Sgarbi, commentando la notizia dell'arresto del Sovrintendente ai beni culturali di Siracusa, Giuseppe Voza, aveva affermato: "Quanto è accaduto è aberrante. Un vero crimine contro la cultura. Premesso che il magistrato in questione non ha fatto nulla contro la mafia, nulla contro niente, nulla di nulla (...) ha umiliato un Sovrintendente che ha recuperato centinaia di opere d'arte, promosso scavi importanti, e realizzato a Siracusa un museo straordinario. Così, anziché rendere onore al Sovrintendente Voza per quello che ha fatto lo vanno ad arrestare per una gita in Giappone. Un fatto intollerabile, una violenza contro la cultura tipica di uno spirito e di una mentalità razzista. Umiliare la cultura è nazismo. Bisogna fermare questi magistrati finché si è in tempo".

Tali dichiarazioni sono state ritenute insindacabili, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione, dalla Camera dei deputati, nella seduta del 17 novembre 1999 (atti Camera, doc. IV-quater, n. 88).

E benché la deliberazione dell'Assemblea sia stata presa con riferimento a una proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere concernente altro procedimento (pendente presso il Tribunale penale di Caltanissetta), poiché i fatti oggetto del procedimento civile pendente dinanzi alla Corte ricorrente sono gli stessi che formano oggetto del procedimento penale cui fa riferimento la proposta della Giunta, ritiene la Corte di appello che la deliberazione di insindacabilità, investendo il merito dei fatti al suo esame, concerna anche il processo civile che essa è chiamata a definire.

Ad avviso della ricorrente, nel caso di specie la Camera avrebbe esercitato illegittimamente il potere attribuitole, avendo affermato arbitrariamente l'esistenza del collegamento funzionale tra le espressioni ritenute in primo grado diffamatorie dal Tribunale e l'attività parlamentare dell’on. Sgarbi, dal momento che le affermazioni di quest’ultimo rappresentano, invece, "meri apprezzamenti personali" espressi nella veste di privato cittadino, onde non è ravvisabile, in relazione ad essi, "uno stretto nesso funzionale" con il mandato e con l'attività parlamentare.

Secondo la giurisprudenza costituzionale - prosegue la Corte d’appello, richiamando la sentenza n. 375 del 1997 - la prerogativa dell’insindacabilità non si estende, infatti, a tutti i comportamenti di chi sia membro delle Camere, ma solo a quelli che esprimano "opinioni correlate alla funzione".

La delibera adottata dalla Camera sarebbe, pertanto, "lesiva delle attribuzioni" sia del Tribunale di Roma che della Corte ricorrente, in quanto il potere conferito al Parlamento dall'art. 68 della Costituzione sarebbe stato esercitato "in modo distorto, e, quindi, arbitrario": alla luce delle pronunce della Corte costituzionale sussisterebbero dunque le condizioni per sollevare conflitto di attribuzione essendovi stata "interferenza dell'esercizio del potere conferito alla Camera dei deputati dall'art. 68, primo comma, della Costituzione nelle attribuzioni dell'autorità giudiziaria previste e garantite dall'art. 102 della Costituzione".

2.2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 37 del 2002.

Il ricorso è stato notificato alla Camera dei deputati, unitamente all'ordinanza di ammissibilità, il 4 marzo 2002 ed è stato depositato presso la cancelleria di questa Corte il successivo 12 marzo.

2.3. – Si è costituita la Camera dei deputati, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o improcedibile e, in subordine, che sia dichiarato che spetta alla Camera dei deputati il potere di deliberare l’insindacabilità a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, in relazione alle opinioni espresse dall’on. Vittorio Sgarbi.

Il conflitto sarebbe inammissibile per difetto assoluto di motivazione dell’atto introduttivo, in quanto esso si risolverebbe in una mera parafrasi di alcuni brani della giurisprudenza costituzionale relativa alla sfera di applicazione della garanzia di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione, priva di specifici riferimenti alla concreta vicenda oggetto del conflitto e alle "puntuali e circostanziate argomentazioni" addotte dalla Camera dei deputati nella delibera di insindacabilità.

Nel merito, la delibera di insindacabilità sarebbe conforme anche ai più rigorosi criteri desumibili dalla giurisprudenza costituzionale in materia, poiché in essa assumono rilievo decisivo due tipiche manifestazioni di attività parlamentare, quali sono rispettivamente il dibattito svoltosi nella Commissione cultura nella seduta del 17 ottobre 1995 (nel quale il deputato Sgarbi è intervenuto) e la Risoluzione adottata nella stessa commissione il 19 ottobre 1995, sottoscritta anche dall’on. Sgarbi.

La difesa della resistente, esponendo il contenuto delle opinioni espresse in sede parlamentare dal deputato Sgarbi e ricostruendo il dibattito svoltosi in Commissione nelle citate occasioni, giunge alla conclusione che l’Assemblea ha correttamente ritenuto esservi corrispondenza tra queste e le dichiarazioni rese all’esterno, poiché esse vertono sulla medesima vicenda, proponendone la stessa lettura critica, paventano le stesse deprecabili conseguenze dell’arresto e contengono le stesse formule polemiche. Posta la coincidenza delle affermazioni e la loro corrispondenza con atti tipici della funzione, secondo la Camera dei deputati escludere l’applicazione della garanzia dell’insindacabilità in questo caso condurrebbe a privare il principio in questione di qualunque idoneità a tutelare le opinioni espresse extra moenia dai parlamentari.

"Singolare" sarebbe d’altronde l’equiparazione, prospettata dalla ricorrente, delle opinioni espresse del deputato a quelle di "qualunque privato cittadino" in base alla considerazione che l’on. Sgarbi svolgeva attività di conduttore di un programma televisivo: allo svolgimento di un’attività professionale, "per di più elevata a valore costituzionale", non può conseguire la riduzione delle garanzie connesse allo status di parlamentare.

Neppure influirebbe sulla definizione del conflitto la circostanza che le dichiarazioni siano state reiterate in altra sede (la ricordata trasmissione televisiva), in quanto: (a) il conflitto in esame è relativo alle sole dichiarazioni rese all’ANSA; (b) la reiterazione in sé non incide sull’operatività della garanzia costituzionale; (c) l’insindacabilità interessa qualunque mezzo e sede idonei alla manifestazione del pensiero.

2.4. – In prossimità dell’udienza la ricorrente ha depositato una memoria nella quale, dopo aver nuovamente esposto i termini del conflitto, svolge alcune considerazioni dalle quali deriverebbe "la sostanziale irrilevanza" della delibera di insindacabilità impugnata, alla quale conseguirebbe (in subordine rispetto all’accoglimento) l’inammissibilità del ricorso.

Secondo la ricorrente, la consolidata giurisprudenza costituzionale, nella quale si afferma che la delibera parlamentare di insindacabilità inibisce l’ulteriore corso dell’azione giudiziaria, imponendo al giudice di prendere atto della pronuncia parlamentare e adottare i provvedimenti conseguenti, oppure di sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale, deve essere riconsiderata alla luce di una interpretazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, "più aderente allo spirito della riforma" introdotta dall’art. 1 della legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3 (Modifica dell’articolo 68 della Costituzione).

La Corte d’appello di Roma osserva in proposito che: (a) la citata riforma abolì l’istituto dell’autorizzazione a procedere, prevedendola solo nei casi indicati dai commi secondo e terzo dell’art. 68 della Costituzione, nell’intento di limitare le deroghe all’attuazione del diritto alla tutela giurisdizionale; (b) considerata la natura eccezionale di tali deroghe, non vi è ragione perché la valutazione di insindacabilità della Camera di appartenenza debba prevalere sull’opposta valutazione espressa dall’organo giudiziario procedente; (c) neppure la lettera dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, pur riconoscendo alle Camere il potere di valutare la condotta dei propri membri, autorizza a ritenere che tale valutazione sia vincolante per il giudice, considerato che ad esso compete un sindacato analogo e che il giudice opera nell’attività – costituzionalmente garantita – di tutela dei diritti.

Alla stregua di tali argomentazioni, la ricorrente conclude che la deliberazione parlamentare di insindacabilità, a meno che non la si consideri "una sorta di veto parlamentare" paragonabile all’autorizzazione a procedere, non può assumere autonomamente efficacia preclusiva dell’esercizio della funzione giurisdizionale. Ricadrebbe pertanto sulla Camera di appartenenza del parlamentare l’onere di promuovere il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti dell’autorità giudiziaria che non si conformi alla valutazione dell’Assemblea.

2.5. – Anche la Camera dei deputati ha depositato una memoria, nella quale ribadisce le proprie argomentazioni nel senso dell’inammissibilità o, in subordine, dell’infondatezza del ricorso.

Considerato in diritto

1. – Nel giudizio promosso con appello del deputato Sgarbi contro una sentenza del Tribunale di Roma di condanna al risarcimento del danno per affermazioni da lui fatte a danno di un magistrato – sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo - in tre trasmissioni televisive mandate in onda il 17, il 18 e il 23 ottobre 1995, la Corte d’appello di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro la Camera dei deputati, in relazione alla delibera, da quest’ultima presa nella seduta del 17 novembre 1999, con la quale è stato affermato che le dichiarazioni per le quali il giudizio civile è in corso costituiscono opinioni espresse in qualità di membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente insindacabilità a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

In altro – parallelo - giudizio di appello promosso dal medesimo deputato contro altra sentenza del Tribunale di Roma di condanna al risarcimento del danno a favore del medesimo magistrato, per il contenuto di una missiva inviata dallo stesso all’agenzia giornalistica ANSA, la Corte d’appello di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro la Camera dei deputati, in relazione alla stessa delibera sopra richiamata, presa nella seduta del 17 novembre 1999, con la quale è stato affermato che anche le dichiarazioni per le quali il giudizio civile è in corso costituiscono opinioni espresse in qualità di membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente insindacabilità a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

2. – I due conflitti si distinguono soltanto per quanto riguarda la materialità dei fatti dichiarativi del deputato a danno del magistrato, che hanno dato luogo ai due distinti procedimenti civili: dichiarazioni peraltro riconducibili a un’unitarietà di contenuto - in ipotesi – diffamatorio. E’ infatti sulla base di questa ritenuta identità che le Camere hanno trattato unitariamente il caso delle tre trasmissioni televisive e delle dichiarazioni rese all’agenzia di stampa, pur esprimendosi con due votazioni distinte. Per queste ragioni, è possibile procedere alla trattazione congiunta dei due conflitti, in vista di un’unica decisione.

3. – La Corte d’appello ricorrente, in una memoria depositata in corso di causa, ha chiesto che questa Corte superi la giurisprudenza originata dalla sentenza n. 1150 del 1988 che, alla sindacabilità in sede di conflitto di attribuzioni delle pronunce delle Camere in tema di immunità parlamentari, ha unito il riconoscimento del cosiddetto effetto impeditivo nei confronti dei giudizi di responsabilità dei membri del Parlamento, effetto superabile solo attraverso la proposizione del conflitto di attribuzioni innanzi a questa Corte. Ha conseguentemente chiesto – in subordine, rispetto all’accoglimento del ricorso, ma in via preliminare dal punto di vista logico - che, attraverso il disconoscimento di tale effetto impeditivo, si affermi la "sostanziale irrilevanza" della delibera parlamentare dalla quale il conflitto trae origine e quindi l’inammissibilità del ricorso stesso.

A parte l’anomalia di questo modo di procedere della Corte ricorrente, la quale propone il conflitto e poi ragiona della sua inconsistenza e superfluità, sulla base della ritenuta inesistenza di effetti sulla sfera della proprie attribuzioni, prodotti dall’atto che ha dato luogo al conflitto stesso, questa Corte non ha, allo stato, motivo di discostarsi dal proprio orientamento interpretativo dell’art. 68, primo comma, della Costituzione: cioè dal riconoscimento che la garanzia in esso prevista comprende sia il dovere del giudice di farla valere direttamente nel processo, sia il potere della Camera di affermarla in contrasto con l’opposto orientamento del giudice, sia il controllo della Corte costituzionale eventualmente adìta per conflitto di attribuzioni dall’organo che possa ritenere lesa la propria sfera di competenza dalla mancata indebita applicazione della prerogativa da parte del giudice o, viceversa, dall’indebita affermazione della stessa da parte della Camera.

4. – Quanto al merito, in questo giudizio non v’è luogo per una pronuncia sulla spettanza del potere contestato e sulla legittimità della delibera della Camera che ha dato origine ai conflitti. Essa, infatti, è già stata annullata con la sentenza n. 448 del 2002 di questa Corte la quale ha risolto, a favore dell’Autorità giudiziaria, due conflitti sollevati dal Tribunale di Caltanissetta nei confronti della Camera dei deputati, aventi a oggetto la medesima delibera, riguardante una vicenda che è oggetto di giudizio sia presso quel Tribunale che presso la Corte d’appello di Roma.

5. – Pertanto, essendo venuto meno l’atto che ha dato luogo ai presenti giudizi per conflitto di attribuzione, si deve pronunciare in relazione a entrambi la cessazione della materia del contendere.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara cessata la materia del contendere in relazione ai giudizi per conflitto di attribuzione proposti dalla Corte d’appello di Roma con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2002.