Ordinanza n. 423 del 2002

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ORDINANZA N.423

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                                     RUPERTO                      Presidente

- Riccardo                                 CHIEPPA                        Giudice

- Gustavo                                  ZAGREBELSKY                  "

- Valerio                                    ONIDA                                  "

- Carlo                                       MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                                CONTRI                                "

- Guido                                     NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto                          CAPOTOSTI                         "

- Annibale                                 MARINI                                "

- Franco                                     BILE                                      "

- Giovanni Maria                      FLICK                                                "

- Francesco                                AMIRANTE                          "

- Ugo                                         DE SIERVO                          "

- Romano                                  VACCARELLA                   "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 10 dicembre 1997, n. 425 (Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore), promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 2001 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto dalla Federazione italiana istituti non statali di educazione e istruzione e altri contro il Ministero della pubblica istruzione, iscritta al n. 860 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2001.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 22 gennaio 2001, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 10 dicembre 1997, n. 425 (Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore), in riferimento all’art. 33, quarto comma, della Costituzione;

che la questione è stata sollevata nel corso di un giudizio promosso da alcuni organismi associativi di istituti di istruzione non statali per l’annullamento della nota del Ministero della pubblica istruzione, Direzione generale per l’istruzione media non statale, n. 6341 del 17 settembre 1998, avente a oggetto "Esami di idoneità nelle scuole legalmente riconosciute e pareggiate – Applicazione dell’art. 7 della legge 10 dicembre 1997, n. 425", nella parte in cui, in risposta a quesiti concernenti l’applicazione dell’art. 7 della legge n. 425 del 1997, stabilisce, con riferimento alle scuole pareggiate o legalmente riconosciute, che i candidati agli esami di idoneità possono sostenere l’esame solo per la classe immediatamente superiore a quella successiva alla classe cui dà accesso il titolo di licenza o promozione che essi possiedono e inoltre che il candidato in possesso di un titolo di idoneità può sostenere un ulteriore esame solo presso un istituto scolastico statale;

che le associazioni ricorrenti rilevando che il principio trova applicazione con esclusivo riferimento alle scuole pareggiate o legalmente riconosciute e che pertanto il candidato privatista, in possesso di un titolo di idoneità a una determinata classe, conseguito presso un istituto legalmente riconosciuto o pareggiato, può sostenere un ulteriore esame di idoneità soltanto presso un istituto statale – hanno impugnato dinanzi al TAR del Lazio la citata nota ministeriale, deducendo, tra l’altro, la necessità della "previa verifica della legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge n. 425 del 1997 o della parte in cui non si prevede che l’intero suo disposto sia applicato a tutte le scuole", in quanto la circolare consentirebbe alla scuola statale – in contrasto con il principio di parità tra scuola statale e scuola non statale – l’esercizio di attività scolastiche precluse alle scuole, riconosciute ed equiparate, gestite da enti diversi dallo Stato, privando in tal modo gli utenti della libertà di scelta costituzionalmente garantita perché solo nella scuola statale sarebbero possibili "salti incontrollati" di classi a prescindere dalla frequenza scolastica;

che il TAR del Lazio ritiene rilevante, ai fini della decisione dell’anzidetto motivo di impugnazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge n. 425 del 1997, in relazione all’art. 33 della Costituzione;

che il giudice rimettente, ricostruendo il quadro risultante dalla vigente legislazione in materia, osserva che: a) gli alunni "interni" (appartenenti ad istituto o scuola sia statale, sia pareggiata o legalmente riconosciuta) possono sostenere [a norma dell’art. 192, comma 6, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado)] esami di idoneità solo per la classe immediatamente superiore a quella successiva alla classe frequentata; b) i candidati "esterni", qualora intendano svolgere esami di idoneità presso scuole pareggiate o legalmente riconosciute, possono accedere, ai sensi del denunciato art. 7, solo alla classe immediatamente superiore a quella successiva alla classe cui dà accesso il titolo; c) "nel silenzio della legge", invece, gli stessi candidati "esterni", per lo svolgimento dei medesimi esami di idoneità presso istituti o scuole statali, possono presentarsi anche per una classe successiva, non valendo per essi lo sbarramento disposto dalla disposizione censurata;

che, posto tale quadro, il TAR rimettente ritiene che l’art. 7 della legge n. 425 del 1997 contrasti con l’art. 33, quarto comma, della Costituzione - secondo il quale la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali - in quanto, prospettando per gli iscritti alle scuole non statali un trattamento deteriore rispetto a quello degli alunni delle scuole statali, dissuaderebbe dall’iscriversi a istituti non statali e in definitiva penalizzerebbe questi ultimi nell’espletamento delle loro funzioni;

che, ad avviso del giudice a quo, a dare giustificazione alla norma censurata non potrebbero valere a) né la distinzione soggettiva tra scuola statale e scuola non statale, poiché la disposizione non riguarda gli istituti ma l’attività scolastica (espressione di una funzione pubblica) in sé, b) né il "sospetto" che le scuole non statali siano contraddistinte da "eccessiva liberalità" verso i propri iscritti, non solo perché, contro tale eventualità, l’amministrazione scolastica dispone di facoltà ispettive e di rimedi, ma anche perché tali scuole sono tenute ad avvalersi di insegnanti in possesso di requisiti di idoneità analoghi a quelli richiesti per l’insegnamento nelle scuole statali e sono vincolate al rispetto di un ordinamento, di programmi e di orari stabiliti da disposizioni legislative e regolamentari comuni alle istituzioni scolastiche statali;

che infine, secondo il rimettente, lo stesso tenore della norma in questione, che pone una disciplina destinata a valere "in attesa della entrata in vigore delle disposizioni di attuazione dell’art. 33, quarto comma, della Costituzione", parrebbe esprimere la consapevolezza del legislatore circa il possibile contrasto dell’art. 7 della legge n. 425 del 1997 con il parametro costituzionale invocato;

che nel giudizio così promosso è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio solleva questione di costituzionalità dell'art. 7 della legge 10 dicembre 1997, n. 425 (Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore), che, disciplinando lo svolgimento degli esami di idoneità alle varie classi dei corsi di studio nelle scuole pareggiate o legalmente riconosciute, consente al candidato esterno di presentarsi agli esami di idoneità solo per la classe immediatamente superiore a quella successiva alla classe cui dà accesso il titolo di licenza o promozione dal candidato stesso posseduto;

che il giudice rimettente ritiene che tale disposizione sia lesiva dell'art. 33, quarto comma, della Costituzione, in quanto riserverebbe alle scuole non statali una disciplina deteriore rispetto a quella delle scuole statali, stante l’affermata possibilità che presso queste ultime si diano "salti incontrollati" di classe, penalizzando così le prime attraverso il trattamento meno favorevole accordato a coloro che si presentano presso di esse per sostenere gli esami di idoneità, senza che tale disciplina di sfavore possa dirsi giustificata dalla diversità soggettiva tra le due categorie di scuole o dalla presunta maggiore "liberalità" delle scuole non statali, passibili di controlli e di verifiche e comunque assoggettate, quanto a ordinamento, programmi e orari, al medesimo quadro normativo che vale per le scuole statali;

che, indipendentemente dalla pertinenza al caso in esame del richiamato art. 33, quarto comma, della Costituzione, cioè dei principi di piena libertà delle scuole non statali che chiedono la parità e di equipollenza del trattamento scolastico dei loro alunni rispetto a quello degli alunni di scuole statali, il giudice rimettente pone in sostanza un problema di irragionevole disuguaglianza nella disciplina relativa agli esami di idoneità dei "candidati esterni", a seconda della natura dell’istituzione scolastica presso la quale gli esami stessi si intendono sostenere;

che i termini della rilevata disparità di trattamento prospettati dal giudice rimettente riguardano la disciplina degli esami di idoneità nella scuola secondaria superiore;

che, nel sistema legislativo vigente, la norma generale concernente l’istruzione secondaria superiore riguardante gli alunni frequentanti tanto d’istituto o scuola statale quanto d’istituto o scuola pareggiata o legalmente riconosciuta, contenuta nell’art. 192, comma 6, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), stabilisce la possibilità di presentarsi a esami di idoneità solo per la classe immediatamente superiore a quella successiva alla classe frequentata, con la possibilità, comune a entrambi i tipi di scuole, del "salto" di un solo anno scolastico;

che, per quanto riguarda i candidati privatisti (i candidati diversi dagli alunni ai quali è riconosciuta la frequenza a un anno scolastico, e quelli che la legge a essi equipara), l’art. 193, comma 2, del decreto legislativo n. 297 del 1994 stabilisce, in generale, che l’ammissione agli esami di idoneità è subordinata (salvo che per coloro che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età, secondo ciò che è previsto dal comma 3 del medesimo articolo) all’avvenuto conseguimento della licenza della scuola media tanti anni prima quanti ne occorrono per il corso normale degli studi, con la conseguenza che, in tali ipotesi, sono possibili "salti" rispetto al titolo scolastico di cui si è in possesso, ma non anticipi rispetto alle cadenze annuali previste per il ciclo di studi;

che l’impugnato art. 7 della legge n. 425 del 1997, relativo allo svolgimento degli esami di idoneità esclusivamente presso le scuole pareggiate o legalmente riconosciute, con riferimento ai candidati esterni (non frequentanti presso le scuole medesime, cioè provenienti da scuole statali o privatisti) prevede, come si è detto, la possibilità di presentarsi agli esami di idoneità solo per la classe immediatamente superiore a quella successiva alla classe cui dà accesso il titolo di licenza o promozione posseduto, con la possibilità dunque di un solo "salto" rispetto alla classe cui dà accesso il titolo scolastico posseduto;

che quindi regola generale vigente in materia è quella che ammette la possibilità di abilitazione al "salto di classe" per un solo anno, sia con riguardo ai candidati che sono alunni frequentanti scuole statali o non statali pareggiate o legalmente riconosciute, sia con riguardo ai candidati esterni che si presentano per gli esami di idoneità presso istituti non statali, pareggiati o riconosciuti (con l’ovvia differenza che, nel primo caso, si fa riferimento alla classe frequentata e, nel secondo, al titolo o licenza posseduto);

che pertanto l’art. 7 della legge n. 425 del 1997 denunciato rientra pianamente nel quadro normativo dettato in materia di abilitazione all’anticipazione delle classi scolastiche;

che, invece, è la norma dell’art. 193, comma 2, del decreto legislativo n. 297 del 1994 – norma ignorata dal giudice rimettente - a costituire deroga all’anzidetto quadro generale, dove consente ai candidati privatisti di anticipare più di un anno scolastico, sia pure nel rispetto della durata temporale del corso normale degli studi;

che tale deroga – tale comunque da non consentire affatto la piena libertà di "salti di classe" presso le scuole statali, sostenuta dal giudice rimettente - è prevista ora (per effetto della disciplina contenuta nell’art. 7 della legge n. 425 del 1997) con riferimento esclusivo agli esami di abilitazione sostenuti presso istituti o scuole statali;

che indubbiamente rientra nella discrezionalità del legislatore circondare tale deroga con cautele particolari, onde evitare di favorire, nella varietà delle istituzioni scolastiche non statali sia pure pareggiate o legalmente riconosciute, attività di "recupero anni scolastici" dettate da intenti puramente commerciali che contrastano con le finalità della pubblica istruzione;

che infine la piena parità tra istituzioni scolastiche statali e private, nell’ambito di un servizio nazionale di istruzione, quale ad esempio quello delineato dalla legge 10 marzo 2000, n. 62 (Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e all’istruzione), non è un dato ma un obbiettivo che riguarda scuole private idonee ad adempiere precise condizioni (le cosiddette scuole paritarie, diverse dalle scuole private pareggiate o legalmente riconosciute, alle quali si riferisce la norma denunciata), condizioni previste per l’appunto al fine del riconoscimento della piena parità;

che, coerentemente con l’osservazione testé svolta e certo non contraddittoriamente con le esigenze della parità, come ritiene invece il giudice rimettente, l’impugnato art. 7 della legge n. 425 del 1997 lega la disciplina che esso dispone circa l’effettuazione degli esami di abilitazione nelle scuole pareggiate o legalmente riconosciute alla "attesa dell’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione dell’art. 33, quarto comma, della Costituzione", cioè al perfezionamento di un processo normativo di parificazione che - nei limiti della ragionevolezza che, nella specie, certamente non sono superati - è nelle mani del legislatore;

  che, per i suddetti motivi, non v’è ragione alcuna di ritenere violata la norma dell’art. 33, quarto comma, della Costituzione e la questione di legittimità costituzionale sollevata deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della legge 10 dicembre 1997, n. 425 (Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore), sollevata, in riferimento all'art. 33, quarto comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 18 ottobre 2002.