Ordinanza n. 404/2002

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ORDINANZA N. 404

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                     Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                       Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                  "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Guido                          NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                         BILE                                       "

- Giovanni Maria          FLICK                                    "

- Francesco                    AMIRANTE                          "

- Ugo                             DE SIERVO                          "

- Romano                      VACCARELLA                    "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 1, numero 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), in relazione all’articolo 9 dello stesso decreto legislativo, promosso con ordinanza del 19 ottobre 2001 dal Tribunale di Rimini, iscritta al n. 967 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti gli atti di costituzione di Tommaso Ferri ed altra, Alberto Ravaioli e del Comune di Rimini, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 3 luglio 2002 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza del 19 ottobre 2001, pervenuta a questa Corte il 10 dicembre 2001, il Tribunale di Rimini ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 24, primo e secondo comma, 51, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, dell’articolo 63, comma 1, numero 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), in relazione all’articolo 9 dello stesso decreto legislativo;

che il remittente premette di essere chiamato a giudicare su un ricorso di attori popolari i quali chiedono di dichiarare la decadenza dalla carica del Sindaco di Rimini, eletto il 27 maggio 2001, in relazione a due ipotesi di incompatibilità, di cui la prima (prevista dall’art. 63, comma 1, numero 4, del testo unico citato) concerne la pendenza di una lite fra il Sindaco ed il Comune: lite che deriverebbe, nella specie, dalla azione popolare promossa dagli stessi ricorrenti contro il Sindaco, ai sensi dell’art. 9 del predetto testo unico, per far valere l’asserito diritto del Comune alla restituzione degli emolumenti percepiti dallo stesso Sindaco nel periodo di carica succeduto alla sua elezione nel luglio 1999, fino alla decadenza pronunciata per incompatibilità dalla Corte di cassazione con sentenza n. 16205 del 2000, nonché al risarcimento dei danni subiti dal Comune per l’organizzazione delle nuove elezioni amministrative del maggio 2001;

che, secondo il remittente, l’esperimento di quest’ultima azione popolare comporterebbe la pendenza di una lite fra il Sindaco ed il Comune, ancorché "versante in una fase che, allo stato, non consente neppure di apprezzare l’atteggiamento processuale del Comune, non ancora costituitosi";

che il remittente, pur dando atto dell’esistenza, nella giurisprudenza di legittimità, di diversi orientamenti circa la possibilità che il giudice del contenzioso elettorale non arresti la sua indagine alla semplice constatazione della pendenza di un giudizio fra l’amministratore ed il Comune, ma valuti anche l’eventuale manifesta infondatezza o il carattere pretestuoso della lite, afferma che la valutazione circa "l’effettività di una controversia" resta preclusa nei casi, come il presente, in cui, non essendo ancora intervenuta una presa di posizione del Comune, sarebbe "impossibile anche solo delibare l’interesse dello stesso"; e ciò a tacere della possibilità che quest’ultimo, dopo essersi associato alla posizione del Sindaco, muti atteggiamento processuale, anche solo domandando la compensazione delle spese di lite, con ciò determinando la sussistenza di una domanda contro il Sindaco;

che, a giudizio del remittente, l’art. 63, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (che prevede l’incompatibilità per lite pendente), in correlazione con l’art. 9 dello stesso testo unico (che prevede l’azione popolare per far valere in giudizio "le azioni e i ricorsi che spettano al Comune e alla Provincia"), sarebbe di dubbia legittimità costituzionale in riferimento all’art. 51, primo comma, della Costituzione, in quanto pregiudicherebbe il diritto di accedere all’ufficio di Sindaco per effetto della mera proposizione di una azione giudiziaria "sulla quale non è compiuta alcuna delibazione né dall’autorità giurisdizionale, né da autorità amministrative"; all’art. 97, primo comma, della Costituzione, poiché lederebbe il buon andamento dell’azione amministrativa del Comune, consentendo in sostanza di provocare "una decadenza ad nutum del Sindaco"; all’art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, poiché nella sede del contenzioso elettorale il Sindaco non potrebbe difendersi, dovendo l’autorità giudiziaria limitarsi a prendere atto della sussistenza della lite pendente;

che si sono costituiti gli attori popolari nel processo a quo, sostenendo anzitutto che la questione sarebbe inammissibile per irrilevanza, perché il giudice remittente avrebbe omesso di motivare in ordine ad altra causa di incompatibilità del Sindaco, pure fatta valere dagli attori popolari medesimi; e sarebbe altresì inammissibile perché il giudice remittente contesterebbe la irragionevolezza di una tesi interpretativa e non di una norma, prospetterebbe dubbi interpretativi, chiedendo alla Corte di scegliere fra due indirizzi interpretativi, non preciserebbe il "petitum perseguito", e solleverebbe la questione in modo generico e contraddittorio;

che comunque, secondo i detti attori popolari, la questione sarebbe infondata;

che si è costituito il Comune di Rimini, il quale conclude chiedendo, in via principale, che la Corte sollevi davanti a sé, per poi accoglierla, questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 63, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, nella parte in cui non estende a qualsiasi lite il trattamento previsto per le liti tributarie – la pendenza delle quali "non determina incompatibilità" –, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, sotto i profili della irragionevolezza e della disparità di trattamento rispetto all’ipotesi della lite tributaria, nonché per contrasto con gli artt. 24 e 113 della Costituzione; in subordine, che la Corte dichiari la questione non fondata, in quanto il giudice del contenzioso elettorale ha già i poteri che gli consentono l’esame della fondatezza della lite e della sua non pretestuosità al fine della pronuncia sulla sussistenza della incompatibilità per lite pendente; in ulteriore subordine, che la Corte dichiari l’illegittimità costituzionale della norma denunciata, nella parte in cui non consente al giudice del contenzioso elettorale l’esame della fondatezza della lite e della sua non pretestuosità ai fini dell’accertamento della incompatibilità;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata, in quanto l’interpretazione della norma conforme a Costituzione, vale a dire nel senso che al giudice elettorale è consentito un sindacato delibatorio sulla pretestuosità o artificiosità della lite, conduce a ritenere non violati i parametri evocati;

che, all’udienza del 23 aprile 2002, le parti costituite hanno preso atto dell’approvazione da parte del Parlamento, in sede di conversione in legge del decreto legge 22 febbraio 2002, n. 13 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità degli enti locali), di una modifica della disposizione denunciata, in quel momento peraltro non ancora entrata in vigore, concludendo anche in relazione ad essa;

che la questione è stata, quindi, rinviata a nuovo ruolo;

che, a seguito della successiva pubblicazione e dell’entrata in vigore della legge 24 aprile 2002, n. 75, di conversione, con modificazioni, del decreto legge n. 13 del 2002, il cui art. 3-ter ha modificato l’impugnata disposizione dell’art. 63, comma 1, numero 4, del testo unico sull’ordinamento degli enti locali, la causa era nuovamente fissata nella camera di consiglio del 3 luglio 2002;

che, con atto depositato il 4 maggio 2002, le parti ricorrenti, attori popolari nel giudizio a quo, avevano intanto chiesto che la Corte, previa fissazione di nuova udienza, sollevasse davanti a sé questione di legittimità costituzionale del nuovo testo dell’art. 63, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, nelle parti modificate e aggiunte dalla legge n. 75 del 2002, per contrasto con gli articoli 3, 24, 25, secondo comma, 97, 101, secondo comma, e 113 della Costituzione;

che ha depositato altresì memoria il Comune di Rimini, contestando l’ammissibilità e la fondatezza della eccezione di legittimità costituzionale delle norme sopravvenute.

Considerato che, successivamente all’udienza del 23 aprile 2002, e prima della nuova camera di consiglio fissata per il 3 luglio 2002, è entrata in vigore la legge 24 aprile 2002, n. 75, di conversione del decreto legge 22 febbraio 2002, n. 13 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità degli enti locali), la quale ha introdotto nel decreto legge convertito un articolo 3-ter, modificativo dell’art. 63, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, vale a dire della disposizione oggetto della presente questione di legittimità costituzionale;

che, a seguito delle modifiche così introdotte, il nuovo testo del citato art. 63, comma 1, numero 4, prevede fra l’altro che "la pendenza di una lite in materia tributaria ovvero di una lite promossa ai sensi dell’art. 9 del presente decreto [vale a dire di una lite promossa in via di azione popolare per far valere azioni o ricorsi spettanti al Comune, come nel caso di cui si discute nel giudizio a quo] non determina incompatibilità" (secondo periodo); che "la lite promossa a seguito di o conseguente a sentenza di condanna determina incompatibilità soltanto in caso di affermazione di responsabilità con sentenza passata in giudicato" (settimo periodo); e che "la presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso" (ultimo periodo: disposizione che, pur essendo inserita nel testo dell’art. 63 del testo unico, si riferisce, evidentemente, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della predetta modifica);

che si rende pertanto necessaria una nuova valutazione della rilevanza della questione ad opera del remittente, in relazione alla sopravvenuta modifica della norma oggetto della questione medesima;

che anche i dubbi di costituzionalità, che una delle parti solleva riguardo alle norme sopravvenute, rientrano nell’ambito delle valutazioni che devono essere rimesse al medesimo giudice a quo, al quale spetta vagliarne la eventuale rilevanza ai fini del giudizio davanti ad esso pendente, nonché la non manifesta infondatezza;

che non può essere, invece, questa Corte a sostituirsi al remittente in tali valutazioni, come chiede la parte ricorrente nel giudizio a quo, poiché anche l’eventuale rilevanza della nuova questione ai fini del giudizio già rimesso a questa Corte in relazione al precedente testo dell’art. 63, comma 1, numero 4, del testo unico presuppone il previo esame, spettante al giudice a quo, della permanente rilevanza della questione originariamente sollevata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Rimini.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2002.