Ordinanza n. 392/2002

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ORDINANZA N.392

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                     Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                       Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                  "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Fernanda                     CONTRI                                "

- Guido                         NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                         BILE                                       "

- Giovanni Maria          FLICK                                    "

- Francesco                    AMIRANTE                          "

- Ugo                             DE SIERVO                          "

- Romano                      VACCARELLA                    "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), introdotto dall’art. 14, comma 1, lettera a), della legge 29 dicembre 1990, n. 408 (Disposizioni tributarie in materia di rivalutazione di beni delle imprese e di smobilizzo di riserve e fondi in sospensione di imposta, nonché disposizioni di razionalizzazione e semplificazione. Deleghe al Governo per la revisione del trattamento tributario della famiglia e delle rendite finanziarie e per la revisione delle agevolazioni tributarie), promosso con ordinanza emessa il 12 ottobre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Palermo sul ricorso proposto da Arturo Cassina s.a.s. contro l’Ufficio Imposte dirette di Palermo, iscritta al n. 971 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 3 luglio 2002 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio di impugnazione avverso un avviso di accertamento tributario e di irrogazione di sanzioni, la Commissione tributaria provinciale di Palermo, con ordinanza del 12 ottobre 1999, pervenuta a questa Corte il 14 dicembre 2001, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), introdotto dall’art. 14, comma 1, lettera a), della legge 29 dicembre 1990, n. 408 (Disposizioni tributarie in materia di rivalutazione di beni delle imprese e di smobilizzo di riserve e fondi in sospensione di imposta, nonché disposizioni di razionalizzazione e semplificazione. Deleghe al Governo per la revisione del trattamento tributario della famiglia e delle rendite finanziarie e per la revisione delle agevolazioni tributarie), nella parte in cui fissa il limite temporale per correggere gli errori materiali contenuti nella dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e delle persone giuridiche alla data prevista per la presentazione della dichiarazione per il secondo periodo di imposta successivo, sempreché non siano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o la violazione non sia stata comunque contestata ovvero non siano stati notificati gli inviti e le richieste di cui all’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973;

che, secondo quanto riferito nell’ordinanza, nel caso sottoposto all’esame del rimettente, all’esito di una verifica fiscale eseguita su una società commerciale, era stata accertata, relativamente all’anno 1990, l’esistenza di un maggior reddito derivante dal recupero a tassazione di una ingente somma indicata in diminuzione nella dichiarazione presentata dalla società;

che, nell’impugnare l’accertamento, la ricorrente si era difesa affermando che la predetta somma era stata portata in diminuzione dal reddito complessivo per mero errore materiale nella compilazione della dichiarazione;

che il rimettente, ha escluso, sulla base della legislazione vigente, la possibilità di correzione dell’errore addotto dalla ricorrente, stante l’avvenuto superamento del limite temporale stabilito dalla norma censurata;

che, tuttavia, sempre ad avviso del rimettente, ogni limite alla correzione della dichiarazione dei redditi che non coincida con la definitività dell’accertamento (conseguente alla mancata impugnazione di quest’ultimo ovvero alla sua conferma con decisione non più impugnabile) violerebbe il principio di capacità contributiva, posto a fondamento della obbligazione tributaria, e il criterio di ragionevolezza;

che la questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo, avendo la ricorrente sostanzialmente chiesto, in base all’assunto che la somma recuperata a tassazione in occasione dell’accertamento impugnato era stata portata in diminuzione per mero errore materiale, la correzione della dichiarazione dei redditi a suo tempo presentata;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o, comunque, di infondatezza della questione;

che, in particolare, la difesa pubblica osserva che, secondo quanto affermato dalla stessa ricorrente, sarebbe lo stesso bilancio relativo all’anno 1990 ad essere affetto da errori. Con la conseguenza che, non avendo la ricorrente provveduto alla rettifica del bilancio ed essendo inammissibile una correzione della dichiarazione dei redditi non coerente con le risultanze di bilancio, sarebbe irrilevante ogni questione relativa alla legittimità del termine per procedere alla correzione della dichiarazione stessa;

che, nel merito, l’Avvocatura rileva, per un verso, la inconferenza del richiamo all’art. 53 della Costituzione, posto che il principio di capacità contributiva atterrebbe alla garanzia sostanziale della proporzionalità dell’imposta alla capacità del contribuente e non riguarderebbe la materia procedimentale e del processo tributario e, per altro verso, che non sarebbe dubbia la ragionevolezza del limite temporale "introdotto per la presentazione di dichiarazioni correttive";

che, infatti, in assenza di esso, il contribuente sarebbe indotto ad attendere, prima della spontanea correzione della dichiarazione dei redditi, l’esito dei controlli disposti dall’amministrazione finanziaria.

Considerato che va disattesa la eccezione di inammissibilità della questione sollevata dalla Avvocatura, non risultando dall’ordinanza l’ammissione, da parte della ricorrente, di errori, oltre che nella dichiarazione dei redditi, anche nel bilancio societario;

che, censurando il rimettente la impossibilità di procedere, successivamente all’avviso di accertamento di maggior reddito, alla correzione degli errori materiali contenuti nella dichiarazione dei redditi, risulta del tutto inconferente l’indicazione, quale parametro costituzionale violato, dell’art. 53 della Costituzione, attenendo il principio di capacità contributiva alla garanzia sostanziale della proporzionalità della imposta alla capacità del contribuente e non alla disciplina processuale dell’imposizione (cfr. sentenza n. 18 del 2000; ordinanza n. 430 del 2000);

che la norma impugnata non è, neppure, lesiva del principio di ragionevolezza garantito dall’art. 3 della Costituzione, essendo indubbio che, ove fosse possibile, come preteso dal giudice a quo, procedere alla correzione della dichiarazione dei redditi sino al momento dell’accertamento definitivo del maggior reddito, la correzione stessa cesserebbe di essere un rimedio accordato dal legislatore per ovviare ad un errore del contribuente, per trasformarsi in un mezzo elusivo delle sanzioni predisposte dal legislatore per l’inosservanza delle disposizioni relative alla compilazione della dichiarazione dei redditi;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata, in relazione ad entrambi i parametri evocati, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi di fronte ala Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, ultimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), introdotto dall’art. 14, comma 1, lettera a), della legge 29 dicembre 1990, n. 408 (Disposizioni tributarie in materia di rivalutazione di beni delle imprese e di smobilizzo di riserve e fondi in sospensione di imposta, nonché disposizioni di razionalizzazione e semplificazione. Deleghe al Governo per la revisione del trattamento tributario della famiglia e delle rendite finanziarie e per la revisione delle agevolazioni tributarie), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Palermo, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2002.