Ordinanza n. 391/2002

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ORDINANZA N.391

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                                 Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                                   Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                              "

- Valerio                        ONIDA                                              "

- Fernanda                     CONTRI                                            "

- Guido                         NEPPI MODONA                            "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                                     "

- Annibale                     MARINI                                            "

- Franco                         BILE                                                   "

- Giovanni Maria          FLICK                                                "

- Francesco                    AMIRANTE                                      "

- Ugo                             DE SIERVO                                      "

- Romano                      VACCARELLA                                "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2758, secondo comma, del codice civile, come sostituito dall’art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 426 (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi), promosso con ordinanza emessa il 30 luglio 2001 dal giudice istruttore del Tribunale di Monza nel procedimento civile vertente tra Moro Ambrogio s.p.a. e Fallimento Brenna s.r.l., iscritta al n. 960 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 3 luglio 2002 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto che nel corso di un giudizio di opposizione allo stato passivo, il giudice istruttore del Tribunale di Monza, con ordinanza emessa il 30 luglio 2001 e depositata il 16 settembre 2001, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2758, secondo comma, del codice civile, come sostituito dall’art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 426 (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi);

che la questione è detta rilevante in quanto il credito dell’opponente, relativo a rivalsa per imposta sul valore aggiunto gravante su forniture di olii minerali, era stato collocato in chirografo, con esclusione del privilegio speciale di cui alla norma impugnata, non essendo stati rinvenuti dal curatore i beni cui il medesimo credito di rivalsa si riferiva;

che il suddetto art. 5 della legge n. 426 del 1975 avrebbe tacitamente abrogato, secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale, l’art. 18, comma quinto, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), come modificato dall’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1974, n. 687 (Norme integrative e correttive del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, concernente istituzione e disciplina della imposta sul valore aggiunto), che viceversa attribuiva al credito di rivalsa, se relativo alla cessione di beni mobili, il privilegio sulla generalità dei mobili del debitore;

che la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata, comportando – ad avviso del rimettente – la reviviscenza della normativa previgente, consentirebbe l’accoglimento dell’opposizione, con la collocazione in via privilegiata del credito dell’opponente;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo osserva che il privilegio speciale previsto dalla norma impugnata sarebbe concretamente inoperante, allorché il bene oggetto della cessione sia costituito da beni consumabili, come nel caso di specie, ovvero da energie;

che, pertanto, la norma stessa, assoggettando ad uguale trattamento situazioni diverse, violerebbe, in maniera non meramente eventuale, il principio di eguaglianza;

che tale violazione non potrebbe ritenersi, d’altro canto, superata – secondo il medesimo rimettente - dalla disposizione contenuta nell’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, che attribuisce al soggetto passivo dell’imposta, nel caso di accertata incapienza patrimoniale del cessionario o committente, la facoltà di emettere una nota di variazione IVA, in quanto tale facoltà presuppone, nell’ipotesi di fallimento, l’avvenuta approvazione del piano di riparto finale e può, quindi, essere di norma esercitata solo a considerevole distanza di tempo dall’insorgenza del debito;

che, ad avviso del giudice a quo, la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata – diversamente da quanto si legge nella sentenza di inammissibilità n. 25 del 1984, riguardante la medesima disposizione - comportando la reviviscenza del precedente art. 18, comma quinto, del d.P.R. n. 633 del 1972, escluderebbe qualsiasi discrezionalità da parte di questa Corte in ordine alla definizione della nuova disciplina;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o, in subordine, di infondatezza della questione;

che, ad avviso della parte pubblica, il rimettente, in quanto giudice istruttore in una causa, di opposizione allo stato passivo, attribuita alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell’art. 50-bis, numero 2, del codice di procedura civile, sarebbe privo della legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale;

che, inoltre, il medesimo rimettente, chiedendo in sostanza alla Corte di ripristinare il privilegio generale che assisteva i crediti di rivalsa IVA prima della modifica introdotta dalla legge n. 426 del 1975, solleciterebbe una vera e propria innovazione normativa, per sua natura estranea alla competenza della Corte costituzionale;

che la questione, nel merito, sarebbe comunque infondata in quanto la possibilità che, in concreto, il privilegio speciale non possa operare per il venir meno del bene su cui esso grava rientrerebbe – secondo l’Avvocatura - nella normale alea di una procedura esecutiva e non darebbe, perciò, luogo ad alcun vizio di legittimità costituzionale, tanto meno nel caso di specie, ove l’eventuale pregiudizio di fatto sarebbe comunque compensato dal meccanismo di recupero previsto dall’art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972.

Considerato che il rimettente dubita, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 2758, secondo comma, del codice civile, come sostituito dall’art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 426 (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi), in quanto attribuisce ai crediti di rivalsa verso il cessionario, previsti dalle norme relative all’imposta sul valore aggiunto, il privilegio speciale sui beni che hanno formato oggetto della cessione, anziché il privilegio sulla generalità dei beni mobili del debitore;

che il medesimo rimettente, in quanto giudice istruttore, non è tuttavia chiamato a fare applicazione della norma impugnata, essendo la causa di opposizione allo stato passivo attribuita alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell’art. 50-bis, numero 2, del codice di procedura civile;

che, difettando, pertanto, il requisito della rilevanza, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2758, secondo comma, del codice civile, come sostituito dall’art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 426 (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal giudice istruttore del Tribunale di Monza con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2002.