Ordinanza n. 390/2002

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ORDINANZA N.390

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                                    RUPERTO                                 Presidente

- Riccardo                                 CHIEPPA                                   Giudice

- Gustavo                                  ZAGREBELSKY                              "

- Valerio                                    ONIDA                                              "

- Guido                                     NEPPI MODONA                            "

- Piero Alberto                         CAPOTOSTI                                     "

- Annibale                                 MARINI                                            "

- Franco                                     BILE                                                   "

- Giovanni Maria                      FLICK                                                "

- Francesco                                AMIRANTE                                      "

- Ugo                                         DE SIERVO                                      "

- Romano                                  VACCARELLA                                "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dalla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere con ordinanza del 29 ottobre 2001, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 2002.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 3 luglio 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che la Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 32 e 101 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 3 [recte: comma 2-bis], della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui <<non prevede l’esistenza del potere del giudice, che procede al giudizio penale nel cui ambito è stato emesso il titolo cautelare in esecuzione, di sindacare il contenuto del decreto ministeriale di sottoposizione al regime carcerario speciale, nei limiti in cui tale verifica si renda assolutamente necessaria ai fini di tutela del diritto alla salute dell’imputato detenuto>>;

che la Corte rimettente premette di essere investita, ex art. 299 del codice di procedura penale, di una richiesta di revoca o sostituzione, per motivi di salute, della custodia cautelare in carcere nei confronti di un imputato per il quale era stato adottato (e reiterato nel tempo) il decreto ministeriale di sospensione delle regole ordinarie di trattamento a norma dell’art. 41-bis, comma 2, dell’ordinamento penitenziario;

che a causa dell’insorgenza di un <<rilevante disturbo psichico>>, da porsi in stretta correlazione con le condizioni di vita carceraria e, in particolare, con la limitata possibilità di fruire di colloqui con i propri familiari (il decreto ministeriale prevedeva un unico colloquio mensile), il collegio giudicante aveva prospettato con <<diversi provvedimenti>> all’autorità ministeriale competente la necessità di incrementare, ad esclusivi fini terapeutici, il numero di colloqui mensili e che a seguito di tali provvedimenti l’autorità ministeriale aveva disposto l’ammissione temporanea (dal febbraio al luglio del 2001) dell’imputato a due colloqui mensili con i familiari;

che da una successiva perizia medico-legale era emerso che il temporaneo e parziale incremento del numero dei colloqui aveva contribuito ad evitare, pur nella sostanziale stabilità del quadro patologico già riscontrato, un peggioramento delle condizioni di salute dell’imputato, e che quindi risultava necessario che egli continuasse ad usufruire di tale <<possibilità terapeutica mediante un’ammissione con carattere di stabilità ai colloqui con i familiari>>;

che il collegio, investito di una precedente richiesta di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, nel rigettare la relativa domanda aveva sollecitato la competente autorità ministeriale ad ammettere l’imputato in via permanente alla fruizione di quattro colloqui mensili, ma detta autorità aveva confermato <<la sussistenza del regime detentivo speciale al quale il detenuto [...] è sottoposto e l’inopportunità di prorogare ulteriormente il provvedimento con cui il detenuto è stato ammesso a fruire di due colloqui visivi senza il vetro divisorio>>;

che, nel prendere in esame la nuova richiesta di revoca della misura cautelare, il giudice rimettente rileva che, allo stato, la <<condizione patologica del detenuto>> non è tale da determinare una <<assoluta incompatibilità con la carcerazione>>, dal momento che dai risultati delle perizie medico-legali emerge che il protrarsi della detenzione sarebbe possibile ove fosse <<assicurato in concreto, oltre al supporto farmacologico, un ulteriore supporto terapeutico consistente, quantomeno, nella ordinaria fruibilità dei colloqui tra il detenuto e i suoi familiari>>; possibilità peraltro preclusa dalla decisione negativa dell’autorità amministrativa;

che, al riguardo, il rimettente osserva che in base all’attuale formulazione dell’art. 41-bis, comma 2-bis, dell’ordinamento penitenziario il controllo giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento ministeriale è demandato in via esclusiva al tribunale di sorveglianza, mentre al giudice che procede, pure competente a valutare ai sensi dell’art. 275 cod. proc. pen. l’adeguatezza della misura cautelare in atto, non è consentito sindacare il contenuto delle prescrizioni ministeriali neppure al fine di tutelare la salute dell’imputato;

che nel caso di specie la mancata previsione di un potere di controllo affidato al giudice procedente determinerebbe l’impossibilità di contemperare le esigenze cautelari con il diritto alla salute dell’imputato;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il collegio rileva che in base <<agli artt. 273 e seguenti>> cod. proc. pen. al giudice che procede è affidato il compito di verificare il permanere delle condizioni di legittimità della misura cautelare e la sua adeguatezza anche a fronte dell’insorgere di condizioni di salute patologiche, tali da richiedere il ricorso a trattamenti terapeutici;

che sarebbe dunque evidente il contrasto dell’art. 41-bis, comma 2-bis, dell’ordinamento penitenziario con l’art. 32 Cost., in quanto al giudice procedente è precluso qualsiasi intervento modificativo a fini terapeutici del provvedimento ministeriale di sospensione delle ordinarie regole di trattamento, nonché con gli artt. 3 e 101 Cost., giacché il medesimo giudice risulta <<irragionevolmente destinatario di determinazioni insindacabili dell’autorità amministrativa che incidono sui diritti del soggetto imputato, diritti che il sistema processuale (art. 275 cod. proc. pen.) affida alle determinazioni del suddetto organo giurisdizionale, e ciò proprio in virtù del loro rilievo costituzionale>>;

che, infine, la tutela dei diritti dell’imputato non potrebbe dirsi assicurata attraverso il reclamo al tribunale di sorveglianza previsto dal comma 2-bis dell’art. 41-bis, considerato che: 1) <<in presenza di patologie riscontrate a mezzo accertamento peritale, la decisione sulla "adeguatezza" della misura cautelare in corso è di esclusiva competenza del giudice investito della cognizione processuale, individuabile ex art. 279 cod. proc. pen.>>; 2) <<a tale giudice, pertanto, andrebbero devolute tutte le questioni che attengono al rapporto tra la legittimità della protrazione della misura detentiva e la tutela della salute dell’imputato>>; 3) <<in tale contesto, ove si ipotizzi un contrasto tra il contenuto del decreto ministeriale e le esigenze di tutela della salute, la decisione dell’organo giurisdizionale competente ex artt. 279 e 275 cod. proc. pen. non può farsi dipendere dall’attivazione di un ulteriore procedimento (il reclamo) innanzi a giudice diverso>>;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;

che secondo l’Avvocatura il giudice, tenuto ad orientare le proprie scelte secondo il principio del necessario contemperamento fra le esigenze di cautela processuale e la tutela della salute dell’imputato, deve privilegiare la scelta di misure cautelari meno afflittive là dove il regime carcerario sia in concreto incompatibile con lo stato di salute del soggetto e a tal fine può prendere in considerazione anche la circostanza che l’imputato sia sottoposto al regime derogatorio di cui all’art. 41-bis, comma 2, dell’ordinamento penitenziario;

che d’altra parte l’attribuzione in via esclusiva al tribunale di sorveglianza del potere di sindacare la legittimità dei provvedimenti ministeriali soddisfa l’esigenza di garantire un controllo giurisdizionale da parte di un organo specializzato, idoneo a evitare che in concreto i provvedimenti ministeriali contraddicano le finalità rieducative della pena, comportino trattamenti contrari al senso di umanità, ovvero violino diritti della persona.

Considerato che il giudice rimettente, investito di una richiesta di revoca o di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere per motivi di salute, vorrebbe essere abilitato, nei limiti in cui sia necessario per tutelare il diritto alla salute, a sindacare il contenuto del decreto ministeriale di sospensione delle ordinarie regole di trattamento disposto nei confronti dell'imputato a norma dell'art. 41-bis, comma 2, dell'ordinamento penitenziario;

che, ad avviso del rimettente, l'art. 41-bis, comma 2-bis, dell'ordinamento penitenziario, che attribuisce in via esclusiva al tribunale di sorveglianza la competenza a decidere sui reclami avverso i provvedimenti del Ministro della giustizia emessi a norma del comma 2 del medesimo articolo, si pone in contrasto con gli artt. 3, 32 e 101 Cost., in quanto al giudice che procede è irragionevolmente precluso qualsiasi controllo sui contenuti del provvedimento ministeriale di sospensione delle ordinarie regole di trattamento al fine di tutelare il diritto alla salute del detenuto;

che nel caso di specie il giudice a quo, pur ritenendo che il <<rilevante disturbo psichico>> dell’imputato, provocato dalle condizioni di vita carceraria e, in particolare, dalla limitazione dei colloqui con i familiari imposta con il decreto ministeriale, non fosse, allo stato, tale da determinare una incompatibilità assoluta con la custodia cautelare a norma degli artt. 299, comma 4-ter, e 275, comma 4-bis, cod. proc. pen., aveva sollecitato, peraltro senza esito, la competente autorità ministeriale ad ammettere l'imputato a fruire di quattro colloqui mensili con i familiari;

che, a norma degli artt. 299, comma 4-ter, e 275, commi 4-bis e ter, cod. proc. pen., il giudice non può disporre né mantenere la custodia cautelare in carcere quando le condizioni di salute dell’imputato risultano incompatibili con lo stato di detenzione ovvero sono comunque tali da non consentire adeguate cure in carcere;

che, nell'ambito dei provvedimenti di sua competenza, il giudice che procede, al fine di dare piena attuazione al diritto alla salute, è certamente abilitato a intervenire anche nei confronti del detenuto sottoposto al regime dell’art. 41-bis, comma 2, dell’ordinamento penitenziario, valutandone gli effetti sulle condizioni di salute dell’imputato ai fini del giudizio di compatibilità in concreto con lo stato di detenzione;

che la competenza del giudice che procede opera su un piano diverso e non confliggente con quella del tribunale di sorveglianza che, a norma dell’art. 41-bis, comma 2-bis, dell'ordinamento penitenziario, decide sui reclami avverso i provvedimenti ministeriali di sospensione delle ordinarie regole di trattamento;

che, ove il sindacato sul contenuto del provvedimento ministeriale di sospensione venisse attribuito, come richiesto dal rimettente, anche al giudice che procede, ne deriverebbe una sovrapposizione delle competenze del giudice di cognizione e del tribunale di sorveglianza, che potrebbe dare luogo a contrasti di pronunce tra i due organi ed anche tra diversi giudici che procedono nei confronti del medesimo imputato;

che a tali possibili contrasti ha appunto inteso porre rimedio l'art. 41-bis, comma 2-bis, dell'ordinamento penitenziario, prevedendo che sui reclami avverso il provvedimento ministeriale è sempre competente il tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto a cui è assegnato il detenuto, anche nel caso di trasferimenti disposti a norma dell'art. 42 del medesimo ordinamento;

che del resto, già prima della introduzione nell’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario del comma 2-bis ad opera della legge 7 gennaio 1998, n. 11, questa Corte aveva affermato che la competenza a sindacare la legittimità dei provvedimenti di sospensione delle ordinarie regole di trattamento <<deve riconoscersi a quello stesso organo giurisdizionale cui è demandato il controllo sull’applicazione […] del regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell’art. 14-ter dell’ordinamento penitenziario>>, posto che tale istituto <<nella sua concreta applicazione viene ad assumere un contenuto largamente coincidente con il regime differenziato>> previsto dall'art. 41-bis, comma 2, del medesimo ordinamento (v. sentenza n. 410 del 1993, che a sua volta richiama la sentenza n. 349 del 1993);

che, in particolare, questa Corte ha avuto modo di precisare che, ai fini del sindacato del tribunale di sorveglianza sui provvedimenti disposti ex art. 41-bis, comma 2, dell’ordinamento penitenziario, <<appaiono particolarmente pregnanti>> le indicazioni contenute nell’art. 14-quater, comma 4, dell’ordinamento penitenziario (v. sentenza n. 351 del 1996), tra le quali figura – per quanto rileva nel caso di specie – un richiamo alle esigenze di tutela della salute;

che la tutela del diritto alla salute, di cui l'imputato detenuto lamenti la lesione a causa dei contenuti del provvedimento ministeriale di sospensione delle regole ordinarie di trattamento, risulta così assicurata, da un lato, dai poteri conferiti in materia di libertà personale al giudice che procede e, dall’altro, dal controllo esercitato, in sede di reclamo, dal tribunale di sorveglianza a garanzia dei diritti del detenuto;

che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata in riferimento a tutti i parametri evocati dal rimettente.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 41-bis, comma 2-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 32 e 101 della Costituzione, dalla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2002.