Ordinanza n. 360/2002

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ORDINANZA N.360

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 674, comma 1-bis, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18 ottobre 2000 dal Tribunale di Milano nell’incidente di esecuzione promosso da V.G., iscritta al n. 965 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2002.

udito nella camera di consiglio del  19 giugno 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 19 ottobre 2001,  il Tribunale di Milano solleva, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 674, comma 1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dell’art. 1, comma 2, della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), nella parte in cui non prevede che il giudice della esecuzione possa concedere la sospensione condizionale della pena quando rileva l’inesistenza della causa ostativa di cui all’art. 164, quarto comma, del codice penale;

che il rimettente premette, in fatto, di essere chiamato a delibare, in sede di incidente di esecuzione, la richiesta di un condannato volta ad ottenere l’applicazione, a norma dell’art. 674 cod. proc. pen., del beneficio della sospensione condizionale della pena in relazione ad una condanna alla pena di mesi nove di reclusione e lire 1.000.000 di multa, irrogata dal Pretore di Milano con sentenza del 16 febbraio 1999, divenuta irrevocabile il 10 aprile 1999;

che in tale sentenza il giudice della cognizione aveva, all’epoca, motivato la mancata concessione del beneficio sul rilievo che l’imputato aveva già goduto, in due occasioni, della sospensione condizionale della pena; sicché sussisteva la causa ostativa prevista dall’art. 164, ultimo comma, cod. pen., ai fini di una eventuale nuova concessione del medesimo beneficio;

che, tuttavia, una delle precedenti condanne - inflitta per il reato di emissione di assegno senza provvista (art. 2 della legge n. 386 del 1990) -  era stata irrogata con decreto penale di condanna successivamente revocato dal giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, con il quale era stata abolita la incriminazione del reato di emissione di assegni senza provvista;

che, in forza di ciò e delle modifiche apportate all’art. 674 del codice di rito ad opera della legge n. 128 del 2001, i difensori del condannato avevano quindi richiesto all’odierno rimettente, quale giudice della esecuzione, la concessione della sospensione condizionale della pena «per essere venuta meno una delle due precedenti sentenze ostative al beneficio»; eccependo, in subordine, l’illegittimità costituzionale dell’art. 674 cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.;

che - nel disattendere la fondatezza della domanda principale - il giudice  a quo ritiene non manifestamente infondata la eccezione subordinata, osservando, in particolare, come i poteri del giudice della esecuzione in materia di concessione e revoca della sospensione condizionale della pena risultino accresciuti, da un lato, in forza della disciplina stabilita al riguardo dall’art. 671 cod. proc. pen. in sede di riconoscimento del concorso formale o della continuazione e, dall’altro lato, in forza della nuova previsione dettata proprio dall’impugnato art. 674, comma 1-bis, del medesimo codice; la norma, infatti, amplia i casi di “revoca obbligatoria” del beneficio, stabilendo che il giudice della esecuzione provvede alla revoca della sospensione condizionale della pena anche nel caso in cui rilevi l’esistenza delle condizioni di cui al terzo comma dell’art. 168 cod. pen., ossia quando essa è stata concessa in violazione dell’art. 164, quarto comma, dello stesso codice in presenza di cause ostative;

che, a parere del giudice rimettente, la disciplina censurata si porrebbe dunque in contrasto con il principio di ragionevolezza, poiché essa - mentre consente al giudice della esecuzione di procedere alla revoca della sospensione condizionale della pena nell’ipotesi di accertata sussistenza della causa ostativa di cui all’art. 164, quarto comma, cod. pen., non rilevata o non rilevabile dal giudice del merito - preclude al medesimo giudice della esecuzione la possibilità di concedere tale beneficio «nell’ipotesi di accertata insussistenza della medesima causa ostativa, non rilevata e non rilevabile dal giudice di merito, in quanto conseguenza, come nel caso di specie, di un provvedimento di depenalizzazione intervenuto successivamente alla pronuncia della sentenza»;

che, sempre ad avviso del giudice  a quo, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. anche per la disparità di trattamento che si verrebbe a realizzare «tra coloro ai quali è stata negata la sospensione condizionale della pena da parte del giudice della cognizione per la sussistenza della causa ostativa di cui all’art. 164 quarto comma cod. pen. ed erano ancora in termini per l’impugnazione all’atto dell’entrata in vigore del provvedimento di depenalizzazione e coloro che, a tale data, erano invece già decaduti dalla facoltà di proporre impugnazione e che si trovavano, pertanto, nella giuridica impossibilità di far rilevare la mutata situazione in sede esecutiva ai fini del riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale».

Considerato che il Tribunale di Milano dubita della legittimità costituzionale dell’art. 674, comma 1-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente al giudice della esecuzione di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, quando rilevi il venir meno della condizione ostativa prevista dall’art. 164, quarto comma, del codice penale;

che, alla stregua di quanto traspare dalla narrativa in fatto della ordinanza di rimessione, la rilevanza del quesito si basa, nella specie, sull’assunto – inespresso, ma chiaramente postulato dal giudice a quo  - secondo il quale la revoca della sentenza di condanna, a norma dell’art. 673 cod. proc. pen., per abolitio criminis, determinerebbe il venir meno degli effetti preclusivi derivanti dalla sospensione condizionale della pena concessa con quella sentenza: tesi, questa, contraddetta dai più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. VI, 5 luglio 2001, n. 35176; Cass., Sez. V, 6 marzo 2002, n. 14304), ma che tuttavia non può essere ritenuta così manifestamente implausibile, da parte di questa Corte, da infirmare l’ammissibilità dell’odierna questione;

che, venendo al merito del quesito, il giudice rimettente fonda i propri dubbi di legittimità costituzionale sulla assiomatica premessa secondo la quale il nuovo “potere” in peius attribuito al giudice della esecuzione dall’art. 674, comma 1-bis, del codice di procedura penale – in forza del quale è consentito a tale giudice di provvedere alla revoca della sospensione condizionale della pena, quando rileva l’esistenza delle condizioni di cui al terzo comma dell’art. 168 del codice penale – consentirebbe ed anzi imporrebbe di configurare nulla più che come una simmetrica e speculare previsione l’attribuzione, al medesimo giudice, di  un “potere” in melius, ove rilevi, al contrario, l’inesistenza della causa ostativa di cui all’art. 164, quarto comma, cod. pen.;

che una simile premessa si rivela, peraltro, palesemente erronea: infatti, mentre il giudice della esecuzione, quando - esercitando il potere attribuitogli  dalla novella - revoca il beneficio della sospensione condizionale della pena, perché “illegalmente” riconosciuto, si limita ad effettuare un mero riscontro formale sull’esistenza o meno di condanne ostative; nel caso alternativo e opposto di concessione  ex novo di quello stesso beneficio  - sia pure in virtù di revoca della sentenza di condanna ostativa – verrebbe invece ad essere attribuito al giudice della esecuzione un compito valutativo e di pieno merito, riservato alla sfera della cognizione;

che l’accoglimento di un simile quesito, infatti, non soltanto si porrebbe in aperto contrasto con la rigida ripartizione delle attribuzioni tra giudice “del fatto” e giudice “della pena”; soprattutto, esso determinerebbe effetti manipolativi del giudicato, creando una nuova ed eccentrica categoria concettuale del doppio “titolo esecutivo”, promanante da due distinti organi: il giudice della cognizione, che pronuncia la sentenza di condanna per un determinato fatto ad una determinata pena;  ed il giudice della esecuzione, il quale formula – in relazione a quel fatto, per quella pena e per quello stesso condannato – la “prognosi fausta” per l’applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena;

che né la peculiare disciplina dettata dall’art. 671, comma 3, cod. proc. pen. (in tema di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena quando esso consegua al riconoscimento, in executivis, del concorso formale o della continuazione), né la “nuova” previsione di cui all’art. 674, comma 1-bis, del codice di rito (relativa alla possibilità di revocare in fase esecutiva la sospensione condizionale “erroneamente” applicata nel giudizio di cognizione), possono essere validamente evocate quali parametri normativi di raffronto, avendo questa Corte costantemente affermato che norme speciali, singolari o comunque derogatorie di principi generali, non possono costituire utile elemento di comparazione alla stregua del principio di eguaglianza (v., ex plurimis, sentenze n. 344 del 1999, n. 402 del 1996, n. 295 e n. 201 del 1995);

che la questione proposta si rivela, dunque, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 674, comma 1-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2002.