Ordinanza n. 357/2002

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ORDINANZA N. 357

ANNO 2002

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Cesare                 RUPERTO                                   Presidente

 

- Massimo              VARI                                             Giudice

 

- Riccardo              CHIEPPA                                            “

 

- Gustavo               ZAGREBELSKY                                “

 

- Valerio                ONIDA                                               “

 

- Carlo                   MEZZANOTTE                                  “

 

- Fernanda             CONTRI                                             “

 

- Guido                  NEPPI MODONA                               “

 

- Piero Alberto       CAPOTOSTI                                      “

 

- Annibale              MARINI                                              “

 

- Giovanni Maria   FLICK                                                 “

 

- Francesco            AMIRANTE                                       “

 

- Ugo                     DE SIERVO                                        “

 

- Romano               VACCARELLA                                  “

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1033 del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14 ottobre 1997 dalla Corte d’appello di Milano, iscritta al n. 926 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2001.

 

Udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

 

Ritenuto che, con ordinanza in data 14 ottobre 1997, pervenuta a questa Corte l’8 novembre 2001, la Corte d’appello di Milano, quale giudice di rinvio, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1033 del codice civile, nella parte in cui “non prevede anche l’obbligo di dare passaggio, analogo a quello dovuto alle condotte di acque, a tubi o ad altri condotti per la fornitura di gas metano”;

 

che il remittente premette che la Corte di cassazione, con sentenza n. 11130 del 1992, nel cassare, con rinvio, la sentenza con la quale era stata accolta la domanda delle attrici ed era stata costituita una servitù coattiva di “metanodotto” in favore del fondo delle stesse, ha affermato il seguente principio di diritto: «qualora non ricorrano le specifiche figure di servitù coattive previste dal codice civile, negli artt. da 1033 a 1057, ovvero da leggi speciali – e, nella specie, invocandosi una servitù di “metanodotto”, non legislativamente prevista, si rientrava in tale ipotesi -, non può essere invocata la disciplina dell’art. 1032 cod. civ. e seguenti, trattandosi di disposizioni speciali, non estensibili all’infuori dei casi espressamente considerati»;

 

che, ad avviso del giudice a quo, nella interpretazione imposta dalla Corte di cassazione, l’art. 1033 cod. civ. contrasterebbe, in primo luogo, con l’art. 3 della Costituzione, in quanto, essendo identici i “bisogni della vita” soddisfatti dall’acqua e dall’energia termica in genere, essendo le esigenze di fruizione dell’una e dell’altra egualmente diffuse nella popolazione, sussistendo identità di interesse pubblico tra la fruizione in massa dell’acqua corrente proveniente dal pubblico acquedotto e la fruizione del gas metano (energia pulita e meno costosa) attinto alla rete pubblica (meglio controllabile e più idonea, rispetto agli impianti autonomi, a garantire l’incolumità dei singoli), non essendo dissimili le opere necessarie alla conduzione dell’acqua e del gas metano, e non potendosi ormai ravvisare una maggiore pericolosità delle condutture del gas rispetto a quelle dell’acqua, attesa l’avanzata tecnologia e le specifiche prescrizioni legislative di sicurezza delle condutture del metano e dei relativi impianti, il fatto che siano diversamente tutelate le esigenze di approvvigionamento dell’acqua e del metano sarebbe lesivo del principio di eguaglianza;

 

che la medesima disposizione contrasterebbe altresì con l’art. 42, secondo comma, della Costituzione, giacché limiterebbe diversamente il diritto di proprietà dei singoli, rendendolo coercibile a fini di utilità sociale solo nel caso dell’acqua e non anche nel caso del metano.

 

Considerato che il remittente sollecita una pronuncia con la quale l’ambito di operatività dell’articolo 1033 del codice civile, che prevede la costituzione coattiva della servitù di acquedotto, sia esteso a comprendere la possibilità di costituire coattivamente la servitù di metanodotto;

 

che tale richiesta è formulata sulla base del rilievo che l’energia termica costituirebbe oggi un bisogno della vita al pari dell’acqua e della ritenuta insussistenza di qualsivoglia componente di maggior pericolosità nel trasporto attraverso condutture del gas metano rispetto al trasporto dell’acqua;

 

che le situazioni poste a raffronto dal giudice a quo non possono essere ritenute a tal punto omogenee da imporre, quale soluzione costituzionalmente obbligata, l’estensione della possibilità di costituire coattivamente anche la servitù di gasdotto;

 

che, infatti, pur tenendo conto, come invita a fare il remittente, del fatto che la distribuzione del gas metano tende ad intensificarsi sempre più, anche per la molteplicità degli impieghi di cui tale fonte di energia è suscettibile, vale ad escludere la prospettata identità di situazioni il rilievo che le utilità conseguibili dall’impiego del metano, a differenza di quelle connesse alla utilizzazione dell’acqua, possono essere acquisite anche con altre fonti di energia; sicché non appare irragionevole la valutazione che il legislatore ha compiuto allorché ha previsto la costituzione coattiva della servitù di acquedotto e non anche di metanodotto;

 

che alla affermazione di un diritto alla costituzione di servitù coattiva di metanodotto non può certo pervenirsi considerando questa quale soluzione necessitata derivante dalla scelta del legislatore di favorire la diffusione del gas metano;

 

che, se tale indirizzo legislativo non può essere negato, ed è anzi ravvisabile in molteplici atti normativi (v., in particolare, legge 29 settembre 1964, n. 847; legge 28 novembre 1980, n. 784, art. 11; decreto-legge 31 agosto 1987, n. 364, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 205, art. 3; decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164), da esso non è possibile desumere anche la scelta di un modello coercitivo nella disciplina dei rapporti tra fondi vicini che solo il legislatore potrebbe introdurre (come fece a coronamento di un programma di elettrificazione generalizzato del Paese) e che non può essere assunto da questa Corte come costituzionalmente vincolato proprio a causa dell’esistenza di fonti di energia alternative, di modalità tecniche di approvvigionamento del gas metano diverse dal trasporto attraverso condutture e, infine, della possibilità di giungere al medesimo risultato mediante atti di esercizio dell’autonomia privata;

 

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

Per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1033 del codice civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 42 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Milano, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2002.

 

Cesare RUPERTO, Presidente

 

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2002.