Sentenza n. 318/2002

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SENTENZA N.318

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                     Presidente

- Riccardo                     CHIEPPA                       Giudice

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                  "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Guido                         NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                         BILE                                       "

- Giovanni Maria          FLICK                                                "

- Francesco                    AMIRANTE                          "

- Ugo                             DE SIERVO                          "

- Romano                      VACCARELLA                    "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 62 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), promosso con ordinanza emessa il 30 gennaio 2001 dal Tribunale di Pesaro, sezione specializzata agraria, nel procedimento civile vertente tra Mari Rossana e Bacchiocchi Ino, iscritta al n. 296 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di costituzione di Mari Rossana;

udito nell’udienza pubblica del 21 maggio 2002 il Giudice relatore Annibale Marini;

udito l’avvocato Giulio Catelani per Mari Rossana.

Ritenuto in fatto

1.- Con ordinanza emessa e depositata il 30 gennaio 2001, il Tribunale di Pesaro, sezione specializzata agraria, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 62 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari).

Espone il rimettente che il giudizio a quo ha ad oggetto la domanda di fissazione del canone di affitto di un fondo agricolo in una misura maggiore di quella corrisposta dall’affittuario, con condanna di quest’ultimo al pagamento delle differenze a decorrere dall’annata agraria 1994/95. Tale domanda – secondo il medesimo rimettente - dovrebbe allo stato essere rigettata, in base al combinato disposto degli artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982, secondo cui per la determinazione del canone deve essere preso a base il reddito dominicale stabilito a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589 (Revisione generale degli estimi dei terreni), mentre risulterebbe meritevole di accoglimento nel caso in cui la proposta questione di legittimità costituzionale venisse accolta.

Ciò posto, secondo il giudice a quo, le norme impugnate sarebbero, innanzitutto, in contrasto con il principio di eguaglianza, in quanto – stante la possibilità, prevista dall’art. 45 della stessa legge, che le organizzazioni professionali agricole stipulino contratti collettivi in materia di contratti agrari (anche in deroga alle norme della medesima legge, ex art. 58) – situazioni omogenee risulterebbero diversamente disciplinate in dipendenza del fatto che esistano o meno, in ciascuna regione, siffatti contratti collettivi.

Le stesse norme – stabilendo che il canone vada calcolato sulla base del reddito dominicale e che il reddito dominicale da prendere in considerazione sia ancora quello stabilito con il regio decreto-legge n. 589 del 1939, nonostante l’intervenuta revisione degli estimi – violerebbero poi la garanzia costituzionale del diritto di proprietà, in quanto condurrebbero alla determinazione di canoni di affitto irrisori ed addirittura simbolici, impedendo altresì, in tal modo, l’instaurazione di equi rapporti sociali.

Precisa il rimettente di non ignorare che questa Corte, con sentenza n. 139 del 1984, ha dichiarato non fondata una analoga questione di legittimità costituzionale. Rileva, peraltro, che in quella stessa sentenza la Corte ebbe ad osservare che l’ulteriore protrarsi del ricorso ad un catasto vecchio di circa un cinquantennio non avrebbe potuto razionalmente giustificarsi e sottolinea come, nel frattempo, tali dati catastali abbiano ancor più perso idoneità a rappresentare le effettive caratteristiche dei terreni agricoli.

2.- Si è costituita in giudizio Rossana Mari, attrice nella causa pendente dinanzi al giudice rimettente, concludendo per l’accoglimento della questione sulla scorta di argomentazioni analoghe a quelle esposte nell’ordinanza di rimessione.

In particolare, la parte privata insiste perché, attraverso la caducazione dell’art. 62 della legge n. 203 del 1982, sia restituita alle parti "la facoltà di procedere alla contrattazione diretta del canone che sia conforme ai prezzi di mercato".

Considerato in diritto

  1.- Il Tribunale di Pesaro dubita, in riferimento agli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 9 e 62 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), in quanto prevedono un meccanismo di determinazione del canone di equo affitto ancora basato – nonostante l’intervenuta revisione degli estimi catastali - sul reddito dominicale stabilito a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589 (Revisione generale degli estimi dei terreni), convertito, con modificazioni, in legge 29 giugno 1939, n. 976.

Ad avviso del rimettente, la normativa impugnata si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, potendo essere derogata solamente mediante accordi collettivi tra organizzazioni professionali agricole, operanti su base regionale, con conseguente disparità di trattamento tra i proprietari di terreni situati nelle regioni ove siffatti accordi siano stati stipulati e i proprietari di terreni situati nelle altre regioni.

Le stesse norme, inoltre, violerebbero il criterio di ragionevolezza facendo riferimento a dati catastali ormai inidonei a rappresentare le caratteristiche effettive dei terreni e, comportando la fissazione di canoni di affitto irrisori, violerebbero anche la tutela costituzionale del diritto di proprietà e precluderebbero l’instaurazione di equi rapporti sociali.

2.- La questione è fondata, nei termini di seguito precisati.

3.- Il canone di equo affitto dei fondi rustici è individuato – secondo il sistema delineato dalle norme impugnate, in riferimento all’art. 3 della legge 10 dicembre 1973, n. 814 – mediante la moltiplicazione del reddito dominicale per coefficienti, determinati dalla commissione tecnica provinciale nelle apposite tabelle, compresi tra un minimo ed un massimo fissati, attualmente, dall’art. 9 della legge n. 203 del 1982.

In assenza delle suddette tabelle il canone è determinato, in via provvisoria, ai sensi dello stesso art. 9, comma quarto, moltiplicando il reddito dominicale per settanta.

Nell’uno e nell’altro caso il reddito dominicale di riferimento, secondo l’art. 62 della predetta legge n. 203 del 1982, è, "sino all’entrata in vigore di una nuova legge che disciplini la materia", quello stabilito a norma del regio decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito, con modificazioni, in legge 29 giugno 1939, n. 976, e ciò "ancorché intervenga la revisione degli estimi catastali".

Giova ricordare che le previgenti discipline del canone di equo affitto – pur esse basate sul reddito dominicale stabilito a norma del regio decreto-legge n. 589 del 1939 – furono colpite da declaratorie di illegittimità costituzionale, con sentenze n. 155 del 1972 e n. 153 del 1977, nella parte in cui prevedevano coefficienti di moltiplicazione del suddetto reddito dominicale assolutamente inadeguati ad assicurare una remunerazione non irrisoria del capitale fondiario.

Intervenuta, a seguito della seconda delle richiamate sentenze, la vigente legge n. 203 del 1982, questa Corte ritenne non fondate, con la sentenza n. 139 del 1984, le questioni di legittimità costituzionale sollevate, sotto i medesimi profili, riguardo all’art. 9 della suddetta legge, recante appunto i nuovi coefficienti, rilevando come il legislatore avesse questa volta inteso, "almeno in linea di tendenza", accogliere i rilievi da essa formulati nelle due precedenti sentenze, attenendosi così al dettato costituzionale, ed in particolare all’art. 44 della Costituzione, secondo il quale, relativamente alla proprietà terriera, la legge deve tendere all’obiettivo "di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali".

Nella medesima sentenza si riconosceva, tuttavia, l’esistenza, nel sistema, di "insufficienze e disarmonie", principalmente derivanti dal fatto che, a base della determinazione del canone, erano ancora presi in considerazione i dati catastali del 1939, i quali, per il lungo periodo trascorso, perdevano sempre più la idoneità a rappresentare le effettive caratteristiche dei terreni agricoli. Considerata la ormai imminente (all’epoca) entrata in vigore dei nuovi dati catastali, questa Corte avvertiva, pertanto, come non fosse razionalmente giustificabile l’ulteriore protrarsi del ricorso ad un catasto vecchio di circa un cinquantennio e la mancata utilizzazione di elementi che risultavano invece idonei a rappresentare la realtà attuale e quindi a porre i rapporti tra concedente e affittuario su un piano ad essa più rispondente.

Deve, a questo punto, rilevarsi che le modificazioni derivanti dalla prima revisione del catasto terreni del 1939, disposta con decreto ministeriale 13 dicembre 1979 (Revisione generale degli estimi dei terreni), cui si faceva riferimento nella sentenza n. 139 del 1984, hanno acquistato effetto a decorrere dal 1° gennaio 1988, in virtù dell’art. 4 del decreto-legge 4 agosto 1987, n. 326 (Disposizioni urgenti per la revisione delle aliquote dell’imposta sugli spettacoli per i settori sportivo e cinematografico, per assicurare la continuità della riscossione delle imposte dirette e dell’attività di alcuni uffici finanziari, per il rilascio dello scontrino fiscale, nonché norme per il differimento di termini in materia tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 3 ottobre 1987, n. 403, e che una ulteriore revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo, della qualificazione, della classificazione e del classamento dei terreni e dei relativi criteri è prevista dall’art. 3, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), come modificato dall’art. 26, comma 1, della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto).

Non è, invece, sin qui intervenuta la nuova disciplina della materia dei contratti agrari, pur espressamente prevista dall’art. 62, primo comma, della legge n. 203 del 1982.

  In tale situazione, il meccanismo di determinazione del canone di equo affitto di cui agli artt. 9 e 62 della legge n. 203 del 1982, basato sul reddito dominicale risultante dal catasto terreni del 1939, rivalutato in base a meri coefficienti di moltiplicazione, risulta privo, ormai, come già evidenziato da questa Corte, di qualsiasi razionale giustificazione, sia perché esistono dati catastali più recenti ed attendibili ai quali fare eventualmente riferimento sia perché in ogni caso, a distanza di oltre un sessantennio dal suo impianto, quel catasto ha perso qualsiasi idoneità a rappresentare le effettive e diverse caratteristiche dei terreni agricoli, cosicché non può sicuramente essere posto a base di una disciplina dei contratti agrari rispettosa della garanzia costituzionale della proprietà terriera privata e tale da soddisfare, nello stesso tempo, la finalità della instaurazione di equi rapporti sociali, imposta dall’art. 44 della Costituzione.

Esula, evidentemente, dai poteri di questa Corte la scelta di un diverso criterio di calcolo del canone di equo affitto, in quanto riservata per sua natura alla discrezionalità del legislatore, né può d’altro canto ipotizzarsi la caducazione del solo art. 62 della legge, contenente il rinvio al catasto del 1939, atteso che i coefficienti di moltiplicazione previsti dall’art. 9 sono stati individuati dal legislatore proprio in funzione della vetustà del catasto di riferimento, cosicché sarebbe del tutto ingiustificata la pura e semplice applicazione di quei coefficienti ai valori risultanti dalla più recente revisione degli estimi.

Va perciò dichiarata l’illegittimità costituzionale di entrambe le norme denunciate, restando assorbita ogni ulteriore censura sollevata dal rimettente.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 9 e 62 della legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° luglio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2002.