Ordinanza n. 289/2002

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ORDINANZA N.289

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

- Francesco AMIRANTE                   

- Ugo DE SIERVO                 

- Romano VACCARELLA                

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso, nell'ambito di un procedimento di sorveglianza, dal Tribunale di sorveglianza di Venezia con ordinanza del 2 ottobre 2001, iscritta al n. 972 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2002.

Visto l'atto di costituzione della parte privata nel procedimento a quo;

udito nell'udienza pubblica del 21 maggio 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

udito l'avvocato Annamaria Alborghetti per la parte privata.

Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), <<nella parte in cui estende il divieto di concessione dei benefici penitenziari a tutti i condannati nei cui confronti é stata disposta la revoca di una misura alternativa, anzichè limitare tale divieto ai soli condannati per uno dei delitti previsti nel comma 1 dell’art. 4-bis della stessa legge>>;

che il giudice a quo premette di essere investito del reclamo avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza con il quale era stata dichiarata inammissibile l’istanza di un condannato volta alla concessione di un permesso premio ex art. 30-ter dell'ordinamento penitenziario, preclusa dai commi 2 e 3 dell'art. 58-quater in quanto non erano ancora trascorsi tre anni dalla revoca della semilibertà disposta nei confronti dell’interessato;

che il rimettente ritiene che il divieto di concessione del lavoro all’esterno, dei permessi premio, dell’affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall’art. 47 dell’ordinamento penitenziario, della detenzione domiciliare e della semilibertà - stabilito dal comma 1 dell'art. 58-quater nei confronti dei condannati per uno dei delitti previsti nel comma 1 dell’art. 4-bis del medesimo ordinamento che hanno posto in essere una condotta punibile a norma dell’art. 385 del codice penale - operi, ove sia stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi degli artt. 47, comma 11, 47-ter, comma 6, o 51, primo comma, dell'ordinamento penitenziario, nei confronti dei condannati per qualsiasi delitto;

che, quanto alla rilevanza, il giudice a quo precisa che, <<ove la norma censurata non fosse riferibile anche ai condannati per delitti diversi da quelli indicati nel primo comma dell’art. 4-bis>>, l’istanza volta alla concessione del permesso premio sarebbe ammissibile, salvo la valutazione nel merito della stessa;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza, il rimettente espone le ragioni per le quali ritiene che la norma censurata non possa essere riferita ai soli condannati per i delitti di cui al comma 1 dell’art. 4-bis, rilevando che l'interpretazione a cui aderisce é largamente condivisa dalla giurisprudenza di legittimità e di merito;

che, esclusa la possibilità di poter pervenire ad una interpretazione adeguatrice tale da superare i dubbi di legittimità costituzionale, ad avviso del rimettente la disciplina censurata si porrebbe in contrasto:

- con l'art. 3 Cost., in quanto, operando il divieto contenuto nel comma 2 dell'art. 58-quater nei confronti della generalità dei condannati <<indipendentemente dal reato in esecuzione>>, per il solo fatto che sia stata disposta la revoca dei benefici dell’affidamento in prova, della detenzione domiciliare e della semilibertà, verrebbero assimilate situazioni eterogenee, in violazione del principio secondo cui a fronte di casi che esprimono diverse esigenze il legislatore non può dettare una disciplina uniforme, tanto più quando si incide <<su valori costituzionali, come la libertà personale e la funzione rieducativa della pena>>;

- con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto il divieto di concessione dei benefici stabilito nell'art. 58-quater, comma 2, contraddice irragionevolmente il sistema di divieti basato sulla tipizzazione per titoli di reato che ispira tutte le altre ipotesi disciplinate dall’art. 58-quater, pregiudicando la finalità rieducativa della pena in tutti i casi in cui, per la lieve entità del fatto sanzionato, non sussistono esigenze di prevenzione generale e di tutela della sicurezza collettiva;

- con l'art. 27, terzo comma, Cost., in quanto la <<assoluta rigidità>> della disciplina censurata, che impone al magistrato di sorveglianza, senza consentirgli alcuna valutazione, di dichiarare inammissibile l’istanza qualora accerti che nel triennio precedente é stata revocata una misura alternativa, indipendentemente dalla condotta che é alla base del provvedimento, preclude l’accesso anche a misure diverse da quella per la quale é stata disposta la revoca, e si traduce per i condannati a pene detentive brevi nella impossibilità di fruire nuovamente dei benefici;

che ad avviso del rimettente il divieto dovrebbe operare solo nei confronti dei condannati per i delitti di cui al comma 1 dell’art. 4-bis, per i quali <<il meccanismo dell’art. 58-quater, comma 2, non potrebbe dirsi incostituzionale, perchè esso si innesta su una valutazione compiuta direttamente dal legislatore con riguardo ad una tipologia determinata di reati precisamente individuati, valutazione che la stessa Corte costituzionale non ha mai ritenuto illegittima>>;

che nel giudizio si é costituita la parte privata nel procedimento a quo, rappresentata e difesa dall’avv. Annamaria Alborghetti, chiedendo l’accoglimento della questione sollevata, o, in alternativa, un rigetto interpretativo;

che la parte privata, sviluppando le censure prospettate dal rimettente, rileva in particolare, con riferimento all'art. 3 Cost., che la norma censurata parifica, quanto a presupposti e durata, il divieto di concessione dei benefici rispetto a categorie di condannati del tutto eterogenee, irragionevolmente derogando, proprio a sfavore di soggetti condannati per reati espressivi di minore disvalore sociale, alla logica del "doppio binario", che é invece alla base della scelta legislativa di prevedere un regime differenziato di esecuzione della pena nei confronti di condannati per i delitti previsti nel comma 1 dell’art. 4-bis;

che, con riferimento all’art. 27 Cost., la parte privata, richiamandosi a numerose decisioni della Corte costituzionale, rileva che il divieto sancito nel comma 2 dell’art. 58-quater si traduce in una <<presunzione assoluta triennale di non rieducabilità>>, in contrasto con il principio della finalità rieducativa della pena;

che, infine, quanto al presupposto interpretativo da cui muove il rimettente circa l'applicabilità della norma censurata alla generalità dei condannati, la parte privata - premesso che non si é formato un diritto vivente nel senso indicato dal giudice a quo - rileva, sulla base di argomentazioni di carattere letterale e sistematico e dell'iter parlamentare relativo all'art. 58-quater, come non sia preclusa una interpretazione adeguatrice conforme a Costituzione;

che nella pubblica udienza il difensore della parte privata ha insistito per l'accoglimento della questione, precisando che per rendere conforme a Costituzione la disciplina censurata sarebbe sufficiente attribuire al magistrato di sorveglianza il potere di operare una valutazione in concreto, eliminando l'automatismo del divieto di concessione delle misure alternative in ogni caso di revoca di precedente misura.

Considerato che il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell'art. 58-quater, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede che il divieto di concessione dei benefici penitenziari di cui al comma 1 si applica a tutti i condannati nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi degli artt. 47, comma 11, 47-ter, comma 6, o 51, primo comma, dell’ordinamento penitenziario, anzichè ai soli condannati per uno dei delitti indicati dall'art. 4-bis, comma 1, del medesimo ordinamento;

che la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto il divieto triennale di concessione dei benefici penitenziari previsto dai commi 2 e 3 dell'art. 58-quater si applica ai condannati per qualsiasi reato, in contrasto con la logica che sorregge il sistema delle altre ipotesi di divieto di concessione delle misure previste dalla norma in esame, basata sulla individuazione, quale presupposto della disciplina impeditiva, di determinate categorie di reati di particolare gravità, ed opera in via assoluta ed automatica, a prescindere dalla condotta che ha determinato la revoca della misura alternativa e dal beneficio penitenziario successivamente richiesto;

che il rimettente chiede a questa Corte una pronuncia che, alla stregua di quanto previsto nel comma 1 dell’art. 58-quater, circoscriva la sfera di applicazione del divieto stabilito nel comma 2 ai condannati per i reati previsti dall'art. 4-bis, comma 1, dell'ordinamento penitenziario, in quanto solo nei confronti di tali soggetti il divieto troverebbe ragione nella scelta, già operata in via generale dal legislatore, di prevedere una disciplina differenziata di concessione e revoca dei benefici in relazione a determinate categorie di reati;

che, nei termini in cui é posta, la questione, volta ad ottenere una radicale trasformazione della disciplina censurata, é manifestamente infondata;

che diversi sono infatti i presupposti cui é collegato nel comma 1 e nel comma 2 dell’art. 58-quater il divieto di concessione del lavoro all’esterno, dei permessi premio, dell’affidamento in prova al servizio sociale, della detenzione domiciliare e della semilibertà, in quanto nel comma 1 il divieto consegue ad una condotta punibile a titolo di evasione, mentre nel comma 2 la preclusione trova la sua causa nella revoca di precedenti benefici disposta a seguito dell'accertamento di un comportamento ritenuto incompatibile con la prosecuzione della misura a norma degli artt. 47, comma 11, 47-ter, comma 6, e 51, primo comma, dell'ordinamento penitenziario;

che, come emerge anche dalle disposizioni di cui ai successivi commi dell’art. 58-quater, il legislatore ha operato scelte articolate e differenziate nel definire la natura e la durata delle varie ipotesi di preclusione e nel modularle in relazione a determinate categorie di reati - anche all'interno di quelli contemplati nel comma 1 dell'art. 4-bis - e alla tipologia dei benefici;

che una meccanica trasposizione nel comma 2 dell’art. 58-quater della categoria dei delitti indicati nel comma 1 si risolverebbe pertanto in un intervento della Corte del tutto arbitrario all’interno di una disciplina complessiva che si propone di contemperare le peculiari esigenze che sottostanno alla concessione, ai divieti di concessione e alla revoca delle misure alternative alla detenzione e degli altri istituti contemplati nel medesimo articolo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 58-quater, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Venezia, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2002.