Ordinanza n. 285/2002

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ORDINANZA N.285

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 17 luglio 2001 dalla Corte di appello di Torino nel procedimento penale a carico di M.S.F., iscritta al numero 801 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2001.

  Visti gli atti di costituzione della S.I.A.E. e della Buena Vista Home Entertainment s.r.l. nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 10 aprile 2002 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con ordinanza emessa il 17 luglio 2001, la Corte di appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 101 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 2, del codice di procedura penale, in quanto "pur (se) letto alla luce della sentenza" n. 10 del 1997 di questa Corte, il disposto normativo in questione "comporta per il giudice ricusato il divieto di ogni sorta di delibazione anche di fronte alla reiterazione di istanza di ricusazione che appaia ictu oculi palesemente inammissibile ed infondata";

che, a parere del giudice a quo, dalla disciplina impugnata deriverebbe una ingiustificata lesione dei principi di uguaglianza, di obbligatorietà dell’esercizio della azione penale e di efficienza del processo, principio, quest’ultimo, che il rimettente ritiene di poter desumere dall’art. 101 Cost., in quanto "se si consente all’imputato di condizionare l’esercizio della giurisdizione mediante istanze di ricusazione di contenuto dilatorio, si sottrae il giudice all’esclusiva soggezione alla legge";

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi inammissibile o comunque non fondata la questione;

che nel giudizio hanno altresì spiegato atto di costituzione le parti civili, chiedendo dichiararsi la illegittimità costituzionale della norma impugnata.

Considerato che il giudice a quo, nel prospettare il dubbio di legittimità costituzionale, ha articolato il relativo quesito in termini del tutto generici, omettendo di descrivere compiutamente la fattispecie sottoposta al suo giudizio e limitandosi ad un semplice accenno – in punto di rilevanza – alla circostanza che nel corso della udienza di discussione sarebbe stata proposta "una seconda istanza di ricusazione dopo quella presentata nella precedente udienza e dichiarata inammissibile...", senza alcuna indicazione circa la eventuale novità o meno dei motivi e della relativa pretestuosità; omissioni, quelle segnalate, che si traducono, pertanto, in un evidente difetto di motivazione sulla rilevanza;

che l’indicata carenza traspare ancor di più alla luce di quanto questa Corte ha avuto modo di precisare nella giurisprudenza più recente – del tutto trascurata dal giudice a quo – essendosi in più occasioni affermato che "in base alla sentenza n. 10 del 1997, non si fa più divieto al giudice di pronunciare la sentenza prima dell’ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione, ove l’istanza venga riproposta sulla base degli stessi elementi intesi sia in senso formale che materiale (vale a dire, con l’utilizzazione di argomenti speciosi che, privi di serio raccordo con la realtà fattuale, dimostrino la loro totale inconsistenza e vacuità)" (v. ordinanze n. 466 del 1998 e n. 366 del 1999);

che la questione proposta deve quindi essere dichiarata manifestamente inammissibile (v., ex plurimis, ordinanza n. 8 del 2002).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 101 della Costituzione, dalla Corte di appello di Torino con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2002.