Sentenza n. 236/2002

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SENTENZA N. 236

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

- Francesco AMIRANTE                   

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 148, terzo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 22 novembre 2000 dal Tribunale di Firenze nel procedimento civile Di Grazia Giovanna contro Conservatoria dei registri immobiliari di Firenze ed altra, iscritta al n. 168 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2001.

  Visti l’atto di costituzione di Di Grazia Giovanna nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2002 il Giudice relatore Fernanda Contri;

  uditi l’avvocato Maria Luisa Casotti Cantatore per Di Grazia Giovanna e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Firenze, con ordinanza emessa il 22 novembre 2000, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 30 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 148, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il decreto ivi contemplato costituisca titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, ai sensi dell’art. 2818 cod. civ.

Il Tribunale premette di essere investito del reclamo avverso l’iscrizione di ipoteca giudiziale eseguita con riserva dal Conservatore dei registri immobiliari, poichè il decreto emesso ai sensi dell’art. 148 cod. civ., pur costituendo titolo esecutivo, non é compreso tra le tassative ipotesi che consentono l’iscrizione ipotecaria.

Il rimettente, dopo aver richiamato, a conferma del principio di tassatività delle ipotesi di iscrizione dell’ipoteca giudiziale, la sentenza n. 186 del 1988, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 158 cod. civ., in quanto non prevedeva, tra i titoli per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, il decreto di omologazione della separazione consensuale, afferma che la stessa Corte non ha ritenuto sussistere una necessaria implicazione tra titolo esecutivo e titolo per iscrizione ipotecaria, come risulta dall’ordinanza n. 357 del 2000, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 186-quater cod. proc. civ., nella parte in cui non prevede che l’ordinanza ivi contemplata costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Sostiene il rimettente che gli argomenti espressi in tale ordinanza, e, precisamente, la diversità strutturale e funzionale delle previsioni normative poste a raffronto e l’ampia potestà discrezionale del legislatore sia nella conformazione degli istituti processuali che nella differenziazione delle condizioni di accesso all’esecuzione forzata nei vari tipi di giudizi, non potrebbero invocarsi nella fattispecie, nella quale il tertium comparationis é rappresentato dal combinato disposto degli artt. 642 e 655 cod. proc. civ.

Infatti, sotto il profilo processuale, il decreto previsto dall’art. 148 cod. proc. civ. presenta struttura analoga a quella del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, anche in relazione alle modalità di opposizione; la norma si porrebbe perciò in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Sotto il profilo sostanziale, l’art. 148 cod. civ. é una norma di tutela dei soggetti deboli, analogamente ai provvedimenti previsti dagli artt. 156 e 158 cod. civ. e dall’art. 8 della legge n. 898 del 1970, e pertanto vi sarebbe un contrasto con l’art. 30 della Costituzione.

2. – Nel giudizio innanzi alla Corte costituzionale si é costituita la reclamante del giudizio a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile, ovvero, in subordine, che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della impugnata norma.

La detta parte pone anzitutto a confronto il procedimento previsto dall’art. 148 cod. civ. con quello monitorio, e, dopo averne illustrato i tratti comuni, conclude che il decreto di cui all’art. 148 cod. civ. é in realtà un decreto ingiuntivo, il quale, al pari di quest’ultimo, é titolo idoneo all’iscrizione di ipoteca giudiziale. La questione sarebbe quindi inammissibile, poichè il giudice a quo avrebbe dovuto interpretare la norma nel senso costituzionale, considerando il decreto compreso tra i provvedimenti indicati dal secondo comma dell’art. 2818 cod. civ., che consentono l’iscrizione ipotecaria.

Nel merito, si osserva che il creditore sarebbe privo di ogni tutela se non avesse la possibilità di conservare la garanzia offerta dal patrimonio del debitore, poichè questi potrebbe distrarre i propri beni in danno dei minori.

La difesa della reclamante sottolinea infine che la norma impugnata tutela interessi di rilevanza costituzionale e che il perseguimento del preminente interesse del minore postula l’effettiva tutela giurisdizionale dei diritti di cui il medesimo é titolare.

3. – E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile ovvero infondata.

La difesa erariale osserva che il decreto in esame non é confrontabile con gli altri provvedimenti idonei all’iscrizione di ipoteca, i quali sono caratterizzati dall’essere conclusivi di un giudizio, ancorchè emessi con la clausola rebus sic stantibus.

Il criterio di ragionevolezza non sembra quindi violato, in quanto la diversa scelta del legislatore si giustifica in relazione alla differente natura dei provvedimenti.

Ad avviso dell’Avvocatura, deve infine osservarsi che il coniuge beneficiario del provvedimento emesso ai sensi dell’art. 148 cod. civ. ha comunque la possibilità di assicurarsi la garanzia patrimoniale dell’obbligato, mediante il ricorso agli altri mezzi di tutela cautelare, conservativi delle garanzie patrimoniali.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Firenze lamenta l’illegittimità costituzionale dell’art. 148, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il decreto ivi contemplato costituisca titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale; tale norma, ad avviso del giudice rimettente, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto il decreto previsto dall’art. 148 cod. proc. civ., pur presentando struttura analoga a quella del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, anche in relazione alle modalità di opposizione, non consente tuttavia l’iscrizione di ipoteca; ed inoltre con l’art. 30 della Costituzione, poichè l’art. 148 cod. civ. é una norma di tutela dei soggetti deboli, analogamente ai provvedimenti previsti dagli artt. 156 e 158 cod. civ. e dall’art. 8 della legge n. 898 del 1970, in base ai quali però può iscriversi ipoteca giudiziale.

2. – La questione é infondata, nei sensi di seguito precisati.

L’art. 148 del codice civile é una norma composita, la quale contiene disposizioni di natura sostanziale e al tempo stesso di carattere processuale, tutte finalizzate all’attuazione dei principi enunciati dall’art. 30 della Costituzione. Mentre il primo periodo del primo comma della norma in esame specifica le modalità del concorso dei coniugi all’adempimento dell’obbligo di mantenimento dei figli, già posto dal precedente art. 147, il secondo periodo dello stesso comma, con una previsione del tutto peculiare, estende l’ambito soggettivo degli obbligati, ponendo a carico di altri ascendenti il particolare obbligo di fornire ai genitori, che ne siano privi, i mezzi necessari affinchè questi stessi possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.

Le statuizioni contenute nei successivi commi apprestano un efficace rimedio all’ipotesi di inadempimento, consentendo che attraverso l’agile strumento del decreto, adottato con l’audizione dell’inadempiente e sulla base di informazioni, si ottenga il risultato del versamento diretto di una quota dei redditi dell’obbligato al coniuge o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole.

La genericità delle espressioni contenute nell’anzidetta disposizione, dove non é indicato se il soggetto che viene meno ai propri obblighi sia il genitore o l’ascendente, essendo menzionato solo l’inadempiente e l’obbligato, ha consentito alla giurisprudenza un’applicazione estensiva, confermata anche in sede di giudizio di legittimità. La norma é stata infatti utilizzata sia come mero strumento di distrazione dei redditi, mediante il trasferimento coatto del credito attuato con l’ordine al terzo debitore dell’obbligato di versare quanto dovuto direttamente all’altro coniuge o a chi sopporta le spese di mantenimento, sia per ottenere la condanna del coniuge o degli ascendenti al pagamento delle somme necessarie al mantenimento dei minori, indipendentemente dalla esistenza di crediti verso terzi, come si é verificato nella fattispecie che ha dato luogo al giudizio a quo.

Poichè la ratio della norma é unicamente quella di assicurare alla prole con la dovuta celerità i mezzi necessari al suo mantenimento, il predetto fine può essere raggiunto mediante le due indicate modalità, una volta individuati i soggetti obbligati; occorre peraltro tener distinte le modalità attuative del citato obbligo, diverse essendo le conseguenze, che riguardano le garanzie patrimoniali, del decreto recante l’ordine di distrazione dei redditi rispetto a quello di condanna dell’obbligato.

2.1 – Nell’ipotesi esplicitamente prevista dal secondo comma dell’art. 148 cod. civ., assimilabile, quanto agli effetti, all’espropriazione presso terzi, il decreto é pronunciato nei confronti dell’obbligato e del terzo debitore di questo, al quale terzo si ingiunge di versare ad un altro soggetto una quota dei redditi dell’obbligato; il decreto costituisce titolo esecutivo ed é opponibile dalle parti e dal terzo nei venti giorni dalla notifica.

La estraneità del terzo, destinatario unicamente dell’ordine di distrazione delle somme, agli obblighi familiari ed inoltre la totale estraneità di esso al medesimo procedimento, cui nemmeno é chiamato a partecipare, comporta la logica conseguenza che il decreto costituisce titolo esecutivo ma non é idoneo all’iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni del terzo. Nel caso in cui il terzo non adempia all’obbligo di pagamento, non v’é dubbio che la parte che ha ottenuto il decreto può agire direttamente contro questo in via esecutiva, essendo già contenuta nel decreto l’assegnazione del credito; ma non potrebbe mai consentirsi la iscrizione dell’ipoteca giudiziale, ancorchè a garanzia del primario credito di mantenimento di minori, su beni di un soggetto diverso dal debitore ed a seguito di un procedimento di cui il medesimo non é parte.

Con riguardo all’ipotesi sopra illustrata, del tutto ragionevolmente perciò l’art. 148 cod. civ. richiama le sole norme del procedimento monitorio che regolano l’opposizione a decreto ingiuntivo e non l’art. 655 cod. proc. civ., che consente l’iscrizione di ipoteca giudiziale, la cui applicazione nella specie é da escludere.

2.2 – Diversa é invece l’ipotesi in cui il decreto sia pronunciato nei soli confronti dell’obbligato, sia esso il genitore o l’ascendente, affinchè versi le somme destinate al mantenimento della prole.

In questo caso si instaura un procedimento del tutto analogo a quello monitorio anche nella successiva fase dell’opposizione.

L’unica rilevante diversità tra i due procedimenti, del resto determinata dalle differenti regole di accertamento del credito, risiede nel regime probatorio; mentre per la pronuncia del decreto ingiuntivo é necessaria la prova scritta del credito, data l’assenza in questa fase di ogni forma di contraddittorio, nel procedimento previsto dall’art. 148 cod. civ. é sufficiente invece la mera verifica dell’inadempimento del genitore obbligato, non richiedendosi prove dell’esistenza del credito, che deriva dal rapporto di filiazione; onde la necessità, solo in questo giudizio e non in quello monitorio, dell’audizione dell’inadempiente.

Ad eccezione della diversità di disciplina relativa alla prova del credito, per il resto i due procedimenti sono del tutto assimilabili fra loro, sia nella forma che negli effetti; il provvedimento pronunciato ai sensi dell’art. 148 cod. civ. nei confronti del solo obbligato inadempiente é un decreto ingiuntivo esecutivo ex lege, che, in quanto tale, costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, in applicazione dell’art. 655 cod. proc. civ.

Il giudice a quo erra quindi nel ritenere che il decreto contenente l’ingiunzione di pagamento nei confronti dell’obbligato inadempiente non segua le regole proprie del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e non sia perciò titolo idoneo all’iscrizione di ipoteca giudiziale; la norma impugnata si sottrae alle denunciate censure proprio perchè nell’ipotesi appena indicata si instaura un procedimento monitorio a regime probatorio semplificato, che soggiace alla disciplina propria di questo consentendo che il provvedimento così emesso costituisca titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 148, terzo comma, del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 30 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2002.