Sentenza n. 133 del 2002

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 133

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto 23 dicembre 1997 emanato dal Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, recante "Modalità di attuazione delle riserve all'erario dal 1° gennaio 1997 del gettito derivante dagli interventi in materia di entrate finanziarie della Regione Sicilia, emanati dal 1992", promosso con ricorso della Regione Siciliana, notificato il 15 maggio 1998, depositato in cancelleria il 23 successivo, ed iscritto al n. 13 del registro conflitti 1998.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2002 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi l’avvocato Giovanni Carapezza Figlia per la Regione Siciliana e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 15 maggio 1998 e depositato il 23 maggio 1998 la Regione Siciliana ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento al decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, del 23 dicembre 1997 (Modalità di attuazione delle riserve all'erario dal 1° gennaio 1997 del gettito derivante dagli interventi in materia di entrate finanziarie della Regione Sicilia, emanati dal 1992), ritenendolo lesivo delle attribuzioni regionali in materia finanziaria di cui all’art. 36 dello statuto speciale e all’art. 2 delle relative norme di attuazione approvate con d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, e ne ha chiesto l’annullamento, previa sospensione ai sensi dell’art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87, "nella parte in cui sottrae alla Regione Siciliana, con effetto dal 1° gennaio 1997, quote di gettito tributario arbitrariamente incluse tra le nuove entrate riservate all’erario statale, in forza dei provvedimenti normativi di cui il decreto censurato costituisce attuazione".

Secondo la Regione Siciliana, l’impugnato decreto estenderebbe indebitamente le previsioni normative alla cui attuazione esso é inteso, e relative alla riserva a favore dell’erario statale delle nuove entrate derivanti da numerosi provvedimenti legislativi succedutisi dal 1992 al 1997, e interpreterebbe dette previsioni in modo contrastante con lo statuto e le norme di attuazione, sottraendo così alla Regione medesima quote di gettito tributario ad essa spettanti. In particolare, le previsioni in esso contenute si fonderebbero esclusivamente sulle risultanze delle relazioni tecniche di accompagnamento dei provvedimenti legislativi, applicate automaticamente, senza considerare "se in effetti dai provvedimenti legislativi considerati derivi un maggior gettito per le casse regionali, se esso possa configurare una nuova entrata tributaria riservabile allo Stato, e se infine le norme sostanziali di riferimento siano tuttora vigenti e pertanto produttive di effetti".

In riferimento alla riserva disposta dall’art. 13 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, la Regione nota che tale articolo ha riservato all’erario statale le entrate derivanti dagli articoli da 8 a 14 del decreto n. 384 stesso, ma che l’art. 3, comma 6, del successivo decreto legge 31 maggio 1994, n. 330 (Semplificazione di talune disposizioni in materia tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 luglio 1994, n. 473, ridisciplinando la materia delle detrazioni d’imposta, ha abrogato i commi 1 e 2 dell’art. 10 del primo decreto, senza più riaffermare la riserva allo Stato: ne deriverebbe che il decreto ministeriale impugnato non avrebbe dovuto calcolare la maggiore entrata derivante dal disposto dell’art. 10, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992 per gli anni d’imposta successivi all’abrogazione dello stesso articolo.

Sempre in riferimento al maggior gettito derivante dall’art. 13 del d.l. n. 384 del 1992, la Regione ritiene che il decreto impugnato non avrebbe dovuto tenere in considerazione il maggior gettito conseguente all’indeducibilità dell’ILOR, disposta dall’art. 10, comma 3, dello stesso decreto, quanto meno a partire dal periodo d’imposta in corso al 1° gennaio 1998, in considerazione dell’avvenuta integrale soppressione dell’ILOR (a seguito dell’istituzione dell’IRAP ad opera del d.lgs 15 dicembre 1997, n. 446); e ciò a prescindere dalla considerazione che, comunque, a seguito dell’istituzione dell’ICI, e in base all’art. 17, comma 4, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che aveva già escluso dall’ILOR alcune categorie di redditi, le quantificazioni operate in sede di relazione tecnica allegata al d.l. n. 384, su cui l’impugnato decreto si fonderebbe integralmente, avrebbero dovuto essere opportunamente corrette.

In riferimento alle disposizioni contenute nei decreti legge 22 maggio 1993, n. 155 (Misure urgenti per la finanza pubblica), 30 dicembre 1993, n. 557 (Ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l’anno 1994), 23 febbraio 1995, n. 41 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l’occupazione nelle aree depresse), 30 dicembre 1995, n. 565 (Misure di completamento della manovra di finanza pubblica), e nella legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), la Regione afferma che il maggior gettito derivante dall’aumento delle entrate a titolo di IVA in conseguenza della modificazione delle accise su determinati prodotti, in particolare petroliferi, non costituirebbe "nuova entrata" riservabile allo Stato. Nè in senso contrario potrebbero deporre, in mancanza di una espressa riserva allo Stato e di una apposita clausola di destinazione delle entrate a particolari finalità statali, le relazioni tecniche di accompagnamento dei vari provvedimenti normativi. Anche in relazione a quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, inoltre, dovrebbe ritenersi escluso da ogni possibile riserva allo Stato il maggior gettito derivante dall’ampliamento della base imponibile di un tributo spettante alla Regione.

In riferimento alle maggiori entrate derivanti dalla riserva disposta dall’art. 47 del d.l. n. 41 del 1995, nel testo risultante dalla legge di conversione 22 marzo 1995, n. 85, la Regione nota che l’art. 12 di tale decreto riguarda l’IVA all’importazione (cap. 1203, art. 2), che é già di integrale spettanza dello Stato, e dunque sarebbe erroneo tenere conto di tale disposizione nel cap. 1203, art. 1, che riguarda l’IVA interna, di spettanza regionale. L’art. 16-bis, invece, prevede misure antielusive, al fine di assicurare il corretto adempimento degli obblighi tributari dei contribuenti, e il considerare riservato allo Stato il conseguente gettito equivarrebbe ad operare una sostituzione di una imposta spettante alla Regione con una nuova fattispecie assegnata allo Stato, in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, che avrebbe affermato l’impossibilità per lo Stato di riservare a sè l’intero gettito di una imposta chiaramente sostitutiva, quando il relativo tributo non é di sua esclusiva spettanza.

In riferimento alla circostanza che il decreto impugnato prescrive i prelievi a fini di riserva attraverso percentuali (indici di incidenza) applicate alla riscossione, ignorando il necessario momento della preventiva liquidazione delle spettanze erariali in valori assoluti e lasciando tale compito esclusivamente agli incaricati della riscossione, la Regione osserva che tali soggetti, considerato che si deve procedere al recupero delle quote dovute dalla Regione per il 1997, non potrebbero avere singolarmente la consapevolezza del raggiunto limite globale di devoluzione, anche perchè, dovendosi provvedere a detrarre le somme già affluite all’erario secondo quote di spettanza, le relative determinazioni dovrebbero essere effettuate dall’amministrazione finanziaria statale.

Infine, la Regione precisa che non potrebbe applicarsi, al fine di correggere gli eventuali errori di quantificazione, il conguaglio - da effettuarsi peraltro sulla base di modalità stabilite unilateralmente dallo Stato - previsto dal decreto impugnato (art. 4, comma 3): tale strumento, infatti, non potrebbe essere utilizzato per modificare percentuali di incidenza errate ab origine, e calcolate aprioristicamente e in taluni casi illegittimamente, sulla base delle originarie previsioni di incremento di imposta.

2.– Si é costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che siano rigettati il ricorso e l’istanza di sospensione.

In relazione alla prima censura, l’Avvocatura afferma di non comprendere il nesso tra il d.l. n. 384 del 1992, che riguarda un’imposta straordinaria, e l’art. 10 del testo unico delle imposte sui redditi; ma osserva comunque che la riserva originaria riferita all’art. 10 del testo unico sopravviverebbe alle modificazioni del medesimo.

Quanto alla seconda censura, l’Avvocatura afferma che il decreto impugnato riguarda gettiti realizzati e non gettiti futuri, e che dunque la Regione non avrebbe nulla da temere se, a seguito della soppressione dell’ILOR, l’entrata é inesistente.

Quanto alla terza censura, la difesa erariale sostiene che l’aumento delle entrate a titolo di IVA in conseguenza della modificazione delle accise su alcuni prodotti é un "effetto indiretto ricomprensibile sulla previsione normativa preesistente".

Quanto alla quarta censura, afferma che l’IVA all’importazione é di spettanza erariale, e che le norme antielusive fanno realizzare un maggior gettito che potrebbe essere riservato allo Stato.

Quanto alla quinta censura, secondo la difesa statale la determinazione in concreto della misura della riserva dovrebbe necessariamente farsi mediante indici di incidenza sulle riscossioni; quanto infine alla circostanza che il previsto conguaglio non possa essere utilizzato per correggere la determinazione originaria delle percentuali di incidenza, questo rilievo non potrebbe dare luogo a conflitto di attribuzione.

3.– In prossimità dell’udienza pubblica del 7 marzo 2000 hanno depositato memorie sia la Regione ricorrente sia il Presidente del Consiglio dei ministri.

La Regione, innanzitutto, dichiara di voler dimostrare l’iniquità del sistema di calcolo, e mettere in evidenza gli effetti distorsivi prodotti a carico della finanza regionale dall’atto impugnato, nonchè il venir meno dei fondamenti giuridico-economici sui quali il medesimo decreto appare basarsi alla luce delle successive evoluzioni della finanza statale: circostanze, queste ultime, che assumerebbero particolare rilevanza con riferimento alle disposizioni del decreto in cui si statuisce la costanza degli effetti per un ambito temporale illimitato, in quanto l’automatica applicazione, alla quota di gettito tributario riscosso in Sicilia, delle percentuali di incremento del gettito nazionale derivanti dalle manovre finanziarie considerate nelle premesse del decreto censurato, e nelle tabelle allegate allo stesso, apparirebbe posta in essere sulla base di una presunta oggettività ed attendibilità delle previsioni di incremento, senza peraltro alcuna dimostrazione della congruità delle previsioni stesse.

A tal fine, la Regione illustra alcune delle tabelle allegate alla memoria. In particolare, le tabelle A e B (contenenti il confronto della crescita del prodotto interno lordo nazionale e siciliano, attraverso percentuali globali e pro capite) e le tabelle C e D (contenenti il raffronto dell’andamento delle entrate tributarie della Regione siciliana e dello Stato) dimostrerebbero che sarebbe erroneo lo stesso presupposto – l’uniforme composizione della base imponibile – su cui si basa il calcolo del maggior gettito d’imposta da riservarsi all’erario statale, effettuato attraverso la proiezione su base regionale dell’incremento percentuale delle entrate previsto su base nazionale. Infatti, le variazioni del gettito dello Stato e della Regione risulterebbero non soltanto non omogenee nell’entità, ma addirittura discordanti nel segno, con ciò dimostrando che le composizioni reddituali, e le connesse variabili, determinanti l’andamento delle entrate regionali, sarebbero assolutamente diverse da quelle nazionali. Inoltre, dalla tabella E emergerebbe che l’obbligo del versamento allo Stato di una percentuale dei tributi riscossi sul territorio regionale non viene meno neppure qualora nel bilancio regionale si sia verificato un decremento del gettito.

Ancora, le disposizioni del decreto impugnato si fonderebbero sul presupposto, erroneo e indimostrato, che a fronte delle disposizioni legislative cui si intende dare attuazione si sia prodotto un incremento di gettito, qualificabile come nuova entrata, e come tale riservabile all’erario: mentre, al contrario, si sarebbero verificati casi di riserva allo Stato anche in presenza di una riduzione del gettito a livello nazionale (ad esempio, nell’anno 1998 in ordine all’IRPEG - cap. 1024 - si era previsto un maggior gettito di lire 7.345 miliardi, poi smentito dal rendiconto generale dello Stato per lo stesso 1998, che registrerebbe, al contrario, una minore entrata per lire 2.415 miliardi).

La tabella C bis, inoltre, dimostrerebbe la progressiva erosione delle risorse regionali, che nel periodo 1992/97 si sarebbero ridotte – in termini reali – del 4,6%, a fronte di un incremento delle entrate statali dell’8%: la crescita nominale delle entrate regionali, dunque, non sarebbe stata neppure sufficiente a coprire la perdita di valore legata all’inflazione.

La Regione ricorda infine che ogni clausola legislativa di riserva di nuove entrate allo Stato era originariamente supportata da una particolare finalità, solitamente individuata dalle leggi stesse nell’emergenza finanziaria connessa alla esigenza di copertura degli oneri del debito pubblico e agli impegni comunitari. Ora, invece, le esigenze connesse all’emergenza finanziaria sarebbero venute meno, tanto da consentire una diminuzione della pressione fiscale, e una cessazione – o almeno un rilevantissimo abbattimento – degli incrementi di gettito presupposti dal decreto impugnato almeno per gli anni finanziari 2000 e seguenti in forza degli effetti finanziari della legge n. 488 del 1999; non sarebbe quindi legittimo tenere conto delle maggiori entrate derivanti da provvedimenti nazionali per riservare il gettito all’erario statale, e non considerare viceversa gli effetti di altri provvedimenti che determinino di contro una riduzione del gettito derivante dai medesimi tributi considerati. In tal modo, invero, la Regioneverrebbe penalizzata due volte, poichè da un lato continuerebbe ad essere soggetta alle considerate clausole di riserva – per un tempo indefinito a meno che non intervenga una disposizione legislativa che abroghi le relative previsioni –, e dall’altro sopporterebbe una erosione del proprio gettito tributario a causa del decremento della pressione tributaria.

Le relazioni tecniche di accompagnamento delle leggi che contengono la clausola di riserva allo Stato, a cui il decreto impugnato farebbe esclusivo riferimento, sarebbero dunque, nella migliore delle ipotesi, da ritenere esaustive solo in relazione a limitati ambiti temporali, essendo le innumerevoli variabili destinate ad incidere nella formazione della base imponibile dei vari tributi imponderabili e non identificabili nella loro essenza, oltrechè negli effetti e nella consistenza, se non per lassi temporali estremamente ristretti. Il conguaglio, previsto in via eventuale dall’art. 4, comma 3, del decreto impugnato sarebbe utilizzabile, al fine di correggere le percentuali fissate, solo in dipendenza dei dati globali e definitivi risultanti dal rendiconto generale dello Stato per gli anni di riferimento: ma i dati consuntivi non sarebbero in grado di evidenziare le variazioni che si assume si siano verificate in forza dell’incremento o decremento di gettito dipendente da singoli ed individuati provvedimenti normativi.

4.– L’Avvocatura dello Stato, nella memoria, prima di prendere nuovamente posizione su ognuno dei motivi del ricorso regionale, svolge una considerazione preliminare, secondo cui, in base alla ratio e alla lettera dell’art. 2 delle norme di attuazione, che sarebbe quella di assicurare alla Regione siciliana la devoluzione delle entrate tributarie "esistenti", la riserva allo Stato sarebbe certamente consentita non solo per le imposte di nuova istituzione, ma anche per "tutte le ulteriori e maggiori entrate fiscali derivanti da modificazione legislativa del sistema di applicazione di un tributo preesistente (base imponibile, aliquota, determinazione dell’imposta, esclusioni o esenzioni ecc.)".

In relazione alla prima censura, l’Avvocatura afferma che la "conversione" operata dall’art. 10, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992 – da deduzione dal reddito ai fini IRPEF a detrazione solo parziale di imposta in relazione agli oneri di cui all’art. 10, comma 1, lett. b)-bis, c), d), e), f), g), m), o), p), e r) del testo unico delle imposte sui redditi n. 917 del 1986 – avrebbe corrisposto alla ritenuta necessità di assicurare maggiori entrate all’erario. Il successivo art. 3 del d.l. n. 330 del 1994, apportando modifiche ed integrazioni al testo unico delle imposte sui redditi, avrebbe sì abrogato i commi 1 e 2 dell’art. 10 del d.l. n. 384 del 1992, ma avrebbe anche contestualmente inserito l’art. 13-bis, intitolato "detrazioni per oneri", che ripropone sostanzialmente la disciplina dei due commi dell’art. 10 abrogati, sempre al fine di assicurare maggiori entrate. E non vi sarebbe ragione di ritenere che l’originaria (e non abolita) destinazione allo Stato del maggior gettito derivante dall’applicazione della prima norma sia venuta meno per il maggior gettito dipendente dall’applicazione della seconda.

Quanto alla seconda censura, l’Avvocatura afferma che dalle tabelle allegate al decreto impugnato si rileva chiaramente il decremento previsionale del gettito relativo alla riscossione dell’ILOR a partire dal 1° gennaio 1998; e che lo stesso decreto determina la percentuale di incidenza del tributo riservata allo Stato sulle somme riscosse negli anni anche successivi al 1997, ma dovute sino a tutto il 1997. La soppressione dell’ILOR a partire dal 1998 "non sarebbe tale comunque da poter sorreggere, neppure in astratto, la lamentata interferenza nella competenza regionale"; e dunque la censura sarebbe inammissibile, prima ancora che infondata.

Quanto alla terza censura, l’Avvocatura ricorda che tutti i provvedimenti normativi richiamati contengono la espressa riserva allo Stato delle entrate da essi derivanti, con l’indicazione della specifica finalità; e che anche le accise gravanti sui prodotti oggetto della operazione imponibile ad IVA concorrono a comporre la base imponibile di quest’ultimo tributo (art. 13, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972): con il conseguente automatico effetto che l’aumento della accisa si concreta necessariamente, ad aliquota IVA invariata, in un maggior gettito di tale imposta. Secondo la difesa statale, dunque, non sarebbe pertinente il rilievo della Regione, secondo cui la riserva allo Stato non potrebbe dedursi dalle relazioni tecniche di accompagnamento, poichè i provvedimenti legislativi contengono tutti l’espressa clausola di riserva; e, d’altro canto, si tratterebbe nella specie di nuove entrate, legittimamente riservabili allo Stato, in quanto il maggior gettito conseguirebbe a modificazioni legislative che aumentano la base imponibile di un tributo già esistente.

Quanto alla quarta censura, l’Avvocatura richiama quanto già detto in premessa e in relazione alla terza censura. In particolare, l’art. 16-bis del d.l. n. 41 del 1995 prevede una serie di modifiche alla disciplina del d.P.R. n. 633 del 1972, ampliando l’ambito oggettivo delle operazioni imponibili (comma 1, lett. a e comma 2); limitando l’area di quelle non imponibili (comma 1, lett. b e c), oppure determinando la base imponibile di alcune operazioni (comma 3): si tratterebbe dunque di una rimodellazione della preesistente disciplina dell’IVA, che ne amplia l’area impositiva, riservandone legittimamente il maggior gettito allo Stato.

Infine, l’Avvocatura afferma che la determinazione delle quote di incidenza riservate allo Stato sarebbe stata operata con un meccanismo "indubbiamente corretto ed indiscutibile sul piano della logicità e della obbiettività". Da una parte, infatti, sono stati calcolati i maggiori introiti che, per ciascun anno, si prevede di riscuotere relativamente a ciascun cespite tributario, e raffrontati al complesso delle entrate per lo stesso cespite, al fine di individuare la percentuale prevista di incremento; dall’altra parte, tale percentuale é stata applicata agli omologhi importi riscossi nello stesso anno nella Regione, al fine di determinare la quota da riservare allo Stato. A conferma della correttezza del criterio, la difesa statale ricorda che il carattere necessariamente presuntivo del procedimento é affiancato dal meccanismo del conguaglio di cui all’art. 4 del decreto, che opera sulla base dell’aggiornamento delle percentuali ottenute utilizzando i dati definitivi risultanti dal rendiconto generale dello Stato per ognuno degli anni di riferimento.

5.– Con sentenza n. 98 del 2000, successiva alla discussione del conflitto, la Corte, pronunciandosi su distinti ricorsi per illegittimità costituzionale promossi dalla Regione Siciliana, ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 2, comma 154, e 3, comma 216, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), e dell’art. 7, comma 1, del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l'anno 1997), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30 – disposizioni che stabiliscono la riserva a favore dell’erario statale delle nuove entrate derivanti dai provvedimenti legislativi in cui esse sono inserite, e alla cui attuazione, in uno con quella di altre analoghe clausole di riserva all’erario, provvede il decreto impugnato nel presente giudizio –, "nella parte in cui dette disposizioni, nello stabilire che le modalità della loro attuazione siano definite con decreto ministeriale, non prevedono la partecipazione della Regione Siciliana al relativo procedimento".

6.– Con ordinanza 13-18 aprile 2000, la Corte, considerato che, a seguito delle predetta sentenza n. 98 del 2000, il decreto impugnato, ancorchè non censurato dalla ricorrente sotto questo profilo, risulta, pro parte, in contrasto con le norme legislative che ne disciplinano il procedimento di formazione, ha disposto il rinvio del giudizio ad una nuova udienza, nella quale le parti potessero esprimersi in ordine alla permanenza del loro interesse alla definizione nel merito del giudizio medesimo.

7.– Il 26 giugno 2000 la Regione ha depositato un atto "di proposizione, in via incidentale, di questione di legittimità costituzionale", con il quale, dopo avere richiamato il contenuto della sentenza n. 98 del 2000, ha ritenuto "imprescindibile" sollevare, appunto, analoga questione di legittimità costituzionale delle ulteriori disposizioni legislative di riserva all’erario, di cui l’impugnato decreto costituisce attuazione.

8.– Nell’imminenza della nuova udienza del 23 gennaio 2001 ha depositato memoria il Presidente del Consiglio, allegando alcuni documenti dai quali emergerebbe che lo Stato ha già da tempo dato avvio al procedimento per l’emanazione di un nuovo decreto di attuazione delle clausole di riserva delle nuove entrate all’erario statale, coinvolgendo la Regione Siciliana, con conseguente prevedibile venir meno dell’interesse alla definizione nel merito dell’attuale giudizio per conflitto di attribuzioni.

9.– All’esito dell’udienza, la Corte ha pronunciato due distinte ordinanze.

Con l’ordinanza n. 41 del 2001 la Corte ha sospeso il decreto impugnato, giudicando sussistenti le gravi ragioni che giustificano la sospensione, ai sensi dell’art. 40 della legge n. 87 del 1953, dell’esecuzione dell’atto che ha dato luogo al conflitto di attribuzione fra Stato e Regione, in pendenza del relativo giudizio, e ciò anche in considerazione del fatto che tale decreto estende i suoi effetti alle riscossioni dei tributi per gli anni 2000 e seguenti, e tenendo conto sia dell’entità del pregiudizio finanziario lamentato dalla ricorrente, sia delle ulteriori more del giudizio derivanti dalla sospensione del medesimo a seguito della coeva ordinanza n. 42 del 2001 della stessa Corte.

Con l’ordinanza n. 42 la Corte, considerato che tutte le disposizioni legislative cui si é inteso dare attuazione con il decreto impugnato erano, o già dichiarate costituzionalmente illegittime, ovvero sospette di esserlo per il medesimo motivo, concernente la mancanza di partecipazione della Regione al procedimento volto alla loro attuazione; e che tale vizio, riguardando le stesse basi legali del procedimento di formazione del decreto ministeriale, incide radicalmente sulla legittimità del decreto medesimo, e in specie sulla sua idoneità a ledere attribuzioni costituzionalmente garantite della Regione Siciliana, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 36 dello statuto speciale per la Regione Siciliana, all’art. 2 delle norme di attuazione dello stesso statuto, di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, nonchè al principio di leale cooperazione fra Stato e Regioni, di tutte le disposizioni di legge contenenti riserve all’erario di cui il decreto impugnato costituisce attuazione, e non dichiarate già incostituzionali, e dunque: dell’art. 13, comma 2, del decreto legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonchè disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438; dell’art. 16, comma 17, secondo periodo, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica); dell’art. 16, comma 2, del decreto legge 30 dicembre 1993, n. 557 (Ulteriori interventi correttivi di finanza pubblica per l'anno 1994), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133; dell’art. 47, secondo periodo, del decreto legge 23 febbraio 1995, n. 41 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica e per l'occupazione nelle aree depresse), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85; dell’art. 3, comma 241, secondo periodo, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica); dell’art. 12, secondo periodo, del decreto legge 20 giugno 1996, n. 323 (Disposizioni urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1996, n. 425, nella parte in cui dette disposizioni, nello stabilire che le modalità della loro attuazione siano definite con decreto ministeriale, non prevedevano la partecipazione della Regione Siciliana al relativo procedimento; e dell’art. 18, comma 7, del decreto legge 22 maggio 1993, n. 155 (Misure urgenti per la finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 243, nella parte in cui non prevedeva che all’attuazione della riserva di entrate all’erario statale, ivi disposta, si provveda con la partecipazione della Regione Siciliana .

10.– Con la sentenza n. 288 del 2001 la Corte ha dichiarato incostituzionali in parte qua le disposizioni censurate, osservando che, poichè le clausole di riserva in questione costituiscono un meccanismo di deroga alla regola della spettanza alla Regione del gettito dei tributi erariali (salve alcune eccezioni) riscosso nel territorio della medesima, e poichè dunque la loro attuazione incide direttamente sulla effettività della garanzia dell’autonomia finanziaria regionale, il principio di leale cooperazione esige che tale meccanismo si attui mediante procedimenti non unilaterali, che contemplino la partecipazione della Regione interessata.

11.– Per la discussione del conflitto é stata nuovamente fissata l’udienza pubblica del 12 febbraio 2002, nella quale la Regione ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso, mentre l’Avvocatura dello Stato ha fatto presente che, attraverso una commissione di rappresentanti dello Stato e della Regione Siciliana, é in corso di elaborazione una determinazione bilaterale dei criteri di attuazione, che dovrebbe portare al rinnovo del procedimento e del provvedimento impugnato.

Considerato in diritto

1.– La Regione Siciliana ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione al decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, 23 dicembre 1997 (Modalità di attuazione delle riserve all’erario dal 1° gennaio 1997 del gettito derivante dagli interventi in materia di entrate finanziarie della Regione Sicilia, emanati dal 1992), lamentando la violazione della propria autonomia finanziaria come risultante dall'art. 36 dello statuto speciale e dalle norme di attuazione di cui all'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074.

Il decreto impugnato riporta anzitutto, nelle tabelle dell'allegato A, le previsioni degli incrementi di gettito di imposte derivanti per gli anni 1997, 1998 e 1999 dall'applicazione di dieci provvedimenti legislativi, emanati dal 1992 al 1996, che contenevano clausole di riserva all'erario statale delle maggiori entrate da essi derivanti, e, nell'allegato B, espone l'incidenza percentuale di tali incrementi sulle previsioni dei corrispondenti capitoli di entrata del bilancio dello Stato (art. 1). Sulla predetta base di calcolo, dispone che gli incaricati della riscossione versino alla Cassa regionale siciliana le entrate derivanti dai tributi di spettanza della Regione al netto delle percentuali indicate, da versare all'erario statale (art. 2). Stabilisce poi che per gli anni 2000 e seguenti sia versata allo Stato, per i tributi indicati, la stessa percentuale prevista per il 1999 (art. 3); che gli incaricati della riscossione operino, sui primi versamenti da effettuare alla Regione, il recupero delle quote dovute dalla Regione stessa a decorrere dal 1° gennaio 1997, detratte le somme già affluite all'erario statale (art. 4, commi 1 e 2: su questo punto la previsione del decreto é stata successivamente modificata da quella del decreto ministeriale 6 maggio 1998, che ha disposto che il recupero fosse effettuato a decorrere dal 1° gennaio 1999); che i versamenti possano essere oggetto di conguaglio sulla base dei dati risultanti dal rendiconto generale dello Stato (art. 4, comma 3).

Secondo la Regione ricorrente, tale provvedimento estenderebbe indebitamente le previsioni normative di riserva all'erario statale di nuove entrate, alla cui attuazione esso é inteso, e interpreterebbe dette previsioni in modo contrastante con i parametri statutari e di attuazione invocati (da cui discende la possibilità di riservare allo Stato solo "nuove" entrate tributarie), così sottraendo alla Regione quote di gettito tributario ad essa spettanti. La Regione chiede pertanto l'annullamento del decreto impugnato "nella parte in cui sottrae alla Regione Siciliana, con effetto dal 1° gennaio 1997, quote di gettito tributario arbitrariamente incluse tra le nuove entrate riservate all'erario statale, in forza dei provvedimenti normativi di cui il decreto censurato costituisce attuazione".

In particolare la Regione lamenta: a) che nel dare attuazione alla riserva di entrate a favore dello Stato recata dall'art. 13 del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, non si sia tenuto conto della successiva abrogazione dei commi 1 e 2 dell'art. 10 del decreto legge medesimo, che avrebbe prodotto la cessazione dell'efficacia della riserva medesima; b) che, sempre con riferimento allo stesso art. 13 del d.l. n. 384 del 1992, si sia erroneamente considerato il permanere di un maggior gettito conseguente alle disposizioni in tema di indeducibilità dell'ILOR dal reddito complessivo soggetto a IRPEF e a IRPEG, pur dopo che l'ILOR é stata in un primo tempo ridotta nella sua portata, e quindi soppressa; c) che si sia erroneamente computato un maggior gettito dell'IVA derivante dalla modifica delle accise su determinati prodotti, derivando tale gettito da un ampliamento della base imponibile dell’IVA, il che non consentirebbe di considerarlo riservato all'erario statale; d) che, con riferimento alla riserva di cui all'art. 47 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, si siano erroneamente considerate come nuove entrate tributarie suscettibili di essere riservate allo Stato quelle derivanti dall'applicazione dell'IVA sulle importazioni di supporti informatici e dalle misure antielusive di cui all'art. 16-bis dello stesso d.l. n. 41 del 1995; e) che si prescriva l'applicazione delle percentuali di riserva all'importo delle riscossioni previste, indipendentemente dai valori assoluti di queste, con il recupero delle quote dovute dalla Regione per il 1997, in modo tale che gli incaricati della riscossione non potrebbero "avere singolarmente la consapevolezza del raggiunto limite globale di devoluzione".

2.– Nel corso del giudizio questa Corte (oltre a sospendere l'esecuzione del decreto impugnato, con ordinanza n. 41 del 2001) – constatato che il provvedimento censurato si fonda su disposizioni legislative in parte già dichiarate costituzionalmente illegittime per non aver previsto la partecipazione della Regione al procedimento per la loro attuazione, onde ne era venuta a mancare in parte la base legale, e che le altre disposizioni legislative parimenti attuate apparivano identiche nella loro portata alle prime, e dunque affette dallo stesso vizio – ha sollevato in via incidentale di fronte a se stessa, con ordinanza n. 42 del 2001, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 36 dello statuto speciale siciliano e all'art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, nonchè al principio di leale cooperazione fra Stato e Regioni, delle rimanenti clausole legislative di riserva di entrate all'erario statale, cui il decreto impugnato dà attuazione, nella parte in cui non prevedevano la partecipazione della Regione al procedimento per la loro attuazione: illegittimità poi dichiarata con la sentenza n. 288 del 2001.

3.– Il decreto impugnato, in quanto emanato – in applicazione delle menzionate disposizioni legislative, dichiarate in parte costituzionalmente illegittime – con un procedimento in cui non é stata assicurata la partecipazione della Regione, risulta perciò stesso lesivo delle attribuzioni di questa. Poichè esso, pur sospeso nella sua efficacia, non é stato formalmente annullato, revocato nè sostituito, e pur dovendosi prendere atto che la sua applicabilità sarebbe comunque venuta meno a far tempo dal 1° gennaio 2002 in forza di quanto disposto dall'art. 52, comma 6, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2002), ai cui sensi da tale data "cessano di avere applicazione le riserve all'erario statale già disposte ai sensi del primo comma dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074, con leggi entrate in vigore anteriormente", non resta oggi che annullare il medesimo decreto, con assorbimento di ogni altro motivo del ricorso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spetta allo Stato dare attuazione, con un procedimento nel quale non é stata assicurata la partecipazione della Regione Siciliana, alle riserve a favore dell'erario statale del gettito derivante dagli interventi in materia di entrate emanati dal 1992 al 1996; e conseguentemente

annulla il decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro, 23 dicembre 1997 (Modalità di attuazione delle riserve all’erario dal 1° gennaio 1997 del gettito derivante dagli interventi in materia di entrate finanziarie della Regione Sicilia, emanati dal 1992).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 aprile 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2002.