Ordinanza n. 126 del 2002

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ORDINANZA N. 126

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Massimo VARI, Presidente

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di ammissibilità del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’ordinanza del Tribunale di Taranto, sezione I penale, del 18 febbraio 1998, emessa in un procedimento penale a carico dell’on. Giancarlo Cito, con la quale é stata rigettata una istanza di rinvio di udienza dibattimentale, non considerando impedimento assoluto il diritto-dovere del deputato di assolvere il mandato parlamentare attraverso la partecipazione a votazioni in Assemblea, della sentenza del Tribunale di Taranto 18 febbraio - 13 marzo 1998, n. 202/1998, che ha definito il procedimento stesso, nonchè delle sentenze n. 85/2000 del 21 ottobre 1999 - 10 marzo 2000 della Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, e n. 390/2001 del 15 febbraio - 19 marzo 2001 della Corte di cassazione, sezione V penale, che hanno confermato la decisione sul rigetto della istanza predetta, promosso della Camera dei deputati, con ricorso depositato il 25 maggio 2001 e iscritto al n. 193 del registro ammissibilità conflitti.

Udito nella camera di consiglio del 13 marzo 2002 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.

Ritenuto che con ricorso depositato il 25 maggio 2001 la Camera dei deputati ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Tribunale di Taranto, sezione I penale, della Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, e della Corte di cassazione, sezione V penale;

che - come riferisce la Camera ricorrente - in un procedimento penale pendente nei confronti del deputato Giancarlo Cito per il reato di diffamazione, il Tribunale di Taranto, sezione I penale, respingeva, con ordinanza pronunciata nell’udienza dibattimentale del 18 febbraio 1998, un’istanza presentata dal difensore del deputato il giorno precedente l’udienza, con la quale si chiedeva di considerare giustificata l’assenza dell’imputato perchè dovuta a legittimo impedimento a comparire, in considerazione del suo diritto-dovere di partecipare all’attività parlamentare e in particolare di essere presente alle votazioni in Assemblea della Camera dei deputati nei giorni 17, 18, 19 e 20 febbraio 1998, come comprovato dal calendario dei lavori parlamentari presentato al Tribunale, il quale peraltro motivava la propria decisione affermando sia che l’istanza era tardiva sia che, comunque, essendo la seduta delle votazioni per il giorno 18 febbraio fissata a partire dalle ore sedici, l’imputato avrebbe potuto comparire nella mattinata e chiedere che il suo processo fosse trattato con precedenza;

che, così disponendo, l’ordinanza in questione - osserva la ricorrente - non ha tenuto in considerazione il fatto che il deputato era impegnato nelle votazioni in assemblea già dal giorno precedente l’udienza, cioé dal 17 febbraio, giorno in cui i lavori si erano protratti fino a ora notturna; nè – aggiunge la Camera – il Tribunale, immediatamente dopo, ha ritenuto di ritornare, revocandola, sulla propria decisione, allorchè di dette ultime circostanze era stata data informazione con un fax inviato quello stesso giorno dall’imputato, il quale comunicava l’ordine del giorno della seduta (con votazioni) del giorno 18 febbraio e riferiva di come egli si fosse trovato impegnato in votazioni sin dalla sera del giorno precedente;

che con sentenza del medesimo giorno 18 febbraio 1998, depositata il successivo 13 marzo, il Tribunale di Taranto condannava l’imputato per il reato di diffamazione, rinviando espressamente, nella motivazione, alla propria ordinanza con cui era stata respinta l’istanza di rinvio dell’udienza;

che, in sede di gravame, la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha rigettato l’eccezione di nullità dell’ordinanza del Tribunale del 18 febbraio 1998 formulata dall’interessato, da un lato ritenendo che l’istanza originaria fosse tardiva - ma facendo riferimento testuale non già all’istanza presentata dal difensore il giorno prima dell’udienza, bensì al fax trasmesso dall’imputato il giorno stesso dell’udienza – e dall’altro escludendo che l’impegno parlamentare rivestisse il carattere di impedimento assoluto a comparire, affermando che l’imputato sarebbe stato chiamato a votare in giorni diversi da quello in cui era fissata l’udienza, cioé nei giorni 17 e 20 febbraio; una affermazione quest’ultima - si osserva nel ricorso della Camera dei deputati - non sorretta da alcun dato obiettivo, tenuto conto che il calendario settimanale delle sedute era identico nei contenuti per tutti e quattro i giorni e che l’ordine del giorno della seduta decisiva, cioé del giorno 18, indicava che le votazioni si sarebbero svolte a partire dalle ore sedici e venti;

che la Corte di cassazione, sezione V penale, ha confermato il giudizio d’appello, compreso il rilievo circa la tardività dell’istanza; nella propria decisione la Corte di cassazione, oltre ad affermare che la pronuncia del giudice di merito si sottraeva al controllo di legittimità, per avere argomentato al riguardo con "proposizioni logicamente e giuridicamente ineccepibili", aggiungeva sul punto che "l’indiscriminata valenza dell’impedimento di natura parlamentare paralizzerebbe la definizione del procedimento", che "il delicato equilibrio tra la funzione giurisdizionale e quella parlamentare trova contemperamento nel bilanciamento degli interessi configgenti, operato di volta in volta dal giudice, sulla scorta della situazione processuale" e infine che "la definizione del processo in tempi ragionevoli non soddisfa solo l’interesse punitivo [...] dello Stato e le legittime aspettative della persona offesa, ma anche l’interesse dello stesso imputato, ove questo non si proponga fini dilatori";

che la ricorrente Camera dei deputati - affermata la propria legittimazione attiva al ricorso e quella passiva degli organi giurisdizionali – motiva circa l’ammissibilità, sul piano oggettivo, del conflitto, la materia del quale é data, nella specie, dalla esigenza di delimitare le attribuzioni costituzionali del potere giudiziario (di trattare e concludere i processi innanzi a esso pendenti) a fronte delle esigenze di funzionalità e delle prerogative di autonomia e indipendenza del potere legislativo, incise dalla pretesa del primo di disconoscere al deputato il carattere di impedimento a comparire a una udienza per adempiere alle proprie funzioni di parlamentare;

che, premesse diverse considerazioni quanto alla sussistenza dell’interesse a ricorrere e agli aspetti preliminari di ammissibilità del conflitto, la ricorrente osserva che nel caso in esame si rivela la netta divergenza di vedute tra la Camera e gli organi giurisdizionali, nella contrapposizione tra un ordine del giorno delle sedute del periodo 17-20 febbraio 1998 da cui ha origine il dovere del parlamentare di prendere parte alle votazioni, e una serie di pronunce giurisdizionali che, seppure variamente argomentate, convergono nel negare a questi stessi impegni parlamentari il carattere di impedimento assoluto a partecipare all’udienza del processo penale;

che viceversa la ricorrente chiede che venga considerato, per i propri componenti, impedimento assoluto a comparire all’udienza del processo penale l’esercizio della funzione parlamentare e "in particolare" l’esercizio del diritto di voto in Assemblea o anche in Commissione legislativa;

che le decisioni dei giudici di merito di primo grado e di appello per le quali é promosso conflitto, se pure non prendono posizione circa la questione di principio, attinente al rilievo processuale della posizione dell’imputato che sia impegnato in attività parlamentare, comunque hanno per effetto comune quello di negare la natura di impedimento assoluto alla partecipazione del deputato a votazioni in Assemblea, ovvero di subordinarne il riconoscimento ad apprezzamenti del giudice, secondo considerazioni del singolo caso concreto;

che la pronuncia della Corte di cassazione invece enuclea esplicitamente il principio secondo il quale spetta al giudice operare di volta in volta, in base appunto alla concreta situazione processuale, il contemperamento tra le esigenze della funzione giurisdizionale e di quella parlamentare, così da far dipendere il riconoscimento o il disconoscimento dell’impedimento funzionale da considerazioni del singolo caso, che potrebbero di volta in volta mutare – ad esempio, ammettendo l’impedimento per attività parlamentari diverse dal voto e viceversa negandolo per l’esercizio del voto – , con una considerazione indistinta di equiordinazione, in linea di principio, di tutte le attività nelle quali si realizza la funzione parlamentare;

che secondo la Camera la pretesa della giurisdizione, di considerare tra loro fungibili le attività di un parlamentare e di rimettere al giudice l’apprezzamento di una di esse come impedimento assoluto, finisce per compromettere l’autonomia e la stessa funzionalità della Camera di appartenenza del parlamentare, menomando il libero esercizio del mandato rappresentativo, in violazione degli artt. 64, 68 e 72 della Costituzione, disconoscendo la peculiarità delle votazioni in Assemblea, poichè il voto é una attività personalissima, non delegabile, sulla quale il singolo deputato non può influire quanto al momento del suo svolgimento, cosicchè tra esso e le altre pur rilevanti attività parlamentari (discussioni, interventi programmati, atti del sindacato ispettivo) sussiste una differenza qualitativa, potendo le altre attività tipiche essere modulate nei loro tempi anche in via di prassi, mentre lo stesso non vale per l’attività di votazione, che é indisponibile dal singolo deputato e i cui tempi non sono rinviabili; ciò che dimostra come il voto sia atto che attiene immediatamente alla funzione costituzionalmente assegnata alle Camere, la cui limitazione dunque, sempre secondo la ricorrente, rappresenta una incisione nel pieno e libero espletamento di quella stessa funzione, garantita nel suo svolgimento, autonomo e senza condizionamenti esterni, dai menzionati artt. 64, 68 e 72 della Costituzione;

che, svolgendo un ulteriore profilo, la Camera rileva che gli atti che hanno originato il conflitto compromettono la stessa funzionalità della Camera, mettendo a rischio la formazione del quorum richiesto di volta in volta per la deliberazione parlamentare, in violazione delle norme della Costituzione e delle altre leggi costituzionali (artt. 64, primo e terzo comma; 73, secondo comma; 79, primo comma; 83, terzo comma; 90, secondo comma; 138, primo e terzo comma, della Costituzione; art. 12 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1; art. 3 della legge costituzionale 22 novembre 1967, n. 2; artt. 9, comma 3, e 10, comma 3, della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1) che richiedono per talune delibere o votazioni particolari maggioranze, assolute o qualificate, come in tema di approvazione dei regolamenti, di dichiarazione di urgenza di una legge, di approvazione di amnistia e indulto, di elezione del Presidente della Repubblica, di elezione dei giudici costituzionali, di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, di autorizzazione a procedere per i reati dei ministri, di approvazione di leggi costituzionali;

che la Camera ricorrente lamenta inoltre la coartazione della libertà del mandato parlamentare, in violazione degli artt. 67 e 68 della Costituzione, dato che le prerogative dei parlamentari sono stabilite non nell’interesse individuale dei singoli ma in funzione dell’integrità della posizione costituzionale della istituzione di appartenenza, cosicchè, ogni volta che sia leso il libero esercizio del mandato garantito dalle citate disposizioni costituzionali, si ha una corrispondente violazione dell’autonomia delle Camere di appartenenza: nel caso specifico, le determinazioni giurisdizionali avrebbero inciso sulla libertà di mandato del parlamentare, costretto alla scelta tra due differenti diritti, quello di partecipare alle votazioni e quello di essere presente nel processo che lo riguarda;

che la Camera rileva altresì la mancanza, nelle pronunce giurisdizionali che danno luogo al conflitto, di un adeguato bilanciamento tra le esigenze della giurisdizione e quelle della funzionalità, dell’autonomia e dell’indipendenza del Parlamento, in quanto le decisioni, negando (direttamente, quelle dei giudici di merito; indirettamente, con l’affermazione di principio, quella della Corte di cassazione) il carattere di impedimento assoluto dell’attività di votazione, hanno sacrificato integralmente le seconde alle prime, non potendosi ravvisare alcun corretto bilanciamento nell’imposizione al deputato della scelta tra le due sedi, secondo un criterio inidoneo a raggiungere un ragionevole contemperamento tra i due ordini di interessi, i quali d’altra parte non si pongono neppure sul medesimo piano, dato che uno é un diritto soggettivo pieno e individuale, il diritto alla difesa, l’altro é un diritto-dovere di carattere funzionale eccedente la dimensione del singolo;

che pertanto, anche a riconoscere il fondamento costituzionale dell’esigenza di efficienza e celerità del processo – prosegue la Camera – non potrebbe per ciò solo giustificarsi il sacrificio della autonomia e indipendenza e perfino della stessa funzionalità del Parlamento, attribuendo, come é invece avvenuto, alle forme di esercizio del mandato parlamentare un significato "dilatorio", e anche questo rilievo varrebbe a far considerare del tutto inadeguato il criterio di giudizio adottato dai giudici, poichè il calendario dei lavori parlamentari, e l’ordine del giorno che ne é espressione, costituiscono determinazioni che il parlamentare é tenuto a rispettare e non é abilitato a modificare, traducendosi in esse il contemperamento delle esigenze dei diversi soggetti costituzionali interessati all’organizzazione dei lavori delle Camere, a garanzia di ciascuno di essi e di tutti, maggioranza, opposizione, governo; é dunque impropria, afferma la ricorrente, la pretesa di subordinare queste attività all’esercizio della giurisdizione penale, valendo semmai (art. 68 della Costituzione) l’esigenza opposta;

che infine la Camera ricorrente lamenta la violazione del principio di leale collaborazione tra poteri e del dovere di lealtà e correttezza, ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza costituzionale e valevole anche in relazione al potere giudiziario, in quanto le affermazioni che portano a rigettare l’istanza difensiva di rinvio sarebbero incongrue, sotto numerosi aspetti: il Tribunale fa riferimento a una istanza presentata dal difensore il giorno prima dell’udienza, dunque non qualificabile come tardiva; la Corte d’Appello fa invece riferimento a un fax dell’imputato, trasmesso lo stesso giorno dell’udienza, senza prendere in considerazione l’istanza difensiva del giorno precedente; il Tribunale, pur avendo a disposizione il calendario settimanale dei lavori e l’ordine del giorno della seduta del 18 febbraio 1998, non ne deduce che l’imputato fosse impegnato nelle votazioni fino alle ore ventitrè del giorno precedente l’udienza, benchè tale circostanza, risultante dai documenti trasmessi, fosse essenziale nel senso di rendere non praticabile la soluzione prospettata dall’organo giudiziario, di presentarsi nella mattinata del giorno 18 febbraio per chiedere la trattazione del processo con precedenza sugli altri; proprio per sottolineare che l’impegno parlamentare riguardava sia la sera del 17 che il primo pomeriggio del 18 febbraio, l’imputato aveva spedito un fax, ma il Tribunale non aveva ritenuto di riconsiderare la propria decisione adottata con l’ordinanza; dal suo canto, la Corte d’Appello mostra di accorgersi dell’impegno delle votazioni per la sera del 17, ma sembra ritenere che le votazioni concernessero solo il giorno 20, nonostante che il calendario della settimana (17-20 febbraio) avesse un contenuto comune e soprattutto nonostante che l’ordine del giorno del 18 prevedesse espressamente votazioni in Aula; infine, la Corte di cassazione sembra evocare potenziali utilizzazioni dilatorie dell’impedimento, quando risulta che nell’intero processo penale di cui si tratta l’impedimento venne fatto valere esclusivamente in una circostanza, cioé appunto per l’udienza del 18 febbraio 1998;

che, per i rilievi esposti, la Camera solleva conflitto di attribuzioni chiedendo:

a) di dichiarare che non spetta al Tribunale di Taranto, sezione I penale, nè alla Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, nè alla Corte di cassazione, V sezione penale, negare che per il deputato Giancarlo Cito costituisca impedimento assoluto alla partecipazione all’udienza dibattimentale in data 18 febbraio 1998 dinanzi al Tribunale di Taranto il diritto-dovere di assolvere il mandato parlamentare, partecipando alle votazioni dell’Assemblea indette per lo stesso giorno;

b) "in particolare, che non spetta alla Corte di cassazione, V sezione penale, il dichiarare riservato al bilanciamento del giudice penale, alla stregua delle risultanze processuali, il giudizio sulla spettanza del carattere di impedimento assoluto a partecipare all’udienza alla situazione dell’imputato parlamentare che sia impegnato in votazioni in Assemblea concomitanti con l’udienza penale";

c) di annullare, per l’effetto, l’ordinanza 18 febbraio 1998 del Tribunale di Taranto, sezione I penale; la sentenza 18 febbraio – 13 marzo 1998, n. 202, del medesimo Tribunale; la sentenza 21 ottobre 1999 – 10 marzo 2000, n. 85, della Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, e la sentenza 15 febbraio – 19 marzo 2001, n. 390, della Corte di cassazione, sezione V penale.

Considerato che in questa fase la Corte é chiamata, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 97, a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esista la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche relativamente all’ammissibilità;

che, sotto l’aspetto soggettivo, la Camera dei deputati é legittimata a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, quale organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene;

che del pari deve essere riconosciuta la legittimazione degli organi giudiziari che hanno adottato i provvedimenti in relazione ai quali é promosso il conflitto di attribuzione a essere parti del medesimo, poichè, come ripetutamente affermato da questa Corte (da ultimo, ordinanze n. 84, n. 37 e n. 6 del 2002), i singoli organi giurisdizionali sono legittimati, nell’esercizio della funzione a essi assegnata dalla Costituzione ed esercitata in piena indipendenza, a essere parti nei conflitti costituzionali in questione;

che, sotto l’aspetto oggettivo del conflitto, la ricorrente Camera dei deputati lamenta la lesione della sfera di attribuzioni a essa costituzionalmente garantite in ragione del mancato riconoscimento, da parte degli organi giurisdizionali indicati nella parte narrativa, del legittimo impedimento a comparire all’udienza penale di un proprio componente impegnato in votazioni in Assemblea;

che dal ricorso si ricavano le ragioni del conflitto e le norme costituzionali che regolano la materia, come prescritto dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dalla Camera dei deputati nei confronti del Tribunale di Taranto, sezione I penale, della Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, e della Corte di cassazione, sezione V penale, con il ricorso indicato in epigrafe;

dispone:

a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza alla Camera dei deputati ricorrente;

b) che, a cura della ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Tribunale di Taranto, sezione I penale, alla Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto e alla Corte di cassazione, sezione V penale, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell’art. 26, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 aprile 2002.

Massimo VARI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2002.