Ordinanza n .85 del 2002

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ORDINANZA N .85

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive), come novellato dall'articolo 37, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), promosso, nell'ambito di un procedimento penale, con ordinanza emessa il 30 marzo 2001 dal Tribunale di Ascoli Piceno con ordinanza iscritta al n. 600 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell'anno 2001.

Visti l'atto di costituzione di alcuni degli indagati nel giudizio a quo, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 febbraio 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

uditi gli avvocati Roberto Jacchia e Beniamino Caravita di Toritto per le parti private e l'Avvocato dello Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che il Tribunale di Ascoli Piceno ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10, secondo comma, 11 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive), come novellato dall’art. 37, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato);

che il Tribunale ha contestualmente sottoposto alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 234 del trattato che istituisce la Comunità europea del 25 marzo 1957, ratificato e reso esecutivo con la legge 14 ottobre 1957, 1203 (come modificato dal trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, ratificato e reso esecutivo con la legge 16 giugno 1998, n. 209), "questione pregiudiziale comunitaria" per verificare se gli artt. 43-55 del trattato CE, che sanciscono i principi di libertà di stabilimento e di libertà di prestazione dei servizi transfrontalieri, possano essere interpretati nel senso di ritenere ad essi conforme la disciplina contenuta nel medesimo art. 4 della legge n. 401 del 1989;

che l’art. 4 della legge n. 401 del 1989 viene in rilievo sotto entrambi i profili in quanto sanziona penalmente anche la condotta di chi favorisce nel territorio dello Stato l’accettazione e la raccolta di scommesse da parte di una impresa comunitaria debitamente autorizzata nel paese di appartenenza;

che, in ordine alla rilevanza, il collegio premette di essere investito della richiesta di riesame avverso il decreto di perquisizione locale e personale e del conseguente sequestro ex art. 252 del codice di procedura penale, nonchè avverso il decreto di sequestro preventivo ex art. 321 dello stesso codice, emessi rispettivamente dal pubblico ministero e dal giudice per le indagini preliminari nei confronti di numerosi indagati per il reato di cui all’art. 4, comma 1, della legge n. 401 del 1989 per aver posto in essere una <<organizzazione, diffusa e capillare, di agenzie italiane collegate via Internet con il bookmaker inglese Stanley international betting di Liverpool, con compiti di raccolta nel territorio dello Stato di scommesse ad esso riservate per legge>>, in violazione del regime di monopolio riservato al Comitato olimpico nazionale italiano;

che, secondo il giudice a quo, poichè dagli atti risulta che gli indagati <<non solo hanno coadiuvato il bookmaker nell’attività di raccolta delle scommesse, ma hanno anche espletato un’attività economica e un servizio in favore dell’impresa straniera>>, sarebbero integrate anche le fattispecie previste nei commi 4-bis e 4-ter dell’art. 4, introdotti dalla legge n. 388 del 2000;

che nel merito il rimettente rileva che l’istanza di riesame <<solleva - insieme a profili di diritto interno - pregiudiziali questioni di compatibilità di norme nazionali con disposizioni sovraordinate di diritto comunitario, la cui risoluzione potrebbe definire il presente giudizio>>;

che nell’illustrare in via preliminare i termini della "questione pregiudiziale comunitaria" il Tribunale, pur consapevole della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, afferma di ritenere necessario un nuovo intervento della Corte, a causa della diversità delle fattispecie oggetto di giudizio nel procedimento a quo (rispetto a quelle a suo tempo esaminate) e delle recenti modifiche legislative recate dalla legge n. 388 del 2000;

che in particolare, a giudizio del Tribunale, il comma 1 dell’art. 4 della legge n. 401 del 1989, in quanto <<non esclude la punibilità nell’ipotesi in cui l’agente abbia la qualità di impresa estera comunitaria (abilitata dalle competenti autorità del paese di appartenenza)>>, determina una <<inaccettabile discriminazione>> degli operatori stranieri <<rispetto agli operatori nazionali (muniti delle prescritte concessioni o autorizzazioni abilitanti) impegnati in identiche attività di raccolta ed accettazione di proposte di scommesse sportive per conto del CONI>>, in violazione dei principi di libertà di stabilimento e di libertà di prestazione dei servizi transfrontalieri sanciti dagli artt. 43-55 del trattato CE;

che tale discriminazione non risulterebbe giustificata dal soddisfacimento di alcuna delle esigenze, che secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza del 21 ottobre 1999, causa c-67/98, Zenatti, e sentenza del 24 marzo 1994, causa c-275/92, Schindler) e la giurisprudenza della Corte di cassazione (Cass., Sez. III, n. 1680 del 2000), possono invece legittimare l’adozione di una disciplina restrittiva in danno di soggetti diversi dai cittadini di uno Stato membro;

che infatti, secondo il giudice a quo, nell’ipotesi di impresa estera comunitaria le esigenze di ordine pubblico ben potrebbero ritenersi salvaguardate attraverso i controlli cui l’impresa straniera é assoggettata nel paese di appartenenza, nè potrebbe ritenersi sussistente il rischio di un’ulteriore <<incitazione alla spesa>>, <<anche per la marginalità del fenomeno delle scommesse con operatori esteri rispetto al mercato nazionale dei giochi>>;

che, ancora, il divieto posto dall’art. 4 non sarebbe giustificato dall’esigenza di finanziamento delle attività di pertinenza del CONI, in quanto l’area delle condotte penalmente rilevanti si estende ora, per effetto dell’aggiunta dei commi 4-bis e 4-ter al menzionato art. 4, anche ad <<attività di raccolta su eventi sportivi internazionali o eventi mondani o di altro genere, sulle quali lo Stato non ha alcun interesse fiscale>>;

che quanto alla questione di legittimità costituzionale il rimettente dubita della conformità dell’art. 4 della legge n. 401 del 1989, come novellato dalla legge n. 388 del 2000, con gli artt. 3 e 41 della Costituzione, per la irragionevole limitazione imposta alla libertà di impresa con riferimento all’attività di intermediazione delle scommesse su eventi sportivi o su eventi mondani, per i quali non sussiste alcun interesse di natura fiscale dello Stato; con l’art. 10, secondo comma, Cost. per il diverso trattamento riservato agli operatori stranieri all’interno dello Stato italiano in violazione di norme e trattati internazionali, nonchè con l’art. 11 Cost. in riferimento agli obblighi assunti dall’Italia con l’adesione al trattato CE (in particolare a quello di accettare limitazioni alla propria sovranità nazionale nel settore economico e di assicurare condizioni di parità con gli altri Stati);

che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque manifestamente infondata;

che secondo l’Avvocatura l’inammissibilità deriverebbe, oltre che dal difetto di rilevanza o, quantomeno, dall’insufficiente motivazione sulla rilevanza, anche dal fatto che la questione pone in realtà un problema di compatibilità delle norme interne con i principi di libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi stabiliti dal trattato CE, con la conseguenza che la competenza a deciderla spetterebbe alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 234 del trattato CE;

che nel merito la questione sarebbe, a giudizio della difesa erariale, comunque infondata, in quanto la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi ha esclusivamente un contenuto negativo, vietando agli Stati membri di porre limitazioni ingiustificate all’operatività nel proprio ordinamento delle imprese appartenenti agli altri Stati membri, ma non comporta necessariamente l’obbligo del "mutuo riconoscimento" tra gli Stati delle autorizzazioni ad operare concesse da ciascuno ai soggetti appartenenti al proprio ordinamento, obbligo che può derivare soltanto da specifiche fonti comunitarie subordinate ai trattati (direttive o regolamenti) che disciplinano organicamente lo svolgimento in ambito comunitario di una certa attività economica;

che del resto la stessa Corte di giustizia nella sentenza del 21 ottobre 1999-Zenatti, anche in ragione della pericolosità sociale del giuoco e della necessità che esso sia assoggettato ad uno stretto regime di controllo pubblico, ha riconosciuto la compatibilità dell’art. 4 della legge n. 401 del 1989 e delle altre norme che riservano allo Stato il diritto di esercitare le scommesse su eventi sportivi con il principio di libera prestazione dei servizi;

che, infine, infondata sarebbe anche la censura relativa all’art. 41 Cost., atteso che il terzo comma di tale disposizione prevede che la legge determina i programmi e i controlli opportuni perchè l’attività economica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e non c’é dubbio che il giuoco sotto forma di scommesse su eventi vari per la sua pericolosità sociale debba essere assoggettato a controlli da parte dello Stato;

che si sono costituiti in giudizio alcuni degli indagati nel procedimento a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata ammissibile e fondata;

che nell’atto di costituzione, premessa una breve ricostruzione del quadro normativo e degli orientamenti giurisprudenziali in materia, le parti rilevano come la disciplina censurata - per il tramite della incriminazione penale delle attività volte a "favorire" le scommesse - impedisce ai privati lo svolgimento di attività telematiche per le quali, peraltro, hanno già ottenuto le prescritte autorizzazioni delle autorità competenti;

che, inoltre, tale disciplina, spingendosi fino a impedire l’invio di dati telematici all’estero per conto di società che svolgono attività di raccolta di scommesse in altro Stato, é espressione di una politica legislativa volta ad escludere con ogni mezzo l’accesso al mercato nazionale delle scommesse da parte di operatori diversi da quelli già presenti;

che pertanto sarebbe violato l’art. 41 Cost. poichè, quand’anche si riconoscesse che la disciplina é volta a soddisfare finalità di raccolta erariale, queste non rientrano fra quelle che, ai sensi del secondo comma dell’art. 41 Cost. (utilità sociale, sicurezza, libertà e dignità umana), possono consentire limitazioni alla libertà di iniziativa economica;

che del resto la tutela dell’ordine pubblico - rileva ancora la difesa degli indagati - tradizionalmente indicata a giustificazione delle particolari restrizioni imposte nel settore del giuoco e delle scommesse ben potrebbe essere attuata attraverso forme di controllo che non impediscano la progressiva e naturale apertura del mercato, per esempio, ad operatori stranieri soggetti alle autorizzazioni (e quindi ai controlli) degli Stati di appartenenza;

che sotto questo profilo sarebbe quindi evidente anche la violazione dell’art. 11 Cost., che secondo la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale <<offre copertura costituzionale al trattato di Roma e più in generale al diritto comunitario>> (sentenza n. 85 del 1999), in quanto la disciplina censurata si pone in contrasto con i principi di libertà di stabilimento e di libertà dei servizi transfrontalieri sanciti dal trattato CE che riconoscono a tutti gli appartenenti alla Comunità europea il diritto di fissare la sede (principale o secondaria) delle proprie attività economiche in qualsiasi Stato dell’Unione, senza dover subire discriminazioni per ragioni di nazionalità e di fornire, nell’ambito dell’area geografica comunitaria, i propri servizi, senza incontrare barriere nell’accesso nei mercati degli altri Stati;

che ancora, ad avviso delle parti, le misure restrittive di cui all’art. 4 censurato appaiono lesive del principio di non discriminazione (art. 10 Cost.), perchè vietano l’accesso al mercato interno degli operatori comunitari, impedendo loro di ricevere persino dati telematici rilevati in Italia, così discriminandoli rispetto agli operatori interni;

che nell’atto di costituzione si prospettano ulteriori profili di illegittimità costituzionale della disciplina censurata, non dedotti dal giudice a quo, con riferimento in primo luogo ai principi di ragionevolezza, di proporzionalità della pena, di determinatezza e tassatività della fattispecie, nonchè al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e al diritto di difesa;

che in prossimità dell’udienza l’Avvocatura generale dello Stato ha presentato una memoria nella quale vengono svolte considerazioni ulteriori rispetto a quelle sviluppate nell’atto di intervento;

che, in particolare, nella memoria viene contestata l’affermazione, contenuta nell’atto di costituzione delle parti private, secondo cui l’attività di raccolta e di trasmissione delle scommesse su eventi sportivi nazionali ed esteri costituiva prima della legge n. 388 del 2000 attività lecita e si precisa che nessuna discriminazione sarebbe ravvisabile in danno degli operatori stranieri poichè tali soggetti possono, al pari degli operatori nazionali, richiedere l’autorizzazione per lo svolgimento di attività di organizzazione di scommesse non riservate allo Stato in totale aderenza a quanto previsto dagli artt. 43-55 del trattato CE;

che anche le parti private hanno depositato una memoria, con allegata una copiosa documentazione, nella quale, riportandosi integralmente agli argomenti esposti nell’atto di costituzione, si soffermano su alcuni aspetti posti in evidenza dall’Avvocatura di Stato nell’atto di intervento;

che, in particolare, circa l’eccepita inammissibilità derivante dall’avere il rimettente proposto questione pregiudiziale interpretativa davanti alla Corte di giustizia, precisano che, indipendentemente da tale giudizio, la Corte costituzionale ben potrebbe "verificare la conformità della normativa nazionale al diritto comunitario" in forza dell’art. 11 Cost., anche alla luce della recente modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e della nuova formulazione dell’art. 117, primo comma, che, nel prevedere che <<la potestà legislativa é esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali>>, darebbe <<nuovo fondamento alla legittimità costituzionale delle leggi ordinarie>>.

Considerato che il rimettente solleva, in riferimento agli artt. 3, 10, secondo comma, 11 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, come novellato dall'art. 37, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, in quanto non esclude la punibilità nei confronti di chi favorisce nel territorio dello Stato l’accettazione e la raccolta di scommesse da parte di una impresa comunitaria debitamente autorizzata nel paese di appartenenza, sul presupposto che la norma censurata sia in contrasto con i principi di libertà di stabilimento e di libertà dei servizi transfrontalieri sanciti dagli artt. 43-55 del trattato CE (come modificato dal trattato di Amsterdam);

che il rimettente contestualmente sottopone alla Corte di giustizia, a norma dell'art. 234 del trattato CE, "questione pregiudiziale comunitaria" proprio per verificare la compatibilità dello stesso art. 4 della legge n. 401 del 1989 con gli artt. 43-55 del trattato CE;

che il rimettente, pur essendo a conoscenza di precedenti decisioni in materia, ritiene necessario un nuovo intervento della Corte di giustizia, a causa sia della diversità delle fattispecie oggetto del giudizio a quo rispetto a quelle in precedenza esaminate dalla predetta Corte, sia delle recenti modifiche legislative introdotte dalla legge n. 388 del 2000;

che, in particolare, il rimettente rileva che la decisione che é chiamato ad assumere in qualità di giudice del riesame coinvolge, insieme a profili di diritto interno, questioni pregiudiziali di compatibilità della disciplina censurata con disposizioni di diritto comunitario, "la cui soluzione potrebbe definire il presente giudizio";

che da questa impostazione emerge la manifesta contraddittorietà dell'ordinanza di rimessione, in quanto il giudice solleva contemporaneamente "questione pregiudiziale" interpretativa dei principi del trattato CE avanti alla Corte di giustizia, al fine di accertare se la norma censurata sia compatibile con l'ordinamento comunitario e, quindi, applicabile nell'ordinamento italiano, e questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale, così presupponendo che la norma, di cui egli stesso ha sollecitato l'interpretazione della Corte di giustizia, sia applicabile;

che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive), come novellato dall'art. 37, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, secondo comma, 11 e 41 della Costituzione, dal Tribunale di Ascoli Piceno, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'1 marzo 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2002.