Ordinanza n. 66 del 2002

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ORDINANZA N. 66

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7 del regio decreto 30 ottobre 1933,n. 1661 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) e dell'art. 444 del codice di procedura civile, promossi con ordinanze emesse il 20 maggio 2000 dal Tribunale di Castrovillari e il 16 marzo 2000 dal Tribunale di Chieti, iscritte ai numeri 475 e 534 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 38 e 40, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visti gli atti di costituzione dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS) nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 gennaio 2002 il Giudice relatore Franco Bile;

uditi l'avvocato Alessandro Riccio per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che con ordinanza pronunciata il 20 maggio 2000, il Tribunale di Castrovillari, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato d’ufficio, in riferimento agli articoli 3, 24 e 38 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato), nella parte in cui (dopo l’istituzione del giudice unico e la soppressione del pretore, ai sensi del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, "Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado") non consentirebbe più che le controversie di primo grado in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, in cui sia parte un'amministrazione dello Stato, vengano sottratte alla regola del foro erariale;

che l’ordinanza é stata pronunziata nel corso di un giudizio proposto da un’invalida civile nei confronti del Ministero del Tesoro e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale per ottenere l’accertamento del diritto all’indennità di accompagnamento di cui alla legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili), e la condanna dell’INPS al pagamento delle corrispondenti prestazioni;

che, secondo il rimettente, dovendo trovare applicazione la regola generale di cui all'art. 6 del citato regio decreto, sussisterebbe l’incompetenza territoriale del giudice adito - eccepita dal Ministero del Tesoro - e la competenza del Tribunale di Catanzaro, onde la rilevanza della questione;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente osserva che il diritto alle prestazioni garantite dall’art. 38 Cost. esige che, quando esse non vengano riconosciute e si debba agire in giudizio, l’esercizio del diritto di azione ex art. 24 Cost. non può essere ostacolato o limitato se non a tutela di ulteriori e distinti interessi meritevoli di analoga o superiore protezione, e che la ratio del foro erariale, ossia l’esigenza di favorire l’esercizio della difesa della pubblica amministrazione concentrando le controversie in cui essa é parte presso i fori ove ha sede l’Avvocatura generale dello Stato, non potrebbe prevalere sulle esigenze di tutela del diritto alle prestazioni previdenziali ed assistenziali;

che sarebbe poi leso l’art. 3 Cost., per la violazione del principio di ragionevolezza e per la disparità rispetto al trattamento riservato <<al soggetto invalido potenziale fruitore di prestazioni previdenziali>> ai sensi della legge 12 giugno 1984, n. 222 (Revisione della disciplina della invalidità pensionabile), per il quale - attesa la legittimazione passiva del solo INPS - il foro erariale non potrebbe mai operare;

che con ordinanza pronunciata il 16 marzo 2000, il Tribunale di Chieti, in funzione dei giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 38 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 444 cod. proc. civ., nella parte in cui, disciplinando la competenza territoriale per le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, non prevede che ad esse, ove sia parte un’amministrazione dello Stato, non si applichino le disposizioni sul foro erariale poste dall’art. 6 del r.d. n. 1611 del 1933;

che l’ordinanza é stata pronunziata nel corso di un giudizio instaurato dalla vedova (ed erede) di un invalido civile contro il Ministero del Tesoro e l’INPS, per ottenere il riconoscimento, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 21 settembre 1994, n. 698 (Regolamento recante norme sul riordinamento dei procedimenti in materia di riconoscimento delle minorazioni civili e sulla concessione dei benefici economici), che in vita l’invalido aveva avuto bisogno di assistenza continua a norma dell’art. 1 della legge 21 novembre 1988, n. 508 (Norme in materia di assistenza economica agli invalidi civile, ai ciechi civili ed ai sordomuti), e la condanna dell’INPS al pagamento dei ratei maturati dell’indennità di accompagnamento; che il rimettente - premesso che, a seguito dell’istituzione del giudice unico e della soppressione dell’ufficio pretorile, la competenza sulle controversie di cui all’art. 409 cod. proc. civ. appartiene in primo grado al tribunale in funzione di giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 413 cod. proc. civ. come modificato dall’art. 8 dello stesso d.lgs. n. 51 del 1998, e quella sulle controversie di previdenza ed assistenza obbligatoria indicate dall’art. 442 cod. proc. civ., appartiene in primo grado al tribunale in funzione di giudice del lavoro nella cui circoscrizione risiede il ricorrente - rileva che una deroga al foro erariale si desume soltanto dall’art. 413 cod. proc. civ., mentre per le controversie ex art. 442 la deroga, già stabilita dall’art. 7 del r.d. n. 1611 del 1933 per i giudizi innanzi ai pretori e conciliatori, non sarebbe più applicabile;

che peraltro l’assoggettamento di tali controversie alla regola del foro erariale determinerebbe una disparità di trattamento lesiva dell’art. 3 Cost. in danno del diritto del cittadino avente titolo all’assistenza obbligatoria o ad una prestazione previdenziale, rispetto al trattamento predisposto per le controversie di lavoro;

che sarebbe leso, inoltre, l’art. 24 Cost. <<in quanto il previsto spostamento di competenza territoriale, con i disagi ed il maggior costo che l’accentramento comporta>> sarebbe <<tale da incidere negativamente sul diritto ... di agire in giudizio>>, nonchè l’art. 38 Cost. <<in quanto risulta palesemente più gravosa la tutela dei cittadini inabili>>;

che la questione sarebbe rilevante, in quanto il giudizio attiene a prestazioni assistenziali ed in esso é convenuta una pubblica amministrazione;

che in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri é intervenuto, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, depositando memoria in cui sostiene l’inammissibilità e l’infondatezza della questione;

che anche l’INPS si é costituito nei due giudizi, depositando memoria in cui rileva che la competenza territoriale in materia di lavoro e previdenza é funzionale e perciò non derogabile dalle norme eccezionali sul foro erariale, e che le ordinanze di rimessione sono basate su presupposto interpretativo erroneo, giacchè l’art. 7 faceva salve le normali regole di competenza per i giudizi dinanzi ai pretori, considerando non la denominazione del giudice, ma le materie da esso trattate, onde la sostituzione del tribunale al pretore lascia immodificata la deroga al foro erariale.

Considerato che i giudizi introdotti dalle ordinanze di rimessione, pur diretti contro norme diverse, possono essere riuniti, in quanto le questioni proposte concernono il medesimo oggetto;

che le ordinanze muovono entrambe dal presupposto interpretativo secondo cui il foro erariale sarebbe divenuto applicabile alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, nelle quali sia parte un’amministrazione dello Stato, in quanto la soppressione dell’ufficio pretorile, disposta dal decreto legislativo n. 51 del 1998, avrebbe reso inapplicabile la previsione dell’art. 7 del regio decreto n. 1611 del 1933, che in precedenza sottraeva al foro erariale le cause attribuite in primo grado - come quelle in esame - alla competenza del pretore;

che tale presupposto interpretativo risulta disatteso dalle decisioni con le quali la Corte di cassazione - affrontando il problema della sorte della competenza territoriale sulle controversie di cui trattasi dopo l’istituzione del giudice unico - ha ritenuto che nell’art. 7 del r.d. n. 1611 del 1933 il riferimento alle controversie di competenza in primo grado del pretore si deve intendere sostituito dal riferimento alle controversie già attribuite in primo grado alla competenza del pretore, successivamente passate al tribunale in composizione monocratica;

che a tale conclusione il giudice di legittimità é pervenuto sulla base del primo comma dell’art. 244 del d.lgs. n. 51 del 1998, il quale, in via generale, ha disposto che <<salvo che sia diversamente previsto dal presente decreto e fuori dei casi di abrogazione per incompatibilità, quando leggi o decreti fanno riferimento ad uffici o organi giudiziari da esso soppressi il riferimento si intende agli uffici agli organi cui sono state trasferite le relative funzioni>>;

che, nella specie, la competenza sulle controversie assistenziali e previdenziali é stata trasferita al tribunale, come emerge dall’art. 444, primo comma, del codice di procedura civile, nel testo sostituito dall’art. 86 del d.lgs. n. 51 del 1998, che ha pure sostituito il termine <<pretore>> con quello <<tribunale>> nel secondo comma di tale norma;

che - essendo dunque possibile, come rivela l’indicato orientamento giurisprudenziale, la possibilità di un’interpretazione delle norme denunciate, nel senso della conservazione della loro sottrazione in primo grado alla regola del foro erariale - le questioni proposte dalle ordinanze di rimessione sulla base di una diversa interpretazione devono essere dichiarate manifestamente infondate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 del regio decreto 31 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato) e dell’art. 444 del codice di procedura civile, rispettivamente sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Castrovillari e dal Tribunale di Chieti, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 febbraio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 marzo 2002.