Ordinanza n. 41 del 2002

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ORDINANZA N. 41

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 32, commi 1, 2 e 4, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e dell’articolo 5, comma 7-bis, della legge 29 novembre 1995, n. 507 [recte: dell’art. 5, comma 7-bis, del decreto-legge 2 ottobre 1995, n. 415 (Proroga di termini a favore dei soggetti residenti nelle zone colpite dagli eventi alluvionali del novembre 1994 e disposizioni integrative del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1995, n. 507], promosso con ordinanza emessa il 14 aprile 2000 dal Tribunale di Ancona, iscritta al n. 545 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti l’atto di costituzione della parte privata, nonchè l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 dicembre 2001 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi l’avvocato Maurizio Fabiani per la parte privata e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, nel corso di un procedimento per convalida di sfratto per morosità, intentato dal Ministero della giustizia nei confronti di una conduttrice di un immobile ad uso abitativo sito in Ancona, il Tribunale di Ancona, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 32, commi 1, 2 e 4, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e dell’articolo 5, comma 7-bis, della legge 29 novembre 1995, n. 507 [recte: dell’art. 5, comma 7-bis, del decreto-legge 2 ottobre 1995, n. 415 (Proroga di termini a favore dei soggetti residenti nelle zone colpite dagli eventi alluvionali del novembre 1994 e disposizioni integrative del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85) convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1995, n. 507];

che l’art. 32 della legge n. 724 dispone che i canoni annui per i beni patrimoniali e demaniali dello Stato destinati ad uso abitativo, concessi o locati a privati, a decorrere dal 1° gennaio 1995, sono rivalutati, rispetto a quelli dovuti per l’anno 1994, di un coefficiente pari a due volte il canone stesso per i soggetti appartenenti ad un nucleo familiare con un reddito complessivo, riferito all’anno di imposta 1993, non superiore ad ottanta milioni di lire, e a cinque volte il canone, per i soggetti che appartengano ad un nucleo familiare con un reddito complessivo, per il medesimo anno 1993, pari o superiore ad ottanta milioni di lire, facendo salva la posizione dei conduttori con reddito familiare complessivo, per l’anno di imposta 1993, inferiore a quaranta milioni di lire;

che l’articolo 5, comma 7-bis, del decreto-legge n. 415 del 1995, convertito dalla legge n. 507 del 1995, dispone, a sua volta, che il canone determinato in base ai commi 6 e 7 del medesimo articolo (il comma 6 stabilisce che l’ammontare complessivo del canone per i beni concessi o locati a privati nel corso del 1994, o in data anteriore, non può comunque essere superiore alla media dei prezzi praticati in regime di mercato per immobili aventi caratteristiche analoghe), resta valido per sei anni a decorrere dal 1° gennaio 1996 e viene aumentato di anno in anno in misura corrispondente alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertata dall’Istituto centrale di statistica (ISTAT);

che il remittente premette che il Ministero della giustizia ha chiesto la convalida dello sfratto per morosità nei confronti dell’attuale conduttrice assumendo che la stessa, non avendo più corrisposto i canoni di locazione e gli oneri accessori dal mese di novembre 1998, si era resa debitrice, alla data del 31 dicembre 1999, della somma di £. 17.266.331;

che, riferisce ancora il remittente, l’intimata, nel costituirsi in giudizio, ha precisato che il canone di locazione, a far data dal 1° gennaio 1995, era stato raddoppiato in applicazione dell’art. 32 della legge n. 724 del 1994, essendo il reddito familiare per l’anno di imposta 1993 compreso tra i quaranta e gli ottanta milioni, e che, a seguito del decesso della madre, avvenuto il 22 luglio 1997, la situazione di fatto era mutata, percependo ella, da quel momento, un reddito inferiore a quaranta milioni di lire;

che, prosegue il giudice a quo, l’intimata ha quindi chiesto che non venisse emessa nei suoi confronti l’ordinanza di rilascio ed ha eccepito la illegittimità costituzionale dell’art. 32 della legge n. 724 del 1994, affermando che, una volta intervenuta la declaratoria di illegittimità costituzionale di questa disposizione, sarebbe venuta meno la contestata morosità, in quanto i canoni corrisposti in epoca successiva alla variazione del reddito familiare sarebbero risultati di importo tale da soddisfare integralmente le pretese creditorie del Ministero;

che il Tribunale di Ancona, quanto alla rilevanza delle dedotte questioni, osserva che, se fosse dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 32 della legge n. 724, il canone effettivamente dovuto dalla intimata sarebbe pari alla metà di quello già corrisposto per le diciassette mensilità successive alla data della riduzione del reddito familiare, sicchè ella avrebbe diritto alla ripetizione di quanto corrisposto in eccesso e non risulterebbe quindi morosa;

che, quanto alla non manifesta infondatezza, il remittente prospetta la violazione dell’art. 3 della Costituzione per la irragionevole disparità di trattamento che deriverebbe dall’art. 32 tra conduttori di immobili di proprietà pubblica e tutti gli altri conduttori: solo ai primi, infatti, e per di più in violazione dell’autonomia negoziale, verrebbe imposta la modificazione del corrispettivo originariamente concordato con la controparte;

che sotto altro profilo, il Tribunale di Ancona denuncia la disparità di trattamento che l’art. 32 introdurrebbe anche all’interno della categoria dei conduttori di immobili pubblici, a causa dell’applicazione al canone, a suo tempo liberamente determinato, di un coefficiente moltiplicatore fisso, che prescinderebbe cioé sia dal momento in cui con la stipula del contratto tale canone é stato stabilito, sia dal valore di mercato dell’immobile locato;

che inoltre, ad avviso del remittente, la maggiorazione del canone non sarebbe stata adeguata in modo appropriato al reddito percepito dal nucleo familiare: il legislatore, per evitare sperequazioni, avrebbe potuto prevedere un più ampio numero di coefficienti di moltiplicazione ovvero disporre che gli aumenti avrebbero dovuto essere proporzionali al reddito;

che irragionevolmente, secondo il giudice a quo, il legislatore avrebbe poi ancorato tutte le modificazioni al reddito percepito dal nucleo familiare nel 1993, senza attribuire alcun rilievo alle eventuali successive modificazioni di tale reddito;

che una ulteriore violazione del principio di eguaglianza, ad avviso del Tribunale di Ancona, consisterebbe nel fatto che l’art. 20 della legge 8 maggio 1998, n. 146, solo per i conduttori di immobili di proprietà pubblica che siano dipendenti pubblici ha, a far data dal 1° gennaio 1994, interamente assoggettato la regolamentazione del rapporto locativo alle disposizioni dalla legge 27 luglio 1978, n. 392;

che l’art. 32 della legge n. 724 del 1994, ad avviso del remittente, violerebbe anche i principî di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto dalla sua applicazione deriverebbero effetti non coerenti rispetto alla finalità perseguita dal legislatore di assicurare una adeguata redditività del patrimonio immobiliare pubblico;

che, infine, secondo il remittente, anche l’art. 5, comma 7-bis, del decreto-legge n. 415 del 1995, convertito dalla legge n. 507 del 1995, violerebbe l’art. 3 della Costituzione per la disparità di trattamento che esso introdurrebbe tra conduttori di immobili di proprietà dello Stato e conduttori di immobili titolari di un rapporto intercorrente con privati, giacchè gli aggiornamenti del canone, come rideterminato nel 1995, andrebbero computati, per i soli immobili pubblici, in base all’intera variazione ISTAT dei prezzi al consumo, mentre la legge sull’equo canone esclude il recupero integrale;

che si é costituita la parte privata e ha concluso per l’accoglimento della questione;

che é intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Ancona vengano dichiarate non fondate.

Considerato che viene all’esame di questa Corte l’articolo 32 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, il quale, secondo il Tribunale di Ancona, nello stabilire per gli immobili appartenenti al demanio e al patrimonio dello Stato destinati ad uso abitativo la rivalutazione del canone di locazione rapportata al reddito complessivo del nucleo familiare del conduttore nell’anno di imposta 1993, contrasterebbe con l’articolo 3 della Costituzione sotto vari profili e con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione;

che la censura riguarda anche l’art. 5, comma 7-bis, del decreto-legge 2 ottobre 1995, n. 415, convertito con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1995, n. 507, poichè, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, solo per gli immobili di proprietà dello Stato dispone l’aggiornamento dei canoni in base all’intera variazione dell’indice dei prezzi al consumo accertata dall’Istituto centrale di statistica (ISTAT), anzichè limitarla al settantacinque per cento come previsto dalla legge sull’equo canone;

che, preliminarmente all’esame del merito, occorre rilevare che le anzidette questioni sono state sollevate nel corso di un procedimento di convalida di sfratto per morosità, nel quale risultava non controverso il fatto che la conduttrice aveva smesso di corrispondere i canoni di locazione e da lungo tempo godeva dell’immobile senza versare all’amministrazione statale locatrice alcun corrispettivo;

che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche nelle ipotesi in cui il canone sia determinato ex lege, la sospensione del pagamento da parte del conduttore, costituisce un fatto arbitrario, idoneo a determinare di per sè la risoluzione per inadempimento;

che, nella descritta situazione, la rilevanza della questione é motivata in maniera del tutto insufficiente, poichè il remittente non avrebbe potuto ignorare, come invece ha fatto, quel consolidato orientamento giurisprudenziale ed avrebbe quanto meno dovuto esporre le ragioni che lo inducevano a discostarsene;

che pertanto le questioni devono essere dichiarate manifestamente inammissibili.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 32, commi 1, 2 e 4, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e dell’articolo 5, comma 7-bis, del decreto-legge 2 ottobre 1995, n. 415 (Proroga di termini a favore dei soggetti residenti nelle zone colpite dagli eventi alluvionali del novembre 1994 e disposizioni integrative del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 1995, n. 507, sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Ancona, in composizione monocratica, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2002.