Ordinanza n. 22 del 2002

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ORDINANZA N. 22

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 15, commi 1 e 2, prima parte, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), promosso, con ordinanza emessa l'11 aprile 2000, dal Tribunale di Milano, nel procedimento civile vertente tra Scarponi Renato e l'Azienda ospedaliera Ospedale Niguarda Ca' Granda, iscritta al n. 400 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visti l'atto di costituzione di Scarponi Renato nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 dicembre 2001 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi l'avvocato Giacinto Favalli per Scarponi Renato e l'Avvocato dello Stato Nicola Bruni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza dell’11 aprile 2000, il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 76 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, commi 1 e 2, prima parte, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante "Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421", nella parte in cui viene riconosciuta "la qualifica dirigenziale di primo livello al personale medico, sulla base delle funzioni nella stessa norma indicate";

che l'ordinanza é stata emessa nel corso di un giudizio promosso da un dipendente ospedaliero, inquadrato nella qualifica di dirigente di primo livello, il quale ha chiesto che venga dichiarata l'illegittimità del licenziamento, disposto nei suoi confronti a seguito di contestazione disciplinare, con reintegrazione nel posto di lavoro e condanna al risarcimento del danno, o, in via subordinata, al pagamento dell’indennità supplementare e dell’indennità sostitutiva del preavviso, oltre che al risarcimento del danno;

che, secondo il giudice a quo, la disciplina denunciata attribuirebbe al medico ospedaliero (che espleti le mansioni già proprie del c.d. aiuto) una qualifica dirigenziale solo formale, priva dei poteri e delle responsabilità proprie del dirigente e comportante esclusivamente la conseguenza negativa del difetto di stabilità reale del rapporto di lavoro;

che il rimettente ¾ nel rilevare che, nella specie, l’attribuzione della qualifica di dirigente, in via legislativa, esclude l'applicabilità di quella giurisprudenza secondo la quale anche lo pseudo-dirigente o dirigente convenzionale gode della medesima garanzia di stabilità degli altri lavoratori ¾ reputa violata, in primo luogo, la legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), volta a configurare unitariamente il rapporto di lavoro del pubblico impiego e della sanità, anche con riferimento ai dirigenti, come dovrebbe evincersi dal rinvio dell'art. 1, comma 1, lettera q), alle disposizioni del successivo art. 2;

che, in particolare, le norme sospettate di incostituzionalità, distaccandosi dal paradigma delineato nel predetto art. 2, contemplerebbero, per il dirigente medico di primo livello, requisiti non identificativi di una professionalità adeguata ed estranei ai poteri di direzione, vigilanza e controllo indicati dalla legge delega;

che, d’altra parte, ad avviso del rimettente, anche ad interpretare quest'ultima come attributiva, per il legislatore delegato, del potere di configurare il dirigente medico in maniera diversa ed autonoma rispetto al restante settore del pubblico impiego, sussisterebbe egualmente un profilo di eccesso di delega, avendo le disposizioni oggetto di censura disciplinato anche livelli dirigenziali inferiori a quello apicale, senza considerare che "la legge delega si é limitata a demandare al Governo il compito di configurare il solo ruolo dei dirigenti apicali";

che, infine, secondo l'ordinanza, pur a ritenere che la legge delega abbia attribuito il potere di disciplinare i livelli dirigenziali inferiori, sussisterebbe, comunque, un contrasto con la stessa legge, nella parte in cui viene tracciata una figura di dirigente priva di qualsiasi elemento di responsabilità;

che, quale ulteriore censura, il rimettente lamenta la violazione dell'art. 3 della Costituzione, posto che le disposizioni denunciate, con l’attribuire la qualifica di dirigente a lavoratori che sostanzialmente non lo sono, finiscono "per far derivare effetti (la mancanza di stabilità del rapporto) identici a rapporti di lavoro profondamente e qualitativamente diversi", nell’ambito dei quali rientrano, dunque, "lavoratori che sono veri e propri alter ego dell’imprenditore e lavoratori che, pur dotati di elevata professionalità, non dispongono nemmeno di funzioni direttive";

che si é costituito il ricorrente nel giudizio principale, il quale ha concluso per l’ammissibilità e la fondatezza della questione, ribadendo, poi, le stesse conclusioni nella memoria presentata nell'imminenza dell'udienza;

che é intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale, precisando le proprie richieste in sede di discussione orale, ha concluso per l'inammissibilità ovvero, in subordine, per l’infondatezza della questione.

Considerato che, come risulta dall'ordinanza di rimessione, il giudizio principale ha ad oggetto l'asserita illegittimità del licenziamento e la conseguente reintegrazione nel posto di lavoro richiesta da un medico ospedaliero, inquadrato con qualifica di dirigente di primo livello, licenziato in seguito a contestazione disciplinare;

che, avuto riguardo all'oggetto della controversia pendente innanzi al rimettente, e cioé la legittimità o meno del licenziamento disposto nei confronti del ricorrente, é da ritenere che ad esso restino completamente estranee le disposizioni denunciate, che non concernono, in alcun modo, la disciplina del recesso del datore di lavoro, bensì l'assetto della dirigenza del ruolo sanitario e, segnatamente, l'articolazione dei livelli di inquadramento e l'attribuzione delle relative funzioni;

che, dunque, non trattandosi di disposizioni delle quali il giudice é tenuto a fare applicazione per la definizione del caso innanzi a lui pendente, difetta il requisito della rilevanza della questione, da ritenere sussistente solo quando la controversia non possa essere decisa indipendentemente dalla risoluzione dell'incidente di costituzionalità;

che, pertanto, la questione é da reputare manifestamente inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, commi 1 e 2, prima parte, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 febbraio 2002.