Sentenza n. 436/2001

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SENTENZA N.436

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 58, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo modificato dal decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della l. 28 settembre 1998, n. 337) (recte: art. 52, secondo comma, lettera b) del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo anteriore alla sostituzione disposta dal d.lgs. n. 46 del 1999), promossi con due ordinanze emesse il 19 dicembre 2000 dal Tribunale di Cassino, rispettivamente iscritte ai numeri 164 e 165 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2001, nonchè nel giudizio di legittimità costituzionale dello stesso art. 58, nel testo modificato dal suddetto d. lgs., promosso dal Tribunale di Cassino con ordinanza emessa il 19 dicembre 2000, iscritta al n. 166 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2001.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2001 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto in fatto

1. - Con l’ordinanza iscritta al n. di ruolo 164 del 2001, pronunciata il 19 dicembre 2000, il Tribunale di Cassino, in composizione monocratica ed in funzione di giudice istruttore, nel corso di un procedimento di opposizione di terzo all’esecuzione, introdotto, con ricorso del 10 dicembre 1998, da Silvana Valerio avverso l’esecuzione forzata esattoriale mobiliare promossa dal Servizio di riscossione tributi della Provincia di Frosinone, gestito dalla Banca di Roma s.p.a., a carico del coniuge dell’opponente, per un <<debito erariale connesso alla sua attività imprenditoriale esclusiva>>, ha sollevato, secondo il tenore formale del dispositivo dell’ordinanza, questione di legittimità costituzionale dell’art. 58 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo risultante dalla sostituzione dell’intero titolo II (artt. da 45 a 90) di tale d.P.R., disposta dall’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della l. 28 settembre 1998, n. 337), nella parte in cui non darebbe <<rilievo>>, a favore del coniuge, alla presunzione di esistenza della comunione legale sui beni mobili che si trovano nella casa coniugale, in sede di opposizione di terzo del coniuge all’esecuzione esattoriale, promossa per un debito esclusivo dell’altro coniuge.

In base al tenore della motivazione dell’ordinanza, tuttavia, la questione risulta espressamente sollevata con riferimento all’art. 52 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo anteriore all’indicata sostituzione.

Secondo quanto riferisce il rimettente, l’opponente ha dedotto che, essendo avvenuto il pignoramento nella casa coniugale, i beni quivi rinvenuti dovevano ritenersi ricadenti nella comunione legale fra i coniugi, di modo che, per un verso sussisteva la sua legittimazione alla proposizione dell’opposizione quale comproprietario, per altro verso il suo diritto di eccepire il mancato ricorso alla procedura di cui all’art. 599 del codice di procedura civile per l’espropriazione dei beni indivisi. L’opposta ha eccepito il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, per non essere ammissibile - <<alla stregua dell’art. 52 d.P.R. n. 602/73>> - l’opposizione del coniuge in caso di beni mobili pignorati nella casa del debitore e per essere ammissibile soltanto, a norma dell’art. 53 dello stesso d.P.R., un’opposizione in via amministrativa alla Direzione regionale delle entrate, nel mentre la prova dell’appartenenza era comunque soggetta ai limiti dell’art. 65 del medesimo d.P.R.

Sulla base di tale premessa, il rimettente osserva che la controversia - in forza del principio tempus regit actum - non può essere decisa alla stregua delle modificazioni apportate al d.P.R. n. 602 del 1973 dal d.lgs. n. 46 del 1999 e, quindi, con l’applicazione dell’art. 58 di detto d.P.R., ma deve essere decisa - donde il segnalato contrasto fra dispositivo e motivazione - in base all’art. 52 vecchio testo del d.P.R., il quale, in forza degli interventi della Corte costituzionale, prevedeva con circostanziata casistica l’ammissibilità dell’opposizione di terzo da parte del coniuge.

Dopo avere assunto l’infondatezza dell’eccezione dell’opposta in ordine all’applicabilità dell’art. 65 del d.P.R. n. 602 vecchio testo, sostenendo che tale norma concerneva solo l’attività dell’ufficiale di riscossione e non riguardava invece il giudizio del giudice dell’esecuzione investito di un’opposizione di terzo, il rimettente affronta il problema della possibilità di far valere con l’opposizione di terzo la situazione di comproprietà sui beni pignorati e, pur risolvendo positivamente il quesito, sostiene che tale interpretazione <<non consentirebbe perciò di accogliere l’opposizione, in quanto il coniuge può proporre l’opposizione ex art. 619 c.p.c. solo nel caso di beni dotali>>.

Secondo il rimettente, non sarebbe conforme a Costituzione che la comunione legale non assuma <<rilievo>> anche nei riguardi del <<credito erariale>>, in quanto la ratio della previsione, da parte della riforma del diritto di famiglia, <<di presumere la comunione legale come regime ordinario>>, in difetto di espressa volontà contraria, risulterebbe funzionale all’assicurazione al coniuge di una posizione soggettiva <<da tutelare anche contro le aggressioni esecutive da parte dei creditori dell’altro coniuge>>.

In tale ottica, l’opposizione di terzo sarebbe lo strumento idoneo a salvaguardare la posizione del coniuge non debitore e la presunzione di comunione costituirebbe <<essa stessa ostacolo all’espropriazione forzata, stante l’unanime riconoscimento da parte della giurisprudenza di legittimità dell’opponibilità della comunione a terzi>>.

Inoltre, poichè il potere sulla casa coniugale apparterrebbe ad entrambi i coniugi ed ognuno di essi avrebbe lo ius prohibendi, sarebbe <<conseguenziale quindi ammettere che anche i beni in essa contenuti debbano presumersi, salvo prova contraria, di pertinenza di ambedue i coniugi>>. E pertanto <<affrontare la presunzione legale ex legge n. 151/75 con la presunzione di proprietà esclusiva del coniuge escusso sui beni staggiti nella casa coniugale ex art. 52 cit. crea una discrasia del sistema normativa di tutta evidenza>>.

Dopo questa affermazione, il rimettente sostiene che la presunzione di comunione comporterebbe a carico del creditore procedente l’onere della prova contraria e, quindi, della sussistenza della <<proprietà assoluta del debitore sui beni staggiti o procedere ex art. 599 c.p.c.>>.

Infine il rimettente rileva che il <<difetto di coordinamento fra la l. n. 151 del 1975 e l’art. 52 del d.P.R. n. 602 del 1973>> non sarebbe stato eliminato nemmeno con le modifiche apportate dal d.lgs. n. 46 del 1999 <<poichè il nuovo art. 58, pur avendo modificato alcuni aspetti, ha lasciato irrisolto il problema>>.

Non resterebbe, dunque, che sottoporre a giudizio di costituzionalità l’art. 52.

La relativa questione sarebbe rilevante perchè il rimettente <<potrebbe solo rigettare l’opposizione, non essendo possibile diversa interpretazione della norma ridetta, se non quella di limitare l’opposizione ai beni dotali>>.

Il rimettente motiva la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’esclusione del rilievo della presunzione legale fra coniugi, ravvisando un contrasto: 1) con l’art. 3 della Costituzione, per disparità di trattamento <<con l’analoga situazione del coniuge in comunione del fallito che, alla stregua dell’interpretazione offerta all’art. 70 legge fall. da Cass., Sez. I, 29/12/1995 n. 13149 - sarebbe favorito>>; 2) con l’art. 29 della Costituzione, per la lesione del principio della pari dignità ed eguaglianza fra i coniugi nell’ambito della famiglia, che potrebbe subire limitazioni solo a garanzia dell’unità familiare; 3) con l’art. 31 della Costituzione, perchè sarebbe aggravato l’adempimento dei compiti familiari per il coniuge in comunione; 4) con gli artt. 41 e 47 della Costituzione, in quanto sarebbe precluso al coniuge di sottrarre al creditore esclusivo dell’altro coniuge <<il frutto del proprio lavoro, del proprio impegno economico, negando la presunzione di apporto paritario>>.

2.- La stessa questione é stata proposta dal Tribunale di Cassino, in composizione monocratica ed in funzione di giudice istruttore - sulla base di una motivazione identica e con il medesimo contrasto fra motivazione e dispositivo - con l’ordinanza iscritta al n. di ruolo 165 del 2001, che risulta pronunciata sempre il 19 dicembre 2000, in un procedimento di opposizione di terzo all’esecuzione, introdotto - con ricorso del 17 dicembre 1998 - da Antonio Marrone avverso l’esecuzione forzata esattoriale mobiliare, promossa dal Servizio di Riscossione tributi della Provincia di Frosinone, sportello di Cassino, gestito dalla Banca di Roma s.p.a., a carico del coniuge dell’opponente per un (non meglio precisato nell’ordinanza di rimessione) <<debito erariale connesso alla sua attività imprenditoriale esclusiva>>.

Anche le difese delle parti del procedimento sono state le stesse di cui si riferisce nell’ordinanza n. 164 del 2001.

3.- Con l’ordinanza n. 166 del 2001, anch'essa pronunciata il 19 dicembre 2000, lo stesso Tribunale di Cassino, in composizione monocratica, ma questa volta in funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel corso di un procedimento di opposizione di terzo all’esecuzione, introdotto da Antonio Marrone avverso l’esecuzione forzata esattoriale mobiliare promossa dal Servizio di riscossione tributi della Provincia di Frosinone, gestito dalla Banca di Roma s.p.a., a carico del coniuge dell’opponente per un (non meglio precisato nell’ordinanza di rimessione) <<debito erariale connesso alla sua attività imprenditoriale esclusiva>>.

Anche in tal caso le difese delle parti del procedimento sono le stesse di cui alle altre due ordinanze.

La motivazione di tale ordinanza si differenzia da quella delle altre due: a) perchè il rimettente questa volta enuncia, sempre invocando il principio tempus regit actum, che l’opposizione dev’essere decisa in base al regime dell’art. 58 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo risultante dopo il d.lgs. n. 46 del 1999, che non escluderebbe più l’ammissibilità dell’opposizione di terzo del coniuge, ma porrebbe solo limiti ai mezzi di prova deducibili per dimostrare la proprietà; b) per l’espressa affermazione - sull’assunto, già contenuto anche nelle altre due ordinanze, secondo cui anche la comproprietà sarebbe situazione deducibile dal terzo opponente ex art. 58 - che, pur ammessa tale deducibilità, l’opposizione non potrebbe essere accolta, <<in quanto il coniuge in comunione dovrebbe comunque dimostrare la comproprietà con i documenti richiesti dall’art. 58 cit.>>; c) per l’espressa affermazione che l’art. 58 del d.P.R. n. 602 del 1973 nel nuovo testo avrebbe escluso la rilevanza della presunzione legale di comunione; d) per il fatto che la motivazione della lesione dei parametri costituzionali é ad esso riferita.

4.- E’ intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità ed infondatezza della questione.

Con memorie di identico contenuto depositate nell’imminenza della camera di consiglio, l’Avvocatura, dopo aver identificato la questione proposta dalle ordinanze riferendola alla mancata previsione, da parte dell’art. 58 del d.P.R. n. 602 del 1973, <<dell’opposizione di terzo per il caso di eccezione di comunione legale>>, ha osservato che il dubbio di costituzionalità non avrebbe fondamento, perchè l’esclusione di simile previsione sarebbe stata voluta dal legislatore per evitare che possano essere sottratti al pignoramento beni comunque rientranti nella proprietà del contribuente moroso ed in considerazione dell’impossibilità per l’ufficiale giudiziario di <<formulare interpretazioni di diritto e sottili distinzioni>> all’atto dell’esecuzione del pignoramento. Per tali ragioni, mentre sarebbero stati plausibili i limiti posti da questa Corte all’esclusione dell’opposizione di terzo con riferimento al previgente art. 52 del d.P.R. n. 602 del 1973, altrettanto non potrebbe dirsi per i beni rientranti nella comunione legale. In ogni caso, per essi potrebbe trovare applicazione l’art. 599 c.p.c., <<a condizione, però, che i beni facenti parte della comunione siano acquistati in data anteriore al verificarsi del presupposto al quale si collega il rapporto obbligatorio tributario>>.

Considerato in diritto

1. - Le tre ordinanze in epigrafe propongono, per quanto emerge dai dispositivi, una stessa questione di legittimità costituzionale, relativa all’art. 58 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito) - nel testo risultante dalla sostituzione dell’intero titolo II (artt. da 45 a 90) di tale d.P.R. ad opera dell’art. 16 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della l. 28 settembre 1998, n. 337) - nella parte in cui, in violazione degli artt. 3, 29, 31, 41 e 47 della Costituzione, non darebbe <<rilievo>> alla presunzione di esistenza della comunione legale sui beni mobili che si trovano nella casa coniugale, in caso di opposizione di terzo, proposta dal coniuge in regime di comunione avverso l’esecuzione forzata mobiliare esattoriale, promossa sui beni esistenti nella casa coniugale, a carico dell’altro coniuge, per un debito del quale quest’ultimo deve rispondere in via esclusiva.

Tuttavia - mentre dalla motivazione dell’ordinanza n. 166 risulta che il tenore del dispositivo é con essa perfettamente congruente, in quanto il rimettente afferma che nel giudizio a quo é applicabile proprio l’art. 58 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo sostituito dal d.lgs. n. 46 del 1999 - invece la motivazione delle ordinanze n. 164 e n. 165 evidenzia come il rimettente abbia inteso invece impugnare l’art. 52 del medesimo d.P.R., nel testo anteriore alla sostituzione disposta dal d.lgs. n. 46 del 1999, sull’esplicita premessa che tale norma e non l’art. 58, nel testo risultante dal d.lgs. n. 46 del 1999, sia ratione temporis applicabile nei due giudizi.

Si può pertanto ritenere che l’indicazione dell’art. 58 nel dispositivo delle ordinanze n. 164 e n. 165 sia frutto di un mero lapsus calami, e che le due citate ordinanze abbiano inteso impugnare invece l’art. 52 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo anteriore alle sostituzioni introdotte dal d.lgs. n. 46 del 1999.

A tale conclusione induce anche il rilievo che nella successione fra le due norme - conseguente alla sostituzione dell’intero titolo II del d.P.R. del 1973, disposta dal d.lgs. del 1999 - la disciplina dell’opposizione di terzo all’esecuzione esattoriale, prima contenuta nell’art. 52, che ne individuava i limiti di ammissibilità, é stata trasposta, con talune modificazioni, nel nuovo testo dell’art. 58.

2. - Poichè la questione proposta dalle tre ordinanze, pur nella diversità delle norme formalmente impugnate, é identica nei suoi termini sostanziali, i giudizi possono senz'altro essere riuniti.

3. - In materia di opposizione di terzo all’esecuzione esattoriale proposta dal coniuge del contribuente, il testo originario dell’art. 52 del d.P.R. n. 602 del 1973, che riproduceva nella sostanza l’art. 207 del d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, era stato, da ultimo, modificato dall’art. 5, comma 4, lettera b-bis) (introdotto in sede di conversione), del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti in materia tributaria, finanziaria e contabile a completamento della manovra di finanza pubblica per l’anno 1997), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 1997, n. 30.

Nella formulazione conseguente a tale intervento - che recepì i contenuti delle sentenze di questa Corte n. 444 del 1995, n. 358 del 1994 e n. 415 del 1996 - il secondo comma dell’art. 52 stabiliva tra l’altro, alla lettera b), che l’opposizione di terzo all’esecuzione esattoriale non poteva essere proposta dal coniuge del contribuente o dei coobbligati <<per quanto riguarda i mobili pignorati nella casa di abitazione del debitore o del coobbligato e negli altri luoghi a loro appartenenti, sempre che non si tratti di beni costituiti in dote ovvero dimostrino la proprietà acquisita con atto pubblico o scrittura privata di data certa o per atto di donazione anteriori alla presentazione della dichiarazione o alla notifica dell’avviso di accertamento>>.

A seguito della sostituzione dell’intero titolo II (articoli da 45 a 90) del d.P.R. n. 602 del 1973 disposta dall’art. 16 del d.lgs. n. 46 del 1999, l’opposizione di terzo all’esecuzione esattoriale proposta dal coniuge del contribuente risulta ora disciplinata dal nuovo testo dell’art. 58, che ammette in generale (al terzo comma) la legittimazione del coniuge all’opposizione di terzo all’esecuzione esattoriale, precisando che egli, <<per quanto riguarda i beni mobili pignorati nella casa di abitazione o nell’azienda del debitore o del coobbligato, o in altri luoghi a loro appartenenti>>, può dimostrare la proprietà del bene esclusivamente con atti pubblici o scritture private di data certa, anteriore alla presentazione della dichiarazione, se prevista e presentata, o altrimenti al momento della violazione da cui deriva l’iscrizione a ruolo, o, in ulteriore subordine, al momento in cui si é verificato il presupposto dell’iscrizione a ruolo.

4. - Le ordinanze n. 164 e n. 165 riferiscono la questione di legittimità costituzionale al testo dell’art. 52 anteriore al d. lgs. n. 46 del 1999 e, quindi, a quello risultante dalle modifiche di cui al decreto-legge n. 669 del 1996, convertito in legge n. 30 del 1997, mentre l’ordinanza n. 166 la riferisce invece al testo dell’art. 58 risultante dalle sostituzioni operate dal d.lgs. n. 46 del 1999.

Ma, nella sostanza, tutti i giudici rimettenti affermano che la normativa impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 29, 31, 41 e 47 Cost., in quanto non darebbe <<rilievo>> alla situazione di comunione legale tra i coniugi, e non consentirebbe al coniuge opponente di limitarsi a dedurre che i beni devono presumersi oggetto di comunione legale, con il conseguente onere per il creditore procedente di dimostrare il contrario, al fine di assoggettare a pignoramento i beni nella loro integralità.

5. - La questione non é fondata per erroneità del presupposto interpretativo.

Le tre ordinanze muovono dalla premessa secondo cui esisterebbe nell’ordinamento una presunzione di appartenenza alla comunione legale dei beni presenti nella casa coniugale, onde ciascun coniuge potrebbe opporre tale presunzione ai terzi estranei alla comunione.

Peraltro, i rimettenti non esplicitano in alcun modo il dato normativo - evidentemente riconducibile all'art. 2729 del codice civile - da cui dovrebbe desumersi una simile presunzione, se si esclude il riferimento all’esistenza nell’ordinamento di un’asserita <<scelta di presumere la comunione come regime ordinario, statuendo la necessità dell’espressa volontà contraria>>, probabilmente desunta dall’art. 159 cod. civ.

Quella scelta é però del tutto estranea all'istituto della presunzione, ed esprime soltanto la volontà legislativa, in difetto di contraria manifestazione dell’autonomia privata dei coniugi, di assoggettare il loro regime patrimoniale alla comunione legale. Essa non implica che, alla stregua del fenomeno descritto dall’art. 2729 cod. civ., per ciò solo sussista una presunzione legale di appartenenza alla comunione dei beni siti nella casa di coniugi in comunione.

Si può quindi escludere che esista una previsione normativa dalla quale sia dato, anche indirettamente, desumere siffatta presunzione legale.

Può, del resto, rilevarsi che l’art. 219, secondo comma, cod. civ. - il quale, nel regime patrimoniale della famiglia, prevede una presunzione di appartenenza ai coniugi dei beni in comunione indivisa, ed é ritenuto applicabile anche al di fuori del regime di separazione dei beni - opera, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, nei soli rapporti fra i coniugi e non anche in quelli fra essi (o uno di essi) ed i terzi.

Conseguentemente, sia la questione posta dalle ordinanze n. 164 e n. 165, sia quella posta dall’ordinanza n. 166 - in quanto formulate sulla base di un presupposto interpretativo erroneo - devono ritenersi infondate.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 52, secondo comma, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), nel testo anteriore alla sostituzione disposta dal decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’art. 1 della l. 28 settembre 1998, n. 337), sollevata dal Tribunale di Cassino, in riferimento agli artt. 3, 29, 31, 41 e 47 della Costituzione, con le ordinanze iscritte ai numeri di ruolo 164 e 165 del 2001, indicate in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 58, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, nel testo sostituito dal decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, sollevata dal Tribunale di Cassino, in riferimento agli artt. 3, 29, 31, 41 e 47 della Costituzione, con l’ordinanza iscritta al numero di ruolo 166 del 2001, indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 dicembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 28 dicembre 2001.