Sentenza n. 411/2001

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SENTENZA N.411

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 52, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218 (Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), promosso con ordinanza emessa il 4 febbraio 2000 dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria sul ricorso proposto da Agricola Cammarata s.r.l. contro il Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Sibari - Crati ed altri, iscritta al n. 301 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visto l'atto di costituzione della Agricola Cammarata s.r.l.;

udito nell'udienza pubblica del 9 ottobre 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Udito l'Avvocato Stanislao De Santis per l'Agricola Cammarata s.r.l..

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso del procedimento promosso con ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria da una società agricola avverso la deliberazione della Giunta regionale della Calabria 18 novembre 1998, con la quale era stata approvata la variante generale al piano regolatore Asi (area di sviluppo industriale), così reiterando i vincoli urbanistici divenuti inefficaci per scadenza del termine di legge, il giudice adíto, con ordinanza emessa in data 4 febbraio 2000 (r.o. n. 301 del 2000), su eccezione della ricorrente, ha sollevato, in riferimento all’art. 42, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 52, primo comma, del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 (Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), nella parte in cui consente la reiterazione, oltre il termine decennale di efficacia legislativamente previsto, dei vincoli di destinazione previsti dai piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale, senza previsione di indennizzo.

Il Collegio rimettente muove dalla premessa che, con sentenza n. 260 del 1976, la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 147 del precedente t.u. delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, nella parte in cui consentiva vincoli sostanzialmente espropriativi, senza prevedere un indennizzo o senza prefissione di un termine di durata. A seguito di tale decisione, l’art. 52 del nuovo testo unico, approvato con d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218, stabilì che "i vincoli di destinazione previsti dai piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale hanno efficacia per la durata di dieci anni a decorrere dalla data del provvedimento di approvazione", senza, peraltro, disporre il divieto di reiterazione di detti vincoli, ancorchè divenuti inefficaci per scadenza del decennio.

Nella ordinanza di rimessione si richiama, altresì, la sentenza n. 179 del 1999, con la quale la stessa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica) e dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui tale normativa consentiva all’amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti senza la previsione di un indennizzo secondo modalità legislativamente previste. Ad avviso del Collegio rimettente, la situazione esaminata dalla Corte nella riferita situazione presenterebbe elementi di identità con quella in questione, e la mancata previsione di un indennizzo per l’ipotesi di reiterazione del vincolo decennale, posto dai piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale, comporterebbe i medesimi profili di irragionevolezza e di arbitrarietà. Al riguardo, nella ordinanza si sottolinea, come emblematica, la situazione denunciata dalla ricorrente, i cui terreni, già aventi destinazione agricola, erano stati assoggettati per trenta anni ad una mai realizzata destinazione industriale, comprimendo per un così rilevante periodo di tempo l’utilizzazione dei beni in conformità alle caratteristiche oggettive degli stessi.

2.- Nel giudizio innanzi alla Corte si é costituita la parte privata del procedimento a quo, riportandosi alle argomentazioni svolte dal Tribunale amministrativo regionale e concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata. Nella imminenza della data fissata per l’udienza pubblica, la parte ha depositato una memoria con la quale insiste nelle conclusioni rassegnate, rilevando che i vincoli, di cui si tratta, rientrano sicuramente tra quelli soggetti all’alternativa tra predeterminazione certa del termine di durata e obbligo di indennizzo per il caso di pur legittima reiterazione, rientrando negli schemi della espropriazione. Nella memoria si richiama, poi, anche l’art. 39, comma 1, del recente d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, Testo A), il quale ha previsto, sia pure in attesa di una organica risistemazione della materia, che, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo, é dovuta al proprietario una indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto.

Considerato in diritto

1.- La questione di legittimità costituzionale sottoposta in via incidentale all’esame della Corte riguarda l’art. 52, primo comma, del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 (Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), nella parte in cui consente la reiterazione, oltre il termine decennale di efficacia legislativamente stabilito, dei vincoli di destinazione preordinati all’esproprio o sostanzialmente espropriativi previsti dai piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale, senza previsione di indennizzo. E’ denunciato il contrasto con l’art. 42, terzo comma, della Costituzione, attraverso il richiamo alla sentenza n. 179 del 1999, con la quale la Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale delle analoghe norme urbanistiche (combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187), nella parte in cui tale normativa consentiva all’amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo.

2.- Preliminarmente deve essere verificata l’ammissibilità della questione alla luce della motivazione sulla rilevanza adottata dal giudice remittente. La soluzione deve essere positiva, poichè l’ordinanza del Tribunale amministrativo regionale offre una giustificazione plausibile della rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata in un giudizio in cui - oltre ad impugnare la variante generale di piano regolatore di Area sviluppo industriale, con reiterazione (senza indennizzo) di vincoli, preordinati all’espropriazione, divenuti inefficaci per scadenza del decennio previsto dalla legge (in realtà si afferma che l’assoggettamento a vincoli durava "da trenta anni" senza che fosse realizzata la destinazione industriale) - si chiedeva il risarcimento del danno relativo.

Nè - come sottolineato dalla difesa della parte privata in sede di discussione - può avere rilievo preclusivo ai fini dell’esame della questione, la sopravvenuta disposizione contenuta nell’art. 39 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità, Testo A).

Le disposizioni del testo unico, infatti, sono destinate ad entrare in vigore "a decorrere dal 1° gennaio 2002" (art. 59 del d.P.R. n. 327 del 2001).

Occorre, tuttavia, sottolineare che la richiamata sentenza n. 179 del 1999 aveva fatto salva, nel frattempo, in mancanza di intervento legislativo, la necessaria applicazione delle norme e dei principi costituzionali da parte dei giudici chiamati a decidere sulle domande proposte. Questi infatti restano tenuti sia a definire le controversie, sia, ormai, ad osservare il principio, risultante da dichiarazione di illegittimità costituzionale, di riconoscere un indennizzo per i casi di reiterazione o proroga dei vincoli di piano urbanistico espropriativi, oltre i limiti legislativamente definiti, ricavando, in difetto di intervento legislativo, dall’ordinamento le regole per la liquidazione della obbligazione di ristoro del pregiudizio subìto.

3.- La questione é fondata, alla luce di quanto già deciso da questa Corte con sentenza n. 179 del 1999, relativa all’analoga previsione di reiterazione dei vincoli urbanistici.

La disposizione oggetto della presente questione (art. 52, primo comma, del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218) era stata introdotta nell’ordinamento dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 147, commi 1 e 9, dell’allora vigente t.u. delle leggi sul Mezzogiorno approvato con d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, "nella parte in cui dette norme, senza prevedere un indennizzo, consentono che vincoli di destinazione preordinati all’espropriazione siano imposti su beni di proprietà privata dai piani regolatori delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale, senza prefissione di un termine di durata" (sentenza n. 260 del 1976).

Detta dichiarazione di illegittimità costituzionale si ricollegava all’analoga questione - relativa a vincoli espropriativi imposti da piano regolatore generale - risolta con la sentenza n. 55 del 1968, con dichiarazione di illegittimità costituzionale dei numeri 2, 3, e 4 dell’art. 7 e dell’art. 40 della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, alla quale avevano fatto seguito la legge 19 novembre 1968, n. 1187, contenente la imposizione di limiti temporali di durata dei vincoli stessi preordinati all’espropriazione o comportanti l’inedificabilità, ed una serie di successive disposizioni particolari prevedenti termini di efficacia temporale di varie forme di pianificazioni urbanistiche (v. la citata sentenza n. 260 del 1976).

Nella progressiva elaborazione giurisprudenziale del principio della alternatività tra temporaneità dei vincoli urbanistici preordinati alla espropriazione o sostanzialmente ablativi e obbligo di indennizzo, la Corte ha sviluppato l’iter interpretativo della garanzia costituzionale in materia espropriativa, aggiungendo una ulteriore affermazione di principio, derivata dall’art. 42 della Costituzione, secondo cui, per gli anzidetti vincoli (urbanistici) espropriativi, la reiterazione comporta necessariamente un indennizzo diretto al ristoro del pregiudizio causato dal protrarsi della durata.

La sentenza surrichiamata n. 179 del 1999 ha avuto occasione di precisare che "l’obbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea (a sua volta preceduto da un periodo di regime di salvaguardia) del vincolo" (periodo di franchigia da ogni indennizzo), quale determinata dal legislatore entro limiti non irragionevoli, riconducibili alla normale sopportabilità del peso gravante in modo particolare sul singolo.

In altri termini deve essere separato e distinto - rispetto alla pretesa indennitaria - il profilo sia della ammissibilità e legittimità della reiterazione degli anzidetti vincoli in via amministrativa, sia della ammissibilità sul piano costituzionale, entro i limiti della non irragionevolezza, delle proroghe in via legislativa o delle differenziazioni di durata per taluni vincoli o in talune regioni a statuto speciale (sentenza n. 179 del 1999).

Di conseguenza, per tutti i casi in cui può essere ammessa la reiterazione (o la proroga) degli anzidetti vincoli c.d. espropriativi, "deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale non dell’intero complesso normativo che consente la reiterazione dei vincoli" stessi, "ma esclusivamente della mancata previsione di indennizzo" (con caratteristiche distinte dall’indennità di espropriazione). L’indennizzo deve essere riferito alla permanenza del vincolo, oltre i limiti di durata non irragionevoli fissati dal legislatore, come periodo di franchigia, riconducibili alla normale sopportabilità.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 52, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218 (Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli, scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2001.