Ordinanza n. 400/2001

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ORDINANZA N.400

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                                

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI                           

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE                                     

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 438 e 442 del codice di procedura penale promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Genova con ordinanza emessa il 4 gennaio 2001, iscritta al n. 221 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2001.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

  Ritenuto che il Tribunale di Genova ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 438 e 442 del codice di procedura penale, come modificati dagli artt. 27 e 30 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 - recante, tra l’altro, "Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale" -, nella parte in cui non prevede che in esito al dibattimento di primo grado il giudice, ritenendo ingiustificato il rigetto da parte del giudice dell'udienza preliminare della richiesta di giudizio abbreviato ex art. 438, comma 5, cod. proc. pen., motivato dalla non necessità dell'integrazione probatoria, possa applicare la riduzione di pena di cui all'art. 442 cod. proc. pen.;

  che il rimettente premette che in sede di conclusioni il difensore dell'imputato ha chiesto, in caso di condanna, la riduzione di un terzo della pena <<per ingiustificato rigetto>> da parte del giudice dell'udienza preliminare della richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria (nella specie, assunzione di una testimonianza come prova d'alibi);

che al riguardo il giudice a quo osserva che gli artt. 438 e seguenti cod. proc. pen., quali risultano dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 479 del 1999, non prevedono che il giudice in esito al dibattimento possa sindacare la valutazione operata dal giudice dell'udienza preliminare in ordine alla necessità della prova ai fini della decisione e, quindi, applicare la riduzione di pena prevista per il rito abbreviato qualora ritenga ingiustificato il rigetto della richiesta;

  che il rimettente rileva che la Corte costituzionale, con sentenza n. 23 del 1992, ha dichiarato l'illegittimità del combinato disposto degli artt. 438, 439, 440 e 442 cod. proc. pen., nel testo allora vigente, nella parte in cui non prevedono che il giudice, all'esito del dibattimento, possa applicare la riduzione di un terzo della pena qualora ritenga che il processo poteva essere definito allo stato degli atti;

che, in particolare, la Corte aveva allora affermato che non può spettare al giudice dell’udienza preliminare <<l'ultima parola, in modo preclusivo, sulla decidibilità allo stato degli atti, con una pronuncia che, senza possibilità di controllo, incide sulla misura della pena>>;

  che ad avviso del giudice a quo tale principio deve valere, pur nel mutato quadro normativo che non prevede più il presupposto della decidibilità allo stato degli atti, anche per la disciplina del giudizio abbreviato modificata dalla legge n. 479 del 1999;

  che, infatti, la valutazione espressa a norma dell'art. 438, comma 5, cod. proc. pen. dal giudice dell'udienza preliminare sulla non necessità dell'integrazione probatoria chiesta dall'imputato comporterebbe, analogamente al giudizio sulla non decidibilità allo stato degli atti, <<una pronuncia che, senza possibilità di controllo, incide sulla misura della pena>>, con conseguente irragionevole limitazione del diritto di difesa in merito alla concreta determinazione della sanzione;

  che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata, in base al rilievo che la situazione sottoposta all'esame del giudice rimettente non é omologabile a quella che a suo tempo aveva indotto la Corte costituzionale a pronunciare la sentenza n. 23 del 1992 a causa delle profonde modifiche normative introdotte in tema di giudizio abbreviato dalla legge n. 479 del 1999, nonchè in materia di indagini difensive dalla legge 7 dicembre 2000, n. 397.

  Considerato che il giudice rimettente chiede a questa Corte, in relazione alla nuova disciplina del giudizio abbreviato introdotta dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, una pronuncia che consenta al giudice, in esito al dibattimento di primo grado, ove ritenga che la prova richiesta dall’imputato ai sensi dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. sia necessaria ai fini della decisione, di applicare la riduzione di pena prevista dall'art. 442 cod. proc. pen., analogamente a quanto deciso con la sentenza n. 23 del 1992 nel caso in cui il giudice dell’udienza preliminare avesse ritenuto che il processo non poteva essere definito allo stato degli atti;

  che il giudice a quo, nel motivare sulla rilevanza della questione, si limita ad osservare che l'eventuale accoglimento comporterebbe - in caso di condanna dell'imputato - il riconoscimento della riduzione di pena prevista per il giudizio abbreviato, ma omette qualsiasi considerazione sulle ragioni per cui nella specie l’integrazione probatoria sarebbe stata necessaria e dovrebbe, quindi, ritenersi ingiustificata la decisione del giudice dell'udienza preliminare di non ammettere il rito;

  che proprio il fatto che il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato sia ingiustificato costituisce il presupposto della dedotta questione di legittimità costituzionale, come emerge dalla constatazione che é lo stesso rimettente a chiedere, in base alla ratio della sentenza n. 23 del 1992, che al giudice del dibattimento sia consentito applicare la diminuzione di pena ove ritenga ingiustificata la decisione con cui il giudice dell'udienza preliminare, valutando l'integrazione probatoria non necessaria ai fini della decisione, abbia respinto la richiesta di giudizio abbreviato;

  che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 438 e 442 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Genova, con l'ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2001.